Eugène
Canseliet (Sarselles 1899 - Savignies 1983), nella prefazione a Le
mystère des cathédrales di Fulcanelli (pseudonimo), nel 1925 scriveva:
Je sais, non
pour l’avoir surprise moi-meme, mais parce que l’Auteur m’en donna
l’assurance, il y a plus de dix ans, que la clefs de l’arcane majeur est
donnée, sans aucune fiction, par l’une des figures qui ornent le présent
ouvrage. Et cette clef consiste tout uniment en une couleur, manifestée à
l’artisan dès le premier travail. Aucun Philosophe, que je sache, n’a relevé
l’importance de ce point essentiel.
En le révélant, j’obéis aux volontés dernières de Fulcanelli et me tiens en
règle avec ma conscience.
(Io so, non
per averlo scoperto da solo, ma perché l’Autore stesso me ne diede la
certezza più di dieci anni fa, che la chiave dell’arcano più grande è data,
senza alcuna finzione, da una delle figure che illustrano quest’opera. E
questa chiave consiste unicamente in un colore, manifesto all’artista già
dall’inizio del lavoro. Nessun Filosofo, a quanto mi è dato sapere, ha colto
l’importanza di questo punto essenziale. Rendendolo noto, obbedisco alle
ultime volontà di Fulcanelli e sono in regola con la mia coscienza).
Dunque, la
chiave dell’arcano è data senza alcuna finzione, cioè direttamente, senza
una copertura simbolica che nascondesse il suo significato. In altre parole,
quella particolare figura esprime proprio ciò che uno vede. La chiave
consiste in un colore, naturalmente uno dei tre principali della Grande
Opera — nero, bianco, rosso — Questo colore è già manifesto all’artista
all’inizio del lavoro, cioè dopo la sua iniziazione verbale. In pratica
egli, anche se non ha ancora realizzato niente, già sa tutto.
Quale figura è
priva di un significato simbolico tra quelle che illustrano
Le mystère des cathédrales?
Fulcanelli risponde per noi: "C’est
lui, c’est l’alchimiste de Notre-Dame. Coiffé du bonnet phrygien, attribut
de l’Adeptat, négligemment posé sur la longue chevelure aux boucles épaisses
le savant, serré dans la cape lègère du laboratoire, s’appuie d’une main sur
la balustrade, tandis qu’il caresse, de l’autre, sa barbe abondante et
soyeuse.
Il ne médite pas, il observe. L’oeil est fixe; le regard d’une étrange
acuité. Tout, dans l’attitude du Philosophe, rèvèle une extreme émotion. La
courbure des épaules, la projection en avant de la tete et du buste
trahissent, en effet, la plus forte surprise.
En vérité,
cette main pétrifiée s’anime. Est-ce illusion? On croirait la voir
trembler...
Quelle
splendide figure que celle du vieux maitre qui,
ébloui, le
prodige que sa foi seule lui laissait entrevoir!"
(È lui, è
l’alchimista di Notre-Dame. Col capo coperto dal berretto frigio, attributo
dell’Adeptato, posato negligentemente sulla lunga capigliatura dai grandi
riccioli, il saggio, avvolto nel leggero camice di laboratorio, s’appoggia
con una mano alla balaustra, mentre, con l’altra, accarezza la propria barba
abbondante e serica. Egli non medita, osserva. L’occhio è fisso; lo sguardo
possiede una straordinaria acutezza. Tutto, nell’atteggiamento del Filosofo,
rivela una estrema emozione. La curvatura delle spalle, lo spostamento in
avanti della testa e del busto tradiscono, infatti, una grande sorpresa. In
verità, questa mano pietrificata sembra animarsi. È forse un’illusione?
Sembra di vederla tremare…
Che splendida
figura questa del vecchio Maestro che, abbagliato, contempla il prodigio che
solo la propria fede gli faceva intravedere!)
Si tratta di
una statua che si trova, piuttosto in sordina, nella cattedrale di
Notre-Dame di Parigi. Questa statua possiede la chiave dell’arcano più
grande. Di cosa si tratta? Ossia qual è la causa di tanta sorpresa, di
meraviglia che solo la propria fede faceva prima intravedere all’Adepto che
ha realizzato la Grande Opera? Cioè che si trova ora nel colore rosso fuoco,
geroglifico della Pietra Filosofale?
Krishnamurti
Jiddu (Madanapalle 1895 - Ojai Valley 1986) ci
illumina con la sua stessa esperienza:
«…Arrivavi a
un boschetto di molti alberi e alcune sequoie. Addentrandoti ne avvertivi
improvvisamente l’assoluto silenzio. Non si muoveva una foglia, era come se
fosse tutto sotto un incantesimo, e tutt’a un tratto provavi un gran senso
del Sacro. Lo attraversavi quasi trattenendo il respiro e con passo
esitante. Sembrava un atto sacrilego passare di lì, calpestare il terreno; e
profano era parlare e persino respirare. Il cuore batteva meno velocemente,
ammutolito da quella meraviglia».
Per quanto
riguarda noi, invece, Fulcanelli è assai chiaro:
«Spesso noi passiamo accanto al fenomeno, o al miracolo, quasi lo
tocchiamo, ma non lo vediamo neppure, come se fossimo ciechi e sordi».
Joseph
Campbel, nel suo saggio
The Masks of
God
(Le
maschere di Dio),
scrive che
«questo fenomeno è stato sperimentato da molti su questa terra. È stato
descritto in molte mitologie e in molti inni dei mistici, in molti tempi e
in molti paesi. È, senza dubbio, un’esperienza raggiungibile. È
un’esperienza che coloro che l’hanno conosciuta considerano l’apogeo della
propria vita, e che, tuttavia, non può essere espressa in parole. Ed è
quest’es-perienza, o almeno un passo verso di essa, lo scopo ultimo di tutte
le religioni, l’allusione ultima di ogni mito e rito».
Ma perché di questo fenomeno noi non ne potevamo essere nemmeno a
conoscenza?
Fulcanelli è assai chiaro anche su questo punto:
«Nel medioevo il Dono di Dio era riferito al secretum secretorum,
cosa che sta precisamente a indicare il segreto per eccellenza, quello dello
Spirito Universale».
Si scires Donum Dei
(se conoscessi il Dono di Dio), così, c’informa San Giovanni (IV,
10), Gesù disse alla donna samaritana.
Krishnamurti
ci illumina ancora con la sua esperienza:
«È il più
straordinario fenomeno della Natura, ma tu non sei fatto per sentirlo, e
poiché non sei fatto per sentirlo è lì senza parole. È lì, Eterno, senza
nome, ignaro. È, in realtà, uno stato di attenzione pura, da cui nasce una
beatitudine, un’estasi, che non si può tradurre in parole. Viene ondate dopo
ondate ed è una benedizione. Ogni volta la sua pura forza e la sua vastità,
sono così nuove e sbalorditive che ne viene stupore e gioia. È
inaccessibile, ed è impossibile accedervi per la sua stessa energia. È il
potere che esisteva prima che tutte le cose venissero in essere. Era qui al
principio, è ora e sempre sarà. Non ha né principio né fine. È lì,
inalterabile e infinito. È l’ignoto assoluto, sebbene venga e vada. Viene
così improvvisamente come se ne va, nulla può trattenerlo e nulla chiamarlo.
È per esso che tutte le cose esistono. Senza di esso non c’è nulla. Era lì
con tale ricchezza, tale forza che il mondo, gli alberi e la Terra
sparivano. Era l’Amore e non c’era nient’altro. Era una Luce senz’ombra e
gli alberi erano nel suo movimento. Era questa la Luce che penetrava negli
alberi, nei campi e nel cuore di chi la guardava. Se il vostro campo è in
ordine, l’Indescrivibile verrà a voi in tutta la sua gloria. Quella è
l’estasi. Là c’è una bellezza che è sacra. Quello è il Santo. Beato l’uomo
cui questo è donato».
Siccome questo
grande fenomeno, questa manifestazione dell’Eterno, era tenuto in gran
segreto, era abitudine degli adepti, in questa professione di fede,
custodire o addirittura portare con sé una prova avuta da quelli che avevano
realizzato l’Opera. Fulcanelli portava sempre con sé, custodito nel
portafoglio, una lettera rivelatrice, dove era evidente il ricevimento del
Donum Dei da parte del suo Maestro. Perfino Blaise
Pascal (Clermont 1623 - Parigi 1662) portava
cucito nel suo abito una simile lettera, che fu trovata al momento della sua
inumazione, dove si rileva come un Adepto, suo contemporaneo, aveva ricevuto
per la prima volta il Dono di Dio.
«L’anno di Grazia 1654, lunedì 23 novembre, dalle dieci e trenta circa della
sera fino a circa mezzanotte e mezzo, Fuoco. Dio d’Abramo, Dio
d’Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti.
Certezza,
Certezza. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho
conosciuto. Gioia, Gioia, lacrime di Gioia. Eternamente in Gioia per un
giorno di pratica e di pietà sulla Terra».
(Autore:Ermando Danese)