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 Il grande osservatorio astronomico dei Comenses

   di

  Adriano Gaspani

        I.N.A.F - Istituto Nazionale di Astrofisica

              Osservatorio Astronomico di Brera - Milano

           adriano.gaspani@brera.inaf.it

Nei primi mesi del 2007, in località Tre Camini - Ravona, nel comprensorio del comune di Montano Lucino, in prossimità del punto in cui il torrente Val Grande confluisce nel Seveso, durante i lavori per la costruzione del nuovo ospedale Sant'Anna di Como, emerse dagli scavi di sbancamento e di sistemazione dell’area un grande circolo di pietre, venuto alla luce nel corso delle operazioni di deviazione dell'alveo del torrente.

 

Immagine satellitare ripresa nel 2007 che mostra parte del cantiere aperto in località Tre Camini – Ravona e la posizione del “Grande Cerchio”.

 

Il grande anello circolare è stato rilevato da satellite a scavo aperto e proprio nella fase in cui gli archeologi ne avevano messo in evidenza quasi completamente le caratteristiche archeologiche e strutturali.

 

Le immagini disponibili sono caratterizzate da una risoluzione spaziale sufficiente per l’esecuzione dei rilievi archeoastronomici.

 

Le immagini sono state elaborate con sofisticati algoritmi di image-processing, molti dei quali messi a punto da Adriano Gaspani, hanno permesso di ottenere una mappatura molto accurata del sito nonché di ripartire l’informazione contenuta nelle immagini nelle sue componenti fondamentali di frequenza spaziale in modo da studiare le caratteristiche del manufatto in maniera individuale e molto accurata. Gli algoritmi applicati hanno anche permesso di sintetizzare una serie di immagini di altissima risoluzione spaziale mediante un processo di “image restoration” applicando l’algoritmo iterativo di Richardson-Lucy. Questa procedura basata su alcuni principi della Teoria della Probabilità Bayesiana, migliora l’immagine di partenza mediante miglioramenti progressivi che comportano la sintesi di immagini successive in cui avviene un progressivo aumento delle risoluzione spaziale e la rivelazione di dettagli sempre più fini di cui l’immagine contiene una quantità di informazione anche frammentaria. Dopo un certo tempo di elaborazione l’algoritmo converge verso la soluzione più probabile del problema di deconvoluzione, quindi verso l’immagine più probabile di maggior dettaglio e quindi quella teoricamente più vicina alla realtà. La risoluzione dell’immagine di partenza era pari a 59,6 cm/pixel sul terreno, mentre l’immagine finale ottenuta dopo il processo di “image restoration” è stata pari a 5,5 cm/pixel permettendo il riconoscimento di dettagli dell’ordine di meno di 10 cm di dimensione con un livello di probabilità pari al 95%. Successivamente sono stati applicati diversi filtri con l’obbiettivo di mettere in evidenza i contorni dei particolari più minuti operando anche in falsi colori al fine di rendere l’immagine più definita possibile. Sulla base del materiale di partenza così ottenuto è stato possibile eseguire tutte le necessarie misure sia lineari che angolari utili all’analisi archeoastronomica del manufatto.

 

La tipologia della struttura del “Grande Cerchio” è analoga a quella dei recinti tombali tipici della Cultura di Golasecca, ma con la caratteristica di essere circa dieci volte più grande: circa 68 metri di diametro esterno. Lo scavo archeologico ha mostrato che il manufatto è caratterizzato da una particolarissima struttura delimitata da due corsi periferici di pietre distanziati di circa 1,50 metri l’uno dall’altro che delimitano due cerchi concentrici, di circa 67 e 69 metri rispettivamente, al centro geometrico dei quali è posta una piattaforma circolare di circa 27 metri di diametro la quale mostra una pavimentazione in ciottoli solamente sulla mezzaluna settentrionale, mentre sulla metà meridionale la pavimentazione è assente ed è sostituita da un riporto in terra battuta il quale ne delimitava perfettamente il profilo semicircolare.

 

 

            Un segmento del doppio corso di pietre che delimita il “Grande Cerchio”

Ricostruzione della probabile struttura originaria del “Grande Cerchio” con la piattaforma centrale semipavimentata.

 

La dicotomia peraltro molto netta ed evidente si sviluppa lungo una direzione orientata secondo un azimut astronomico, (contato dalla direzione nord del meridiano astronomico locale positivamente girando verso est) pari a 281°,6 verso ovest e 101°,6 verso est, con un’incertezza dell’ordine di 1° in più e in meno. Al centro geometrico della piattaforma circolare è posta una buca di palo di circa 42 cm di diametro superiore e 10 cm di diametro a 30 cm di profondità nella quale era in origine alloggiato un palo verticale di circa 30 cm di diametro nella parte emersa e una forma a cono fino a ridursi a circa 10 cm di diametro nella parte immersa nella buca, in modo da incastrarsi perfettamente mantenendosi stabilmente e rigorosamente verticale, rivestendo il ruolo funzionale di collimatore. Nella parte meridionale del corridoio periferico delimitato dal doppio corso di pietre, esiste un’altra buca di palo cilindrica di dimensioni esterne comparabili con quelle della buca centrale, quindi una quarantina di centimetri, e di profondità pari a 55 cm, la quale è posta in modo da materializzare, con quest’ultima, una linea che è orientata secondo un azimut astronomico pari a 5°,5 verso nord e 185°,5 verso sud.

Ricostruzione prospettica del “Grande Cerchio” con la posizione occupata dai due pali.

 

Tale linea non risulta quindi ortogonale alla linea di demarcazione tra i due settori semicircolari che compongono la piattaforma centrale del manufatto. Appare immediatamente evidente che i due pali avevano la funzione di materializzare un allineamento lungo una particolare direzione ruotata di 5°,5 verso est rispetto alla direzione nord del meridiano astronomico locale. L’area circolare compresa tra il doppio corso di pietre e la piattaforma centrale mostra tracce di una doppia aratura probabilmente rituale eseguita presumibilmente durante la fase di fondazione secondo uno schema ortogonale sovrapposto la cui orientazione è risultata essere astronomicamente significativa secondo una direzione concorde con il tramonto delle stelle della Cintura di Orione. Successivamente fu riportato sopra uno strato di terra sul quale fu stabilita una struttura a raggiera stesa tra il bordo della piattaforma centrale e la periferia del manufatto. Gli spicchi circolari furono evidenziati riportando alternativamente, uno accanto all’altro, strati di terra chiara e scura. La distribuzione degli spicchi è solo apparentemente uniforme in quanto sia lo scavo archeologico sia il deterioramento del sito in seguito al tempo trascorso sotto terra mostrano che l’ampiezza dei settori non è costante su tutta la circonferenza, ma grosso modo è possibile fissare intorno ai 5° l’intervallo angolare medio pertinente a ciascun settore tanto che possiamo ritenere in prima approssimazione che l’intera corona circolare fosse divisa in 72 settori, 36 di colore chiaro e 36 di colore scuro. I settori furono stabiliti delimitando le linee di demarcazione con corsi di piccole pietre di colore chiaro. L’area interna al circolo fu mantenuta accuratamente pulita durante tutto il periodo in cui il manufatto fu in uso (circa 1 secolo) tanto che non è stato possibile rinvenire per mezzo degli scavi alcun residuo archeologicamente significativo sia di tipo antropico che appartenente alla cultura materiale.

Il doppio corso di pietre periferico in fase di scavo e sullo sfondo il profilo dell’orizzonte naturale locale nella direzione orientale.

 

Il sito risulta essere decisamente inusuale, probabilmente un caso unico per l’ambiente preistorico e protostorico celtico cisalpino, anche se l’analisi delle immagini da satellite potrebbe suggerire la presenza di un secondo manufatto più piccolo, anch’esso a pianta circolare posto a circa 150 metri di distanza verso sud-ovest e non ancora scavato. Quale funzione aveva questa monumentale struttura? La collocazione cronologica del manufatto è stata stabilita dagli archeologi all’età del Ferro, in particolare il sito fu attivo nel VI secolo a.C. quindi appartiene alla fase IIA della Cultura di Golasecca.  Esistono poi anche alcuni reperti probabilmente risalenti all’età del Rame, tra il quali un allineamento formato da alcune steli granitiche posto qualche centinaio di metri verso nord, risultato anch’esso astronomicamente significativo e connesso con i  punti di  levata e di tramonto della Luna ai lunistizi estremi. Dagli scavi sono emerse  anche alcune tombe ad incinerazione celtiche dell’Età del Ferro due delle quali attribuibili a guerrieri i quanto vi sono state rinvenute le spade.

 

Immagine aerea a bassa quota del grande manufatto golasecchiano. Sono ben visibili sul terreno i settori a raggiera che occupano la parte compresa tra il doppio corso di pietre e la piattaforma centrale. Sullo sfondo è posto il settore in cui sono state rinvenute le steli risalenti all’età del Rame.

 

Le tombe dovrebbero risalire al V sec. a.C. e pare siano state inserite in una fase successiva all’utilizzo della grande struttura circolare, sulla quale il mistero è fitto sia dal punto di vista della sua origine che delle sue funzioni. Quest’ultimo è l’aspetto che appare essere il più importante in quanto, scartata l’ipotesi del sito funerario, non rimane che ipotizzare una funzione cultuale la quale, con rilevante probabilità potrebbe aver avuto un collegamento con l’osservazione del cielo e dei suoi fenomeni.

 

Modello geometrico del Grande Cerchio comasco nell’ipotesi che i settori  siano ampi mediamente 5° ciascuno. I numeri indicano l’azimut astronomico contato della direzione nord del meridiano astronomico locale.

Allo stadio attuale delle ricerche la significatività astronomica del manufatto appare chiara al di là di ogni ragionevole dubbio. Le moderne tendenze nel campo delle ricerche archeoastronomiche mostrano in maniera sempre più frequente che non è importante solamente la presenza, nei siti, di alcune linee astronomicamente significative esplicitamente materializzate mediante opportune disposizioni di monoliti e/o buche di palo, ma anche la loro posizione topografica rispetto ai particolari orografici che costituiscono il profilo dell’orizzonte naturale locale, soprattutto nelle direzioni est ed ovest, compresi entro l’arco ortivo ed occaso annuali del Sole ed eventualmente entro gli archi lunistiziali lunari. E’ noto che in epoca antica l’osservazione astronomica avveniva ponendo l’osservatore in un determinato luogo, tendenzialmente in un sito a cui era attribuita una notevole valenza sacrale, e da quel luogo venivano eseguite le osservazioni  della levata e del tramonto degli astri importanti nell’ambito di quella determinata cultura.

 

Rapporto tra i settori del “Grande Cerchio” e gli archi ortivo ed occaso del Sole, nell’ipotesi di divisione della circonferenza in 72 settori.

 

Tecnicamente tale luogo è il “punto di stazione”. Da esso venivano compiute le osservazioni astronomiche mediante due tipi di traguardi: il primo consisteva nell’utilizzare come “punti di collimazione” alcuni particolari orografici che facevano parte del paesaggio di sfondo visibile da quel luogo, cioè l’orizzonte naturale locale, in modo tale che la levata oppure il tramonto di determinati astri, ad esempio il Sole oppure la Luna, potesse essere osservata in corrispondenza della cima di talune colline oppure entro le selle formate dalla loro sovrapposizione sul paesaggio di sfondo. Il secondo modo era invece quello classico di disporre opportunamente alcuni punti di collimazione artificiali, quali monoliti oppure pali in legno, in modo da materializzare gli allineamenti astronomici importanti direttamente nel sito.

 

 

Rapporto tra i settori del “Grande Cerchio” e gli archi ortivo ed occaso della Luna ai lunistizi, nell’ipotesi di divisione della circonferenza in 72 settori.

 

Nel caso del “Grande Cerchio” appare subito evidente osservando le immagini da satellite che la sua posizione topografica è molto favorevole dal punto di vista archeoastronomico in quanto era possibile utilizzare il complesso profilo delle alture poste a sud-ovest della città di Como, in particolare il Monte Croce, il Monte Caprino ed il Monte Tre Croci, come un sistema di punti di collimazione dietro ai quali erano visti sorgere gli astri che si avvicendavano lungo l’anno solare tropico, permettendo ai contadini e agli allevatori la regolazione stagionale dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame nonché alla classe sacerdotale la gestione del culto. Il settore di orizzonte naturale locale interessato dall’estensione dell’altura comprendente il Monte Croce (536 mt. s.l.m.) e, più a sud, il Monte Caprino (461 mt. s.l.m.) occupa un intervallo di azimut astronomico che si stende tra i 20° ed i 81°,2 al quale si sovrappongono parzialmente sia l’arco ortivo del Sole che alla latitudine geografica a cui è posto il manufatto, va dai 59°,3 ai 130,4°, che quello lunare che si stende tra i 52°,3 ed  i 141°,3 nel caso di un’altezza angolare media dell’orizzonte naturale locale pari a 4° rispetto a quello astronomico locale.

 

 

Punti di levata e di tramonto delle stelle più luminose visibili ad occhio nudo in rapporto ai settori in cui è diviso il “Grande Cerchio”, nell’ipotesi di ampiezza angolare media di 5° per settore.

 

 La varietà del profilo del paesaggio di sfondo poteva ritardare giornalmente di poco la levata dell’astro diurno ed anticiparne il tramonto di una piccola quantità variabile a seconda dell’altezza angolare apparente dell’orizzonte naturale locale e dell’altezza angolare locale della forestazione in quella particolare direzione. Circa a metà del profilo di tale altura, che tra l’altro ospita l’insediamento protostorico di Pianvalle, era visto sorgere il Sole al solstizio d’estate, quando la sua declinazione era la massima possibile e quindi l’astro levava in corrispondenza del suo punto più settentrionale. Lungo l’orizzonte il tramonto del Sole solstiziale estivo era visibile invece a nord-ovest nella direzione del Monte Cucco (572 mt. s.l.m.). Successivamente continuando in senso orario si rileva la strettoia compresa tra le pendici del Monte Caprino e quelle del Monte Tre Croci la quale si posiziona ad un azimut astronomico vicino ai 90°; quest’ultima direzione è quella della linea equinoziale, cioè la direzione di levata del Sole agli equinozi, ma soprattutto quella delle stelle che nel VI sec. a.C. erano poste sull’equatore celeste.

 

 

L’utilizzo del “Grande Cerchio” come sito e strumento di osservazione astronomica potrebbe prevedere il posizionamento dell’osservatore lungo il corridoio delimitato dai due corsi di pietre periferici e la collimazione degli astri in levata ed in tramonto utilizzando il palo posto nella buca centrale del manufatto, realizzando collimazioni molto accurate ed eseguite praticamente sempre alla stessa distanza dal punto di collimazione.

L’osservazione della levata del Sole al solstizio d’inverno era possibile nella direzione sud-est verso la posizione dell’attuale abitato di Senna Comasco, mentre il suo tramonto era visibile nella direzione in cui attualmente sorgono gli abitati di Villa Guardia e Lurate Caccivio. Appare molto probabile che l’utilizzo del grande cerchio di Tre Camini possa aver previsto un’attività di osservazione astronomica portata avanti con continuità dalla popolazioni protostoriche insediate nell’area occidentale a valle della Spina Verde.

 

 

La levata eliaca di una stella si riferisce al primo giorno di visibilità, ad occhio nudo, dell’astro, ad oriente, prima del sorgere del Sole. In questo caso la stella, appena sorta, si trova pochi gradi sopra la linea dell’orizzonte astronomico locale, mentre il Sole è ancora alcuni gradi sotto di esso; il cielo è in questo caso già relativamente rischiarato dalla luce del Sole che sta per sorgere.

 

Gli studi eseguiti in passato da Adriano Gaspani, e pubblicati nel 1999 in un volume dal titolo “La Cultura di Golasecca: Sole, Luna e Stelle dei primi Celti d’Italia” (Keltia ed. Aosta), in relazione alle conoscenze astronomiche diffuse presso le culture celtiche a preceltiche locali dell’area comasca, bergamasca e varesina, hanno messo in evidenza la grande importanza assegnata all’osservazione della levata eliaca delle stelle più luminose visibili nel cielo, fenomeno che avviene una volta l’anno, nonché al punto in cui tali astri venivano visti sorgere notte dopo notte durante il periodo della loro visibilità (levata ordinaria) durante l’anno. La levata eliaca di una stella si riferisce al primo giorno di visibilità, ad occhio nudo, dell’astro, ad oriente, prima del sorgere del Sole. In questo caso la stella, appena sorta, si trova pochi gradi sopra la linea dell’orizzonte astronomico locale, mentre il Sole è ancora alcuni gradi sotto di esso; il cielo è in questo caso già relativamente rischiarato dalla luce del Sole che sta per sorgere. Questo fenomeno si verifica solamente una volta l’anno, in periodi diversi per ciascuna stella, a seconda della sua particolare posizione sulla sfera celeste, in quanto il Sole a causa del moto orbitale della Terra si sposta apparentemente tra le stelle percorrendo le costellazioni zodiacali nell’arco di 1 anno siderale.  Per questo motivo l’osservazione delle levate eliache fu utilizzata dai popoli antichi quale efficace sistema calendariale. Spesso concomitantemente all’epoca della levata eliaca di una determinata stella veniva celebrata una festa la quale era generalmente connessa, dal punto di vista rituale, sia all’evento astronomico che ne determinava la ricorrenza, sia all’evento sociale che doveva essere celebrato.

 

In ambito celtico transalpino ad esempio conosciamo che le quattro feste rituali principali erano connesse con la levata eliaca di quattro stelle luminose, Antares, Aldebaran, Capella, e Sirio, la prima delle quali stabiliva anche l’epoca di inizio dell’anno agricolo e rituale, oltre che della stagione invernale e la seconda sanciva l’inizio della stagione estiva.  Le stelle di cui rileviamo l’esistenza di allineamenti verso il punto di prima visibilità alla data della levata eliaca, osservabili dal sito di Tre Camini in rapporto al paesaggio locale di sfondo, avrebbero potuto permettere di scandire l’anno in maniera abbastanza fitta e regolare. Questo significa che se il grande circolo con la sua piattaforma centrale pavimentata a metà servì quale luogo di culto e di osservazione astronomica, allora non poteva essere costruito in altro luogo che in quello effettivamente occupato. In secondo luogo va tenuto presente che per stabilire una posizione astronomicamente favorevole all’osservazione è necessario eseguire prima tutta una serie di osservazioni astronomiche con il fine ultimo di stabilire quale sia il luogo più adatto e favorevole. Questo implica in maniera del tutto naturale che le antiche popolazioni lariane fossero in grado di eseguire tali osservazioni e quindi, come già dimostrato in altre occasioni dalle ricerche archeoastronomiche, fossero dotate di un bagaglio culturale che comprendeva una notevole conoscenza del cielo e dei suoi fenomeni nonché la capacità e l’abilità di eseguire accurate osservazioni degli oggetti celesti. La presenza di una piattaforma pavimentata posta al centro del grande cerchio sembrerebbe confermare l’utilizzo del sito quale luogo permanente di osservazione astronomica, come è stato messo in evidenza anche presso altri siti prodotti da altre culture celtiche transalpine ed insulari, durante l’età del Ferro. A quanto pare i Comenses  costruirono quel manufatto proprio con il fine ultimo di osservare il cielo e di tenere sotto controllo i punti di levata e di tramonto dei corpi celesti più luminosi, visibili ad occhio nudo, ed il loro moto apparente sulla sfera celeste durante il corso dell’anno. Le finalità ultime di questo manufatto e dell’attività che taluni personaggi specializzati vi avrebbero svolto, furono probabilmente connesse con la pianificazione delle cerimonie religiose che dovevano essere celebrate in corrispondenza di particolari date stabilite lungo l’anno, la pianificazione dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame.  Una fondamentale domanda a cui è necessario rispondere riguarda la funzione del doppio corso di pietre periferico ampio circa 150 centimetri  pavimentato all’interno. Ragionando in un’ottica archeoastronomica la risposta è relativamente semplice ed immediata: i due corsi di pietre definivano un corridoio percorribile comodamente a piedi da una o più persone, tanto che tale corridoio risulta pavimentato da una massicciata interna ad esso. Il corridoio che si sviluppava lungo tutta la circonferenza permetteva di traguardare il palo posto nel centro del manufatto in modo da collimare qualsiasi punto dell’orizzonte naturale locale in corrispondenza del quale poteva essere osservata la levata degli astri, ad oriente, ed il loro tramonto ad occidente, mantenendo sempre la stessa distanza dal palo centrale. L’astro principale visibile quotidianamente ad occhio nudo nel cielo è il Sole il cui diametro angolare medio durante l’anno è dell’ordine del mezzo grado, quindi 30’ d’arco circa. Supponendo che l’osservatore posto alla periferia del manufatto, entro il corridoio delimitato dal doppio corso periferico di pietre, collimasse il disco solare alla levata o al tramonto dietro il palo centrale in modo da occultarlo interamente ed esattamente, avrebbe raggiunto la massima accuratezza di collimazione e quindi anche la massima precisione nello stabilire la posizione dell’astro rispetto ai punti di riferimento sull’orizzonte naturale locale. La distanza a cui l’osservatore deve posizionarsi affinché un palo verticale di 30 cm di diametro copra esattamente il disco solare è pari a 34 metri, misura lineare che corrisponde molto bene al raggio esterno del “Grande Cerchio”: va da se che il esso potrebbe essere stato stabilito dai “Comenses” proprio eseguendo la collimazione del disco solare dietro il palo centrale all’alba o al tramonto arretrando ed avanzando fino a quando non fu raggiunta l’esatta distanza di collimazione.

 

 

Ricostruzione della situazione insediativa del Komum Oppidum nel VI sec. a.C., quando il grande osservatorio dei Comenses era attivo. Il “Grande Cerchio” era ubicato in corrispondenza dell’estremo sinistro dell’immagine.

 

A rigor di logica va ricordato che per una curiosa coincidenza, non solo il Sole, ma anche la Luna ha un diametro angolare apparente medio dell’ordine dei 30’ d’arco, quindi la determinazione della distanza ottimale di collimazione della Luna condotta con il medesimo criterio di quella del Sole avrebbe fornito pressoché lo stesso valore e cioè 34 metri, quindi non è possibile con i dati a disposizione, discriminare  tra il Sole e la Luna quale target probabilmente utilizzato per stabilire il raggio esterno del manufatto, se così è stato; forse furono utilizzati entrambi. L’utilizzo dell’uno o dell’altro astro implica una differente impostazione ideologica di chi eseguì le osservazioni astronomiche: nel caso solare si operò di giorno: all’alba o al tramonto, mentre nel caso lunare si operò di notte. In entrambi i casi l’astro di riferimento doveva essere posizionato al di sopra dell’orizzonte naturale locale e l’altezza limite per la collimazione efficace dipende dall’altezza del palo centrale. Dal punto di vista statistico si può ragionevolmente ipotizzare che un palo verticale del diametro di 30 cm fosse alto circa 5 metri dal piano  di calpestio quindi l’altezza massima di collimazione poteva essere grosso modo circa di 10° rispetto all’orizzonte astronomico locale e quindi dell’ordine di 6° rispetto a quello naturale. Un palo verticale di 5 metri di altezza quando viene illuminato dal Sole in culminazione al solstizio d’inverno proietta, alla latitudine del “Grande Cerchio” comasco un’ombra che si stende verso nord per circa 13,6 metri: tale misura corrisponde esattamente al raggio della piattaforma centrale del manufatto tanto da far ipotizzare che la sua dimensione fosse stata determinata proprio sulla base della culminazione solare solstiziale invernale. Abbiamo, a questo punto, avanzato alcune ragionevoli ipotesi in relazione alle dimensioni lineari del “Grande Cerchio” e della piattaforma centrale: il Sole fu quindi l’astro che con maggior probabilità fu utilizzato per dimensionare il manufatto comasco. Dobbiamo ora esaminare un altro aspetto del problema: la particolare geometria della piattaforma centrale la quale corrisponde ad una figura circolare di 27 metri di diametro che fu pavimentata con ciottoli solamente a metà e cioè la mezzaluna settentrionale. La linea di dicotomia tra le due sezioni semilunate è allineata lungo una direzione il cui azimut astronomico è pari a 101°,6 rispetto alla direzione nord del meridiano astronomico locale verso oriente, e 281°,6 nella direzione occidentale. Il calcolo astronomico eseguito per il VI secolo a.C., epoca di massimo sviluppo del sito secondo le valutazioni eseguite dagli archeologi, ci mostra che nella direzione orientale la linea di dicotomia è diretta verso il punto di levata, all’orizzonte naturale locale, delle stelle Mintaka, Alnilam ed Alnitak, che fanno parte della cosiddetta Cintura di Orione. Durante il VI sec. a.C. le stelle della Cintura di Orione andavano in levata eliaca intorno al solstizio d’estate  che a quell’epoca avveniva, secondo il calcolo astronomico, il 29 Giugno del calendario giuliano esteso all’indietro nel tempo. Da quel giorno in poi la costellazione di Orione sorgeva quotidianamente anticipando il Sole di poco meno di 4 minuti al giorno tanto che poteva essere visto in cielo, gradualmente sempre più alto prima dell’alba, fino alla metà di Novembre quando la costellazione tramontava di mattina in concomitanza con il sorgere del Sole (tramonto acronico). Qualche giorno dopo riappariva alla sera sorgendo subito dopo il tramonto dell’astro diurno (levata acronica) rimanendo visibile nel cielo serale ogni notte fino alla fine di Aprile, quando avvicinandosi progressivamente al Sole tramontava subito dopo di esso (tramonto eliaco). Successivamente, dopo essere stata invisibile per via della congiunzione con il Sole, la costellazione di Orione riappariva alla sua levata eliaca in prossimità del solstizio d’estate seguente completando il suo ciclo annuale. Il ciclo annuale della costellazione di Orione avrebbe potuto stabilire un sistema di riferimento univoco lungo l’anno da utilizzare sia per la pianificazione dell’agricoltura e dell’allevamento, che per l’amministrazione del culto. Va ricordato che anche nel sito di Pianvalle, il Komum Oppidum, sono presenti linee astronomicamente significative dirette verso il punto di levata delle tre stelle che fanno parte della “Cintura di Orione”, ma anche l’orientazione del reticolato stabilito dalla cosiddetta “aratura rituale” risulta concorde con il tramonto delle stesse stelle. E’ quindi facile ed immediato supporre che la costellazione di Orione rivestisse una particolare importanza per i “Comenses”. Una delle particolarità del sito è il fatto di essere diviso in settori la cui ampiezza angolare media è stata approssimativamente stimata tra i 4° ed i 5° per ciascun settore e questo conduce a stabilire in un numero compreso tra 72 ed 80 i settori che coprono l’intera area a forma di corona circolare compresa tra il doppio corso periferico di pietre e la piattaforma semilunata centrale. La funzione della divisione in settori non è immediatamente inquadrabile in una teoria funzionale ben determinata, ma nonostante questo è possibile correlare la scansione dell’orizzonte naturale locale eseguita dall’insieme dei settori con gli archi ortivo ed occaso del Sole e della Luna e forse con la posizione di levata delle stelle più brillanti visibili ad occhio nudo durante il VI sec. a.C. Questo ha suggerito la possibilità che il “Grande Cerchio” potesse essere stato utilizzato nel VI sec. a.C. per definire il calendario dei Comenses secondo un semplice schema operativo. Il settore di orizzonte naturale locale interessato dal sorgere del Sole  durante il VI secolo a.C. è quello occupato dalle alture comprendenti il Monte Croce e, più a sud, il Monte Caprino corrispondente ad un intervallo di azimut astronomico che si stende tra i 20° ed i 81°,2.  Il calcolo eseguito per il VI secolo a.C. e per una latitudine geografica pari a 45° 47’ 31”,41 N indica chiaramente che al solstizio d’estate la direzione di levata del centro del disco dell’astro è caratterizzata da un azimut astronomico che varia da 54°,0 per l’orizzonte astronomico locale (altezza ho=0°) fino a spingersi a 66°,0 nel caso di un’elevazione dell’orizzonte naturale locale pari a 10°. Il valore che più si adatta al profilo dell’orizzonte naturale locale elevato di 4° è dell’ordine dei 59°,3. Al solstizio d’inverno invece la levata solare avveniva verso la posizione dell’attuale abitato di Senna Comasco, secondo un azimut astronomico pari a circa 127°,5 tenendo nuovamente conto del profilo dell’orizzonte naturale locale, che in quella direzione è dell’ordine di soli 2°, ed inserendo un termine d’errore statistico che tenta di rendere conto della variazione dell’elevazione dell’orizzonte a causa del grado di forestazione locale nel VI sec. a.C., che però attualmente non ci è noto. I rispettivi tramonti avvenivano verso la direzione del Monte Cucco (572 mt. s.l.m.) al solstizio d’estate, secondo un azimut pari a circa 303°.  Al solstizio d’inverno il centro del disco del Sole tramontava secondo un azimut astronomico pari a 232°,5, sempre per ho=2°, circa corrispondente alla direzione in cui attualmente sorgono gli abitati di Villa Guardia e Lurate Caccivio. Appare evidente che il punto di levata solare giorno dopo giorno si spostava gradualmente avanti ed indietro percorrendo due volte, durante l’anno, l’arco ortivo dell’astro e allo stesso modo il punto di tramonto percorreva due volte l’arco occaso. La struttura a raggiera presente nella “Grande Cerchio” è tale per cui gli archi ortivo ed occaso del Sole comprenderanno un certo numero di settori chiari e scuri i quali venivano percorsi 2 volte: ad esempio una volta, in andata, dal solstizio d’inverno al solstizio d’estate ed un’altra, in ritorno, dal solstizio d’estate al solstizio d’inverno successivo: in questo modo era facile per i “Comenses” mettere a punto un efficace calendario solare basato sul punto di levata del Sole e sul settore in cui esso avveniva.  Lo stesso avveniva nel caso del punto di tramonto dell’astro. Un osservatore posto nel centro geometrico del “Grande Cerchio, avrebbe potuto determinare, osservando all’alba oppure al tramonto il punto di apparizione o di scomparsa dell’astro diurno, la data lungo l’anno e correlarla con l’andamento stagionale e quindi con la pianificazione delle pratiche agricole e delle cerimonie di culto. In particolare un’accuratezza ancora maggiore avrebbe potuto essere raggiunta se l’osservatore invece che occupare il centro del cerchio si fosse posizionato lungo il corridoio delimitato dai due corsi di pietre in modo tale da traguardare il disco solare in levata oppure al tramonto collimandolo con il palo posto nella buca presente al centro del manufatto. In questo modo l’osservatore si spostava percorrendo gradualmente giorno dopo giorno il segmento del corridoio delimitato dal doppio corso di pietre posto nella parte occidentale del manufatto, mentre se le osservazioni erano eseguite in relazione al tramonto del Sole, l’osservatore si muoveva nel segmento orientale del corridoio. In questo modo l’anno risultava diviso efficacemente in un cero numero di periodi di riferimento che potevano anche essere messi in relazione con la durata del mese sinodico lunare realizzando uno schema calendariale lunisolare. Allo stadio attuale delle ricerche, che sono ancora in corso, molto rimane da fare per giungere ad una conoscenza approfondita del manufatto, ma ormai appare in modo sempre più evidente che il bagaglio di conoscenze astronomiche delle popolazioni celtiche golasecchiane stanziate nell’area comasca era notevole.

 (Autore:Adriano Gaspani, aprile 2008)

Si segnala che è uscito nel 2010 il libro di A. Gaspani "IL GRANDE CERCHIO DI PIETRA DEGLI ANTICHI COMENSES, un osservatorio astronomico dell´età del Ferro in località Tre Camini presso Como" (casa Editrice Terra Insubre), nostro libro del Mese di Maggio 2010.

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