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In
questo breve intervento prendiamo in esame una fenomenologia allucinatoria
la cui origine è da ricercare in cause indirette: cioè i soggetti
coinvolti non fecero volontariamente uso di droghe, ma le assunsero a loro
insaputa.
Queste
forme di assunzione indiretta sono state chiamate in causa per provare a
dare un senso a fenomeni come le visioni legate alla stregoneria, oppure a
stati di coscienza alterati considerati all’origine dell’attività
creativa. In genere si tratta di un corpus di casi che possono coinvolgere
un singolo soggetto, ma anche intere comunità. Sono in questo senso
emblematiche le epidemie di ergotismo che hanno lasciato una traccia
profonda soprattutto tra il XI e il XII secolo. Il primo caso documentato
di ergotismo risale all’857; altre epidemie si verificarono in varie
aree dell’Europa: le ultime di cui si ha notizia sono quelle del 1926 in
Russia e del 1929 in Irlanda.
L’Ergot
La
Claviceps
purpurea, conosciuta
anche come Ergot,
che in francese indica lo sperone del gallo, deve questo nome alla sua
forma, che in alcuni casi è presente come parassita della segale e delle
graminacee in genere. Da qui la definizione “segale cornuta”, poiché
il fungo forma degli sclerozi (corpi fruttiferi, capaci di vivere
autonomamente nel corpo che li ha prodotti) simili a piccole corna che
caratterizzano la pianta infetta.
La
contaminazione alimentare prodotta da questo fungo è nota e studiata:
negli sclerozi sono contenuti molti alcaloidi appartenenti al gruppo delle
ergotine – tra cui l’acido lisergico – che determinano effetti anche
gravi all’organismo umano.
Le
proprietà dell’Ergot
erano già note nel passato lontano: almeno 3000 anni prima di Cristo, i
Cinesi se ne servivano per procurare aborti. Ne abbiamo traccia anche tra
i Greci: nella scuola medica di Ippocrate (V secolo a.C.) l’Ergot
era utilizzato come sonnifero. Anche Aristotele, nel Del sonno e della veglia (456,31), conferma questo utilizzo,
chiarendo che l’assunzione della Claviceps
purpurea provoca una sonnolenza simile all’ubriacatura. Nella
cultura ellenica questo fungo era anche indicato come thyaras, che significa “pianta della frenesia”.
Tracce
analoghe sono presenti anche nel mondo latino: significativamente Plauto,
in una sua commedia, propone un personaggio che avendo mangiato del loglio
vede cose che non esistono (Miles gloriosus, 315-323). Plinio il Vecchio conferma che il pane
contaminato provoca vertigini e a volte visioni (Historia naturalis, 18, 156).
Sono
molti gli studiosi convinti che l’Ergot
sia all’origine di tante allucinazioni di massa che, in particolare nel
medioevo, hanno profondamente influenzato la cultura del periodo.
Va
aggiunto che il consumo della Claviceps
purpurea non è solo all’origine di fenomeni allucinatori, ma
può anche avere delle gravi ricadute sul piano fisico: “Oggi sappiamo
che l’ergotismo si manifesta sotto due forme diverse: una di tipo
cancrenoso, spesso letale, conosciuta anche col nome di Fuoco di
sant’Antonio (da non confondersi con l’herpes zoster, chiamato nello stesso modo nel linguaggio popolare),
e un’altra, diffusa prevalentemente nell’Europa centro settentrionale,
a decorso pseudo epilettico, con sintomi rappresentati da convulsioni,
perdita dei sensi, delirio e allucinazioni.
Entrambe
le forme sono state storicamente diffuse per secoli e forse millenni, ma
nonostante ciò solo nel XVII secolo la scienza medica scoprì la causa
dei fenomeni da intossicazione da Ergot” (G. Camilla, 2003, pag. 140).
L’ergotismo
era quindi all’origine di tutta una fenomenologia in cui effetti
psichici e comportamentali, spesso collettivi, si
affiancavano ad altri decisamente devastanti sul piano fisico.
Il
Fuoco di sant’Antonio (come abbiamo visto confuso con l’herpes zoster per la coincidenza di alcuni sintomi, ma meno
pernicioso) può essere suddiviso in:
Ergotismus
convulsivus: sintomi
neuroconvulsivi di natura epilettica, allucinazioni determinate
dall’acido lisergico contenuti in alcuni sclerozi;
Ergotismus
gangraenosus: cancrena,
condizione in genere conseguente il convulsivus.
I fenomeni allucinatori determinati dall’Ergot,
quando ancora non erano note le sue proprietà, venivano spesso correlati
a situazioni soprannaturali: da qui il legame con la stregoneria e il
satanismo.
Se
pur in modo diverso, per molto tempo e fino al 1943 – quando Albert
Hofmann scoprì gli effetti allucinogeni di alcuni alcaloidi dell’Ergot – l’ergotismo continuò per molto tempo a rappresentare
una vera piaga sociale come le altre grandi epidemie (peste, colera,
influenza, ecc.) comunque gli ultimi casi documentati in Europa risalgono
al 1951!
L’ergotismo,
per la tipologia patologica in cui convivono effetti psichici gravi e
effetti fisici devastanti, ha profondamente agito sull’immaginario:
anche se non va escluso a
priori che nella tradizione popolare le proprietà della Claviceps
purpurea fossero note e sfruttate.
Per
esempio, “nel folklore germanico esiste una credenza secondo cui
“quando il vento scuote un campo di segale, il fenomeno sarebbe
provocato dalla madre della segale o dal dente di lupo, una specie di
demone che corre attraverso la segale in compagnia dei figli, i lupi della
segale o cani della segale, mitici esseri soprannaturali dal terribile
aspetto. Inoltre fra il lupo della segale e il lupo mannaro vi era una
profonda affinità, tanto che nei paesi di lingua germanica si credeva che
i lupi mannari si nascondessero proprio nei campi di segale” (G.
Camilla, 2003, pag. 142).
Un’eco
delle peculiarità dell’Ergot
anche nel linguaggio popolare europeo in cui troviamo definizioni come:
“Grano pazzo” o “Segale ubriaca”.
Vi
è chi sostiene che l’ergotismo abbia causato più danni della peste:
non sempre però è possibile stabilire con precisione l’entità dei
fenomeni per la mancanza di documenti. Quando ciò è stato possibile,
sono emersi dati sconvolgenti; per esempio, i casi studiati tra quelli
verificatisi in Europa nella seconda metà dell’XI secolo, hanno portato
alla luce una situazione estremamente drammatica: “le carni cadevano a
brani, come li bruciasse un fuoco sacro che divorava loro le viscere; le
membra a poco a poco rose dal male, diventavano nere come il carbone.
Morivano rapidamente fra atroci sofferenze oppure continuavano, privi dei
piedi e delle mani, un’esistenza peggiore della morte; molti altri si
contorcevano in convulsioni” (D. Colella, 1969, pagg. 68-69).
Va
inoltre aggiunto che non tutti i casi presentavano fenomeni patologici
identici: per esempio, in Francia prevaleva la forma cancrenosa, mentre
nell’Europa settentrionale e orientale a dominare erano gli effetti
allucinatori.
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Il
ruolo di sant’Antonio
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L’ergotismo
era anche detto “Fuoco di sant’Antonio” soprattutto in ragione della
relazione tra questo personaggio e il suo ruolo di guaritore
dell’invalidante patologia.
Infatti,
il santo abate è indicato, nella maggior parte delle fonti agiografiche e
folkloriche, come quel santo capace di produrre miracoli e di conseguenza
guarire quell’ignis sacer che nell’antichità indicava varie patologie (tra le
quali l’ergotismo).
L’importante
ruolo riconosciuto a questo santo fu tale da determinare la creazione di
un ordine di monaci, gli Antoniani, “che si dedicavano al soccorso degli
storpi e dei pellegrini, ma che soprattutto assistevano i malati di fuoco
sacro, compiendo anche l’amputazione degli arti, quando non cadevano
naturalmente in seguito alla cancrena. Sulle porte degli ospedali degli
Antoniani erano dipinte le fiamme, simbolo del fuoco che tormentava i
malati di ergotismo” (P. Di Pietro, 1981, pag. 50).
Con
la scomparsa dell’ergotismo, il “Fuoco di sant’Antonio” indicò
l’Herpes zoster, patologia
ancora oggi diffusa, anche se in misura minore che in passato: il santo
continuò a essere il referente principale per la guarigione, secondo
quelle modalità tipiche della medicina popolare.
I
santi taumaturghi, come Antonio abate, hanno svolto e in parte svolgono
ancora, una funzione determinante nella religiosità popolare; il loro
intervento è espressione, a vari livelli, della penetrazione
all’interno della dimensione terapeutica di valori eminentemente sacrali
e miracolosi, che hanno il loro humus già nella cultura terapeutica
precristiana.
Senza
dubbio l’analisi scientifica del fenomeno si trova a urtare contro
l’agiografia caratterizzante i santi taumaturghi, rendendo difficile
l’approccio privo di condizionamenti, poiché sono chiamati in causa
aspetti mistici, mitici e psicologici difficilmente separabili.
Dalla
Vita Antonii, scritta da
Atanasio d’Alessandria, Padre della Chiesa, apprendiamo che questo
santo, indicato come “fondatore dell’ascetismo”, nacque intorno
all’anno 251 nel medio Egitto. Figlio di benestanti, si allontanò da
ogni prospettiva di ricchezza, iniziando una vita di rinunce, di preghiera
e di penitenza, continuamente tormentato dagli attacchi dei demoni, che
con ogni mezzo cercavano di trascinarlo sulla strada del peccato. Il suo
primo rifugio fu una celletta, poi una tomba egizia, da ultimo si ritirò
sulle sponde del Mar Rosso.
Dopo
una vita esemplare, nel 356, all’età di 105 anni, restituì l’anima a
Dio, dopo aver pregato gli amici di dargli sepoltura in un luogo nascosto,
che non avrebbe mai dovuto essere svelato ad alcuno (la tradizione copta,
siriaca e bizantina fissano il giorno della sua morte il 17 gennaio. La Bibliotecha Sanctorum ci informa che nel 561 fu scoperto il suo
sepolcro tramite una rivelazione, e le sue reliquie furono trasportate in
Alessandria. Nel 635, durante l’invasione araba in Egitto, i resti del
santo furono trasportati a Costantinopoli e, poi, nel secolo XI furono
portate in Francia da un crociato di ritorno dalla Terra Santa.
Pazzini
considerava l’origine della tradizione sui poteri terapeutici di Antonio
abate come metafora della fede di questo santo capace di condurre anche i
pagani al Cristianesimo: “aveva una parola così suadente che molti
compunti e infiammati rinunciavano completamente al mondo e lasciando ogni
cosa, diventarono suoi discepoli” (A. Pazzini, 1937, pag. 270).
Popolarmente
il santo è raffigurato
accanto ad un maialino: al di là del molteplici richiami simbolici spesso
messi in campo a sproposito, più prosaicamente, va ricordato che il
grasso di maiale era utilizzato come medicamento per lenire il bruciore
dell’Herpes zoster.
Ancora
oggi, il 17 gennaio, in numerose località italiane, si accendono torce e
falò in onore di sant’Antonio abate: lasciando a latere le connessioni,
vere o presunte, con rituali solstiziali e altre pratiche di tradizione
agricola, constatiamo che tra questo santo e il fuoco vi è una parentela
sostenuta certamente dai falò e simili, ma anche da immagini e modelli
figurativi che hanno dato forma a un’iconografia sostanzialmente
stereotipata.
In
questa sede la figura del santo ci interessa per due motivi: il primo è
dovuto al fatto che il taumaturgo era evocato contro l’ergotismo e a lui
si lega l’Ordine degli Antoniani, che per molti secoli svolse un ruolo
importante nella cura e nell’assistenza dei sofferenti degli effetti
dell’ergot.
Il
secondo si connette a quella fenomenologia nota come le “tentazioni di
sant’Antonio”.
Si
tratta di una serie di “prove” che il santo fu costretto a subire,
resistendo agli assalti dei demoni che lo travolsero - con lusinghe ma
anche percosse - durante il periodo in cui viveva in isolamento nel
deserto.
Queste
esperienze, se pur condizionate dall’agiografia, sono state oggetto di
grande attenzione da parte dell’arte: infatti “Le tentazioni di
sant'Antonio” sono uno tra i temi più amati dagli artisti del tardo
medioevo.
Nella
pittura, in genere, prevalgono demoni ibridi, frutto delle più perverse
macchinazioni iconografiche, scaturite dalle ricostruzioni apocalittiche
dell’arte del XV-XVI secolo.
La
convinzione che il diavolo cercasse con modi anche grotteschi e con
continue metamorfosi di strappare qualche anima, fu ampiamente diffusa già
nei primi secoli del Cristianesimo, quanto Atanasio (295-373) vescovo di
Alessandria, scrisse la Vita Antonii,
in cui è descritta l’esperienza del nostro eremita.
Nel
medioevo la figura del santo trovò ulteriore eco nella devozione
popolare, anche in seguito alla traslazione delle sue reliquie da
Costantinopoli in Francia.
Alle
reliquie fu poi riconosciuto il potere di guarire l'ignis
sacer; come già indicato alla cura dei malati erano consacrati i
volontari dell'Ordine degli Ospedalieri di Sant'Antonio, sorto nel 1095 e
diffusosi tra il XII e il XIV secolo in numerose località europee.
Qualcuno
si è domandato se le visioni diaboliche, in cui Satana prima si traveste
per lusingare e condurre al peccato e poi si muta in persecutore, in realtà
non rientrino nella scia delle allucinazioni indotte attraverso
l’assunzione indiretta di sostanze stupefacenti.
Nel
deserto, luogo di espiazione, ma anche territorio del peccato, Antonio,
che aveva scelto come propria dimora una tomba, fu più volte tentato dal
diavolo, ma, ci ricorda Atanasio, “il miserabile si adattava anche a
trasformarsi di notte in una donna e a imitarla in tutte le maniere pur di
sedurlo”.
In
numerose occasioni demoni lo percossero, si trasformarono in mostri, ma
senza sortire mai alcun effetto, lasciandolo ancora vincitore nella sua
melanconica calma saturnina.
Si
aggiunga che digiuno e astinenza, in aggiunta ad altri stati
condizionanti, potrebbero aver influito nella formazione delle
“visioni” di Antonio: non dimentichiamo che la fame è una tra le
droghe più potenti!
La
sottoalimentazione e il consumo di cereali si inquadrano nell’eziologia
dell’ergotismo. Inoltre – ed è sempre Atanasio a darcene notizia –
Antonio soffriva d’insonnia e sosteneva di essere attaccato dai demoni
che lo lasciavano prostrato: tipica sintomatologia ergotica?
Sofferenze
a allucinazioni che però in breve erano dimenticate e così Antonio
poteva riprendere la sua normale esistenza.
I
demoni e i mostri che trapuntavano le visioni di Antonio erano
impalpabili, si dissolvevano quando il santo provava a toccarli;
l’eventuale intossicazione era aggravata dalle carenze vitaminiche e
proteiche, oltre che dalla disidratazione provocata dal clima desertico,
inoltre “la sua dieta di solo pane poteva essere responsabile di
un’intossicazione i cui effetti sono molto simili a quelli prodotti
dall’Lsd, intossicazione che nella sua sintomatologia è troppo vicina a
quella dell’ergotismo delirante per non destare sospetti” (G.
Camilla, 2003, pag. 155).
Forse
il pane consumato da Antonio era di farina di segale (il pane dei poveri)
coltivata in Asia dal IV secolo e conteneva la Claviceps purpurea?
È
un’ipotesi difficilmente dimostrabile, ma senza dubbio suggestiva,
soprattutto se teniamo conto del ruolo di sant’Antonio nelle tradizione
terapeutiche caratterizzanti l’ergotismo.
|
|
Nei
secoli in cui parte dell’Europa occidentale fu travolta dal fenomeno
della stregoneria, nei luoghi in cui la caccia fu più diffusa si
registrarono sintomatologie tra le donne accusate di essere al servizio di
Satana, caratterizzate da significative analogie anche in comunità molto
lontane. Senza entrare nel merito delle visioni segnalate in seno alla
stregoneria, in questa occasione ci soffermiamo esclusivamente sulla
possibile influenza dell’ergotismo nelle credenze sulla stregoneria.
Abbiamo
così modo di osservare che spesso numerose streghe (ma anche alcune delle
loro vittime) presentavano caratteristiche interpretate come espressioni
soprannaturali, ma che razionalmente possono rientrare tra i sintomi
dell’ergotismo:
-
disturbi
del sistema nervoso centrale
-
allucinazioni
-
sintomi
paranoidi
-
tremori
-
anestesie/parestesie
-
modificazioni
tratti facciali.
Anche in relazione al cosiddetto “marchio diabolico” (segno sulla
pelle che gli inquisitori ricercavano come testimonianza oggettiva
dell’appartenenza dell’imputato alla setta delle streghe) sono state
suggerite alcune ipotesi che vanno nelle direzione dell’ergot.
Comparando le testimonianze contenute nei documenti, in realtà è
possibile evincere una possibile connessione tra alcuni presunti “marchi
del diavolo” e gli effetti cancrenosi dell’ergotismo: ma si tratta
comunque di un riferimento che non va oltre all’ipotesi di lavoro, di
cui è difficile immaginare uno sviluppo sul piano scientifico.
Studi
in questo senso comunque non mancano (G.L. Kittredge, 1929;
A. Mc Farlane, 1970) e hanno trovato numerosi sostenitori: tra i
lavori più articolati quelli che hanno come soggetto i noti casi di Salem
del 1691 (L. Caporael, 1976, pagg. 21-26), dove una serie di fenomeni di
isteria collettiva potrebbero in realtà essere state originate
dall’assunzione di allucinogeni presenti nelle farine contaminate.
Ci
siamo qui limitati a un breve accenno alle problematiche relative alla
relazione ergotismo-stregoneria, consapevoli che l’argomento da solo
meriterebbe un libro. Andrebbe inoltre effettuata una valutazione in
controcampo: cioè si potrebbe provare a pensare all’affermazione
dell’idea della strega guardando però non all’imputata, ma alla
vittima. Mettere quindi in primo piano gli eventuali malesseri della
comunità, ma non quelli connessi alla patologia sociale (capro
espiatorio), ma quelli che travolgono il corpo. All’origine vi poteva
quindi essere anche l’ergotismo ma, ci sia concesso, di certo non solo
questo…
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Pain
maudit
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Point-Saint-Esprit
è un villaggio francese con meno di diecimila abitanti, situato nella
Linguadoca-Rossiglione: da qualche tempo si è liberato da un’aura di
mistero che da alcuni decenni lo avvolgeva. Infatti sembrerebbe che
l’annosa questione del Pain maudit
acquisti una fisonomia più chiara. Quel pane, nell’agosto 1951,
determinò un inquietante caso di follia collettiva nel villaggio
francese. Almeno cinque persone morirono, decine furono rinchiuse in
manicomio e centinaia diedero segni di delirio e allucinazioni.
Fino
a tempi recenti, quell’episodio fu attribuito a una muffa con proprietà
allucinogene che accidentalmente avrebbe contaminato la farina del pane.
Insomma un fenomeno che ricorda le epidemie di ergotismo del passato. Ma
nella primavera 2010 un reporter americano ha fornito alla pubblica
opinione una versione decisamente controcorrente: all’origine della
follia collettiva di Point-Saint-Esprit un esperimento della Cia. La
notizia – tutta da verificare – è stata immediatamente rilanciata dai
mass media di mezzo mondo: gli “007 contaminarono le baguette vendute
nei forni del paese con Lsd, nell’ambito di un esperimento top secret di
controllo della mente che dal 1953 al 1956 coinvolse anche migliaia di
americani ignari, tra militari, studenti universitari e pazienti di
ospedali” (“Corriere della Sera”, 13 marzo 2010).
Tra
la popolazione, l’acido lisergico ebbe un effetto devastante: ci fu chi
venne colto da delirio omicida; chi tentò di suicidarsi affermando di
essere divorato da serpenti; un uomo convinto di essere un aeroplano si
lanciò dalla finestra. Molte persone furono rese innocue con la camicia
di forza.
Secondo
questa versione, quella che molti considerano ancora l’unica, le
baguette allucinogene sarebbero state prodotte con farina di segale con
ergot. Vi fu anche chi ipotizzò una
contaminazione da mercurio. Oggi il tutto sarebbe riconducibile a
“esperimenti” effettuati per testare l’Lsd (come è noto basato
sulla sinterizzazione dell’acido lisergico dell’ergot): il “pane
maledetto” sarebbe così divenuto l’ospite più adatto per verificarne
gli effetti sull’organismo umano.
Hank
P. Albarelli Jr., che all’argomento ha dedicato un libro destinato a
fare molto rumore, sostiene che l’esperimento avrebbe avuto il ruolo di
fornire elementi per l’utilizzo dell’Lsd come arma da guerra da usare
con spie e prigionieri. Insomma un caso da incidente diplomatico che ha
diviso la comunità scientifica: la maggior parte della quale continua a
sostenere che quando accadde nell’agosto 1951 a Point-Saint-Esprit fu
effetto di microtossine di muffe presenti nel magazzini in cui erano
conservate le farine.
|
Un
misterioso fenomeno italiano
|
In
chiusura di capitolo ci soffermiamo su una vicenda alquanto singolare
verificatasi nel XVI secolo alle porte di Bergamo e che alcuni studiosi
indicano come un nostrano caso di ergotismo (R. Scotti, 2007). Si tratta
di un caso articolato che in questa occasione riportiamo sinteticamente,
rimandando allo studio di R. Scotti (op.
cit.) per maggiori approfondimenti e per la bibliografia (Nota del
webmaster: l'articolo di Riccardo Scotti è
pubblicato in questo sito;
immagini fotografiche cliccando
qui).
L’area
in cui si verificò il fatto è situata tra Verdello, Osio Sotto e Levate:
qui, verso la fine del 1517, numerose
persone furono testimoni di strane apparizioni che allora, per le loro
caratteristiche, suscitarono non poca inquietudine.
Sulla
base delle testimonianze allora raccolte, gli eventi avrebbero avuto come
fulcro la chiesetta di San Giorgio, situata in mezzo alla campagna e oggi
ridotta a pochi ruderi.
Tentando
di collazionale le varie fonti, si scopre che nella sostanza il tema
dominante delle visioni si focalizza su “combatimenti de spiriti”.
Nella Biblioteca Apostolica Vaticana è conservato il diario di un anonimo
chierico francese che descrisse gli eventi; l’autore scriveva che, nel
corso delle apparizioni, furono visti molti armigeri, a piedi e a cavallo,
che combattevano tra loro.
In
altre descrizioni e testimonianze si fa riferimento a due ombre senza
testa e molto scure avanzare sulla neve e poi sparire (4 Gennaio 1518,
Lettera di Antonio Verdello a Paolo Morosini, in M. Sanudo,
1879-1903,
Diarii, 58 voll., Venezia, vol.
XXV), fino a ricostruzioni non
prive di enfasi:
“una
quantità de animali, aquile nere, falconi, corvi ed altri animali
sconosciuti” (Lettera di Antonio Manzoni da Este di Martinengo a
Leonardo Alexis, giudice di Bernardo Bembo e podestà di Verona, in M.
Sanudo,
1879-1903,
Diarii, 58 voll., Venezia, vol.
XXV, 4, 270);
“per
tre o quattro volte el giorno si vede uscir fuora da certi boschi con
grandissima et perfectissima ordinaza battaglioni di fanti di 10000 over
120000 per battaglia da ogni sorte di belle arme coverti” [S. d., s. A.,
Copia delle stupende et horribile
cose che ne boschi di Bergamo sono a questi giorni apparse (pubblicato
in forma di lettera spedita dal castello di Villachiara il 23 Dicembre
1517, da Bartholomeo de Villachiara al veronese Onofrio Bonnuncio). Poi si
fa riferimento a un “Re con fierissimo aspetto” alla guida delle
truppe combattenti: dopo lo scontro cruento tutto scompare senza lasciare
tracce.
Le
strane vicende registrate nella Bergamasca. Come prevedibile, furono
dominio della mitologia popolare coeva, poi divennero oggetto di ulteriori
esasperazione leggendaria con la tradizione colta romantica.
Numerosi
i documenti reperibili negli archivi e nelle pubblicazioni, per un
episodio tutto sommato marginale del mondo contadino italiano.
Mentre
vi era chi tentava di dare una caratura profetica alle visioni dei
verdellesi, non mancarono interpretazioni dirette a rivelare all’origine
dei fatti la componente satanica.
Alla
luce degli studi condotti comparando eventi locali coevi agli
avvistamenti, sembrerebbe non improbabili che alla base dei fenomeni di
allucinazione “collettiva” vi fosse l’assunzione di sostanze
allucinogene contenute nel cibo.
Fondamentale
in questo caso la carestia che travolse l’area in sui si verificarono le
apparizioni: “la gente si cibava di tutto ciò che poteva essere
mangiato, arrivando a estremi orribili. Nella migliore delle ipotesi,
finite le scorte dei cereali normalmente usati per produrre farina e pane,
si utilizzavano granaglie eterogenee recuperate nei campi e si arrivò
anche a usare il loglio, erba graminacea che normalmente si usava e
tuttora si usa, come foraggio per gli animali (…) I suoi frutti
contengono alcaloidi e sono portatori (al 96% circa) di un micelio fungino
tossico che, se si trova mescolato nei cereali alimentari, può produrre
stati di stordimento e ubriacatura, arrivando a essere anche assai
pericoloso” (R. Scotti, 2007, pag. 79).
Nella
sostanza, l’uso del loglio, di erbe e di altri prodotti in diversa
misura psicoattivi, potrebbe essere alla base delle visioni che nel 1517
si registrano nella Bergamasca.
Quella
singolare fenomenologia era quindi l’effetto dei “sintomi sbalorditivi
di profonda miseria psichica, di angosce paralizzanti, di permanente
debilità intellettuale e di devastanti meccanismi allucinatori prodotti
da un clima mentale e materiale profondamente
intossicato dagli spettri dell’invisibile, dalle erbe e dai grani
che alimentavano quei corpi sofferenti e ammalati” (P. Camporesi, 1990,
pag. 414).
Si
aggiunga inoltre che la chiesetta di San Giorgio era un punto di
riferimento importante nella geografia della medicina popolare: in questo
luogo giungevano infatti molti malati che chiedevano di essere
miracolosamente guariti da malattie gravi, che i cronisti dell’epoca
indicano come peste e lebbra. Vi è però la possibilità che malattie
indicate come “peste e lebbra” in realtà fossero patologie rientranti
nella scia dell’ergotismo, conseguenza delle condizioni socio-sanitarie
caratterizzanti allora la comunità.
In
una situazione del genere anche le visioni farebbero parte della dinamica
patologica di ergotismo e similari. L’allucinazione era uno degli
aspetti della malattia la cui degenerazione poteva condurre alla morte. in
questo senso è alquanto significativo che nelle fonti sui casi di
Verdello si riferisca di testimoni morti dopo aver assistito alle
“visioni”.
Bibliografia
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Scotti
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1517 nei pressi di Verdello, in “Altrove”, n. 13, 2007.
|
(Autore:
Massimo Centini) |
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