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 L’esoterismo di Dante Alighieri

                                                                                   (di Alberto Canfarini)

 

La nascita di Dante Alighieri è incerta, viene indicata tra maggio e giugno del 1265, morì esule a Ravenna il 14-settembre-1321.

Nacque in una famiglia fiorentina degli Alighieri legata ai guelfi, che si opponevano ai ghibellini.

Il padre di Dante, Alighiero di Bellincione, esercitava l’attività di cambiavalute senza aspirazioni politiche pur essendo un guelfo.

Quando i ghibellini vinsero la battaglia di Montaperti non lo esiliarono perché lo giudicarono non pericoloso.

Il poeta sposò a 20 anni Gemma figlia di messer Manetto Donati, che apparteneva ad una importante famiglia fiorentina, che più tardi si schierò con i guelfi neri fazione avversa a quella del poeta.

Studiò le discipline previste dalle scuole e dalle università medievali, teologia, filosofia, fisica, astronomia, grammatica e retorica.

L’apprendimento di Dante avvenne nello Studio Generale di S. Croce. La persona che cambiò la vita del giovane Dante, fu Brunetto Latini, il quale riconobbe in lui il genio e gli donò la sua conoscenza. Dante lo ricorda nei famosi versi:

  (Che n’la mente m’è fitta ed or m’accora,

la cara e buona immagine paterna,

di voi, quando nel mondo ad ora ad ora,

M’insegnavate come l’uom s’etterna).

Don Vincenzo Borghini afferma che i veri maestri di Dante sono stati i libri, infatti nel quarto canto dell’Inferno elenca quasi tutti gli uomini colti e i grandi filosofi dell’antichità, dai quali il poeta ha tratto conoscenza e saggezza.

Possiamo affermare con certezza che la sua cultura esoterica era completa ed ebbe la fortuna di essere stato cooptato dai Fedeli D’Amore che lo introdussero nell’infinito mondo dell’esoterismo.

Quasi tutti i ricercatori hanno ritenuto la società dei Fedeli d’Amore d’estrazione templare e di conseguenza in forte sospetto d’eresia per la chiesa.

C’è una forte similitudine fra il pensiero di questa scuola e la mistica persiana Sufi, in particolare quella dei Rumi, fondata da Jalal al Din Rumi, poeta persiano.

I Fedeli d’Amore erano una organizzazione tradizionale iniziatica, nata dalla realtà medioevale del tredicesimo secolo.

In quel periodo storico il potere dell’imperatore si era affievolito in Italia ed al suo posto nella complessa situazione politica italiana, s’infiltrava il potere temporale della chiesa, che con il suo dogmatismo, la tortura e i roghi dell’inquisizione, s’impadroniva del potere.

Alcuni accademici hanno messo in dubbio l’esistenza dei Fedeli d’Amore, ma lo stesso Dante ne parla in Vita Nova.

Nonostante l’indifferenza dei critici accademici d’estrazione clericale, si sono dedicati allo studio di questa associazione personaggi come Ugo Foscolo, Maria Filelfo, Antonio Maria Biscione e poi Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Luigi Valli, Gabriele Rossetti e René Guenon.

Questa associazione si è avvalsa del Dolce Stil Novo, movimento poetico italiano, che si è sviluppato verso la fine del 1200, divenendo una ricerca raffinata che si differenzia dall’italiano volgare, portando la tradizione verso un linguaggio ricercato ed aulico.

La poetica stilnovista acquista un carattere intellettuale e si avvale di metafore e simbolismi dal doppio significato.

I Fedeli d’amore come traguardo sociale si proponevano di riportare la Chiesa all’insegnamento del Cristo ed il clero ad una morale e spiritualità che ormai giudicavano decaduta ed infangata.

Contribuirono ad occultare nel linguaggio del Dolce Stil Novo un messaggio esoterico, Jacopo da Lentini, Pier della Vigna, Guido Guininzelli, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Cecco d’Ascoli e Dante.

René Guenon è stato un convinto assertore della radice templare dei Fedeli d’Amore, ricorda che si freggiavono dei stessi colori e del titolo di Kadosch, (Santo), che veniva conferito agli alti gradi dell’istituzione.

Inoltre fa notare che dietro le apparenti diversità dottrinali emerge una unità essenziale che si sostanzia nel pensiero metafisico, il quale non è pagano, ne cristiano, ne è una esclusiva di nessuna altra tradizione, é universale, infatti é contenuto anche nei Veda indiani.

Definire il pensiero di Dante eretico, come fece la Chiesa, è pura ottusità, egli era in possesso di quella sapienza esoterica che valica il tempo e lo spazio, è eterna.

I Fedeli d’Amore erano esposti all’intransigenza della Chiesa dell’epoca, da qui la necessità di celare il loro pensiero con un linguaggio criptato, che era stato scelto con quello degli innamorati, perché ritenuto idoneo ad esprimere il loro pensiero.

Questo linguaggio trovò i suoi natali in Provenza, creato da Roman de la Rose per proteggere gli Albigesi dalle persecuzioni di Innocenzo terzo.

A Firenze dette impulso a questo linguaggio criptato Guido Guininzelli, che apportò delle modifiche perché ormai alcune parole come fiore e rosa erano state comprese dall’inquisizione e le modificò con nomi di donna come Beatrice, che inoltre dovevano trovare riscontro nella realtà della vita sociale dell’epoca.

Beatrice significava la sapienza iniziatica, donna per definire gli iniziati, piangere significava simulare fedeltà alla Chiesa cattolica, pietra o pietra nera per definire la chiesa corrotta, saluto per definire l’atto dell’iniziazione, sono solo alcuni nomi di un lessico molto vasto.

Il Cavalcanti si distinse in questa società iniziatica, fu colui che iniziò Dante e scrisse poesie e sonetti di alto contenuto esoterico.

Sembra che questa scuola iniziatica avesse sette gradi come le arti liberali. Dante scrisse sonetti e canzoni di grande valore iniziatico per i Fedeli d’Amore, il suo migliore talento lo espresse in Vita Nova, dove descrisse la sua seconda nascita, quella iniziatica.

Il poeta a causa del suo carattere ribelle ebbe delle incomprensioni con i capi di questa organizzazione e fu abbandonato, noi diremo assonnato. Per farsi riaccettare scrisse la canzone “Donne che avete intelletto d’Amore”, che entusiasmò per il suo alto valore esoterico, fu risvegliato e posto fra gli alti gradi dell’istituzione.

In seno alla società emersero due tendenze di pensiero, la prima quella conservatrice del Cavalcanti, che riteneva la Sapienza iniziatica di natura razionale. La seconda quella che faceva capo a Dante, la quale faceva scaturire la Sapienza dal connubio delle potenzialità umane, la ragione, la spiritualità e l’intuizione superiore.

Col prevalere della teoria del poeta, il Cavalcanti si ritirò ed avvenne una scissione che portò l’istituzione vicina alla chiusura.

Dante cercò di dare nuovo impulso alla società, ma nonostante i suoi sforzi ed anche a causa delle aumentate pressioni della chiesa i Fedeli d’Amore cessarono di operare ed il poeta la definì “La morte di Beatrice”.

Dante per lenire il suo dolore si dedicò al sociale, s’iscrisse nella società degli speziali ed entrò in politica.

In seguito Dante fece altri tentativi di ridare vita alla società dei Fedeli d’Amore ma sembra con poco risultato.

La delusione fece nascere nell’animo del poeta la necessità di lavorare esotericamente in solitudine. Concepì l’idea ed iniziò la sua più grande opera, il suo capolavoro, “La Divina Commedia”.                   

L’esistenza di Dante è stata legata e fortemente condizionata dagli avvenimenti politici di Firenze. Nel 1250 un governo di borghesi ed artigiani mise fine all’autorità della nobiltà fiorentina.

Il conflitto fra guelfi fedeli al papa e ghibellini fedeli all’imperatore divenne una guerra fra borghesi e nobili.

Nel 1252 a Firenze vennero coniati i primi fiorini d’oro, che divennero i dollari dell’Europa commerciale dell’epoca.

Dante fu nel consiglio del popolo dal 1295 al 1296, fece parte del Concilio dei cento e fu inviato come ambasciatore a S. Giminiano.

Nel 1266 la città fu ripresa dai guelfi ed i ghibellini furono esiliati.

Il partito dei guelfi in seguito si divise in due fazioni, bianchi e neri.

Dante, quando la lotta fra le fazioni opposte si fece più aspra, si schierò con i bianchi che cercavano di difendere la città dall’egemonia della chiesa e da papa Bonifacio ottavo.

Nel 1300 fu Priore dal 15 giugno al 15 agosto, osteggiò sempre la politica della Chiesa e in particolare fu acerrimo nemico di Bonifacio VIII.

Dante si trovò a Roma in qualità d’ambasciatore, fu trattenuto con l’inganno dal papa mentre Firenze fu messa a ferro e fuoco il 9-novembre-1301 da Carlo di Valois.

Il 27-gennaio e il 10-marzo 1302 fu condannato due volte in contumacia al rogo ed alla confisca delle sue case.

Il poeta fu costretto all’esilio e si rifugiò in diverse corti della Romagna come gli Ordelaffi signori di Forlì.

Il poeta in qualità di capitano dell’esercito degli esuli, insieme a Scarpetta Ordelaffi, tentarono di riprendere Firenze ma persero nella battaglia di Castel Pulciano.

Dante fu un personaggio scomodo per il suo pensiero politico e filosofico, l’appartenenza del poeta alla società segreta dei Fedeli d’amore, ormai è stata accettata quasi da tutti.

Dante fu ritenuto dalla Chiesa un eretico perché rifiutava di riconoscere le delibere del Concilio di Vienna del 1311, con le quali Clemente quinto aveva formalizzato l’abolizione dell’Ordine del Tempio.

Il poeta con la teoria dei due soli, papato ed impero, entrambi necessari per l’umanità ed autonomi l’uno dall’altro, contrastava la bolla di Bonifacio settimo che pretendeva di sottoporre qualsiasi autorità terrena alla preminenza della Chiesa.

Tentarono d’implicarlo in un processo per magia nera, che indagava sul tentato assassinio di papa Giovanni ventiduesimo.

Dante terminò le sue peregrinazioni a Ravenna dove trovò asilo presso Guido Novello da Polenta, signore della città. Rimase sempre in contatto con la città di Verona dove si recò per illustrare la sua ultima opera scritta in latino “Quaestio de aqua et terra”.  Andò a Venezia in qualità d’ ambasciatore e nel viaggio di ritorno passando per le paludose valli di Comacchio contrasse la malaria e morì a Ravenna il 14 settembre 1321.

Pochi anni dopo la morte del poeta il cardinale Beltrando del Poggeto, nipote di papa Giovanni ventiduesimo, in una pubblica cerimonia fece bruciare il libro di Dante “De Monarchia”ed era sua intenzione fare disseppellire la salma del poeta per farla bruciare insieme al libro.

Questa barbara dissacrazione fu evitata per l’intervento del signore di Ravenna Ostasio da Polenta, successore di Guido Novello, così Dante si salvò dal rogo sia in vita, sia dopo la morte, cosa che non avvenne per Cecco d’Ascoli e tanti altri martiri vittime dell’integralismo della Chiesa.   

I funerali furono solenni, ufficiati nella chiesa di S. Francesco a Ravenna e nello stesso convento furono composte le sue spoglie.

La sua salma fu spostata più volte per evitare che venisse trafugata dai guelfi neri, ora riposa nel tempietto settecentesco vicino al convento.

Dante condivise il pensiero dei filosofi dell’antichità, di non divulgare l’insegnamento esoterico a tutti, nel senso che certi concetti altamente spirituali non possono essere dati in pasto a chi non può comprenderli.

Già Omero diceva: (Il maestro non deve buttare le proprie parole). Esse devono cadere solo dentro le orecchie di persone capaci d’assumersi le proprie responsabilità, che il Vero comporta.

Platone nella settima lettera dice: (Ogni uomo serio deve con grande cura evitare di dare mai in pasto le cose serie, scrivendo su di esse, all’invidia ed all’incapacità di capire degli uomini….…ma non penso che il mettere mano, come si dice a questi argomenti sia un bene per gli uomini, se non per un numero limitato di persone capaci d’arrivare da se stesse attraverso una minima indicazione).

Aristotele ha chiarito che la filosofia antica non mira ad una saggezza rivolta alle cose di questo mondo che sono mutevoli, ma ad una suprema saggezza, la Sofia, contemplazione delle cose eterne e invita chi la cerca a tendere verso l’acquisizione di una saggezza quasi divina.

Da questo concetto nasce la considerazione che questo insegnamento non è per tutti, perché in definitiva pochi sono interessati a questo sublime traguardo, non facile da realizzare, che richiede tutta la propria intelligenza, il proprio coraggio ed il risveglio dell’intuizione superiore.

Si narra che un seguace della scuola pitagorica Ippaso fu condannato a morte da Pitagora  per aver divulgato la scoperta dei numeri irrazionali; che secondo il maestro minacciavano l’armonia della matematica e non ne accettò mai l’esistenza.

Questa estrema riservatezza nel medioevo cambia di poco, era consentito scrivere di queste cose ma solo tramite un codice che funzioni da filtro per i lettori.

Questo metodo fu applicato anche per la magia, l’alchimia e l’astrologia.

Dante nella tredicesima lettera indirizzata a Cangrande della Scala afferma, che nella Divina Commedia non vi è un solo senso per interpretarla.

 Essa può dirsi polisema: (1)

 

(O voi che avete gl’intelletti sani,

Mirate la dottrina che s’asconde

Sotto il velame delli versi strani!)

 

Dante in modo esplicito ci dice che sotto il velo si nasconde, per chi è capace di svelarlo, un senso nascosto propriamente dottrinale:

 

(aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,

che ‘l velo è ora ben tanto sottile,

certo che ‘l trapassar dentro è leggero).

 

Nella seconda strofa il poeta ci spiega, che procedendo sulla via dell’iniziazione cadono gli ostacoli ed il candidato acquisisce gradualmente la capacità di vedere la Verità.

Molti commentatori delle opere del poeta hanno espresse le loro convinzioni, ma Dante chiarisce nel Convivio, che le scritture sacre possono essere comprese ed interpretate con quattro sensi di lettura  che non si contrastano, ma devono completarsi ed armonizzarsi fra loro.

Sarà il caso d’ascoltarlo perché sicuramente è il più qualificato a farci comprendere il suo pensiero.

Dante parlando a Cangrande dice: (Abbiamo un primo senso letterale, che funziona da velo e narra il viaggio immaginario del poeta attraverso l’Inferno, il Purgatorio, ed il Paradiso, non va oltre le parole fittizie come fanno i poeti nelle favole).

Un secondo allegorico che svela il senso che si nasconde sotto il manto di queste favole. Dante dice: (E’ una verità nascosta sotto una bella menzogna). Il poeta porta l’esempio di Ovidio che illustra l’opera d’Orfeo, che ammansiva le fiere con la cetra. Questa favola allude alla capacità e saggezza D’Orfeo di convertire l’animo di coloro che si possono redimere.

Un terzo morale che riguarda il significato etico, studiando le sacre scritture l’umanità può pervenire alla felicità.

In questo terzo senso, Dante ricorda anche la necessità della riservatezza, e porta l’esempio di Cristo che quando salì sul monte della trasfigurazione lo fece con tre apostoli e non con dodici, perché le cose segrete vanno fatte con poca compagnia.

Un quarto senso analogico, scaturisce quando si cerca nelle scritture il livello spirituale usando il metodo “metafisico ed iniziatico”, che porta alla comprensione delle supreme cose. Il poeta porta l’esempio del Profeta che narra l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto:

 

(All’uscita d’Isdrael dall’Egitto,

della casa di Giacobbe

di fra un popolo barbaro,

la Giudea diventa un santuario,

Isdraele e il suo dominio).

 

Se questi versi vengono letti in modo letterale, ci viene comunicato l’uscita dei figli d’Israele dall’Egitto al tempo di Mose.

Se vengono letti in modo analogico s’intende l’uscita dell’anima, la sua conversione dalla corruzione e dal peccato, il ritorno dell’anima alla gloria, alla purificazione, alla libertà e all’eternità. Questo quarto senso è il più difficile a comprendesi perché è riservato a chi è stato iniziato, esso coordina ed unifica gli altri sensi e porta alla comprensione più alta dell’Opera divina.

Guenon fa una digressione storica che riguarda i viaggi extraterreni nelle differenti tradizioni.

In quella musulmana si evidenzia l’identità del viaggio dantesco con quello descritto da Mohyiddin Ibn Arabi che è il più grande dei maestri spirituali dell’Islam e che a suo avviso sembra abbia ispirato Dante.

Il sommo poeta è stato influenzato anche dalla tradizione “Una”che iniziò in occidente con Ermete Trismegisto “E siccome tutte le cose sono e provengono dall’Uno, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica per adattamento” poi questa tradizione raggiunse il suo massimo splendore con la filosofia metafisica di Platone.

La descrizione della struttura del cosmo che si articola in tre mondi è conforme con la tradizione, il sovramondo, il mondo terreno ed il mondo infero.

Questi mondi appartengono alla stessa struttura cosmica, che sembra fondare l’universo intero sulla legge dell’equilibrio ternario.

Compare subito con forza la narrazione della struttura cosmica, il tempo e lo spazio, il mondo minerale, vegetale ed animale.

Nella Commedia compaiono prepotentemente i numeri che emergono in chiave simbolica, carichi di un messaggio iniziatico, il poeta è stato un profondo conoscitore del simbolismo numerico.

Dante espone dei paralleli con tradizioni come il pitagorismo, che fondò la sua sapienza sulla proporzione dei numeri, che considerava il fondamento di tutto.

Vi sono stati degli studi che hanno evidenziato che Dante nella Divina Commedia non usa mai meno di 115 e non più di 160 versi per ogni canto.

L’altra curiosità è che Dante pur scrivendo in terzine non impiega mai un numero divisibile per tre, il numero finale di ogni canto è pari ad un multiplo di 3 più 1.

Nella cultura egiziana 111 rappresenta il divino, se a 111 togliamo un uno resta 11 il male.

Nei canti dell’inferno compaiono tre numeri 1-4-7, il numero 1 indica Dio creatore; il numero 4 simboleggia i quattro elementi terra, acqua, aria, fuoco, dove l’adepto viene iniziato; il numero 7 l’unione dell’uomo con Dio, dopo la purificazione dei peccati.

Il poeta conduce i lettori in quell’universo spirituale dove prende vita e si dipana l’opera dantesca,

nelle opere minori di Dante si ravvisa lo stesso contenuto analogico come in “Vita nova” dove emergono visioni, presagi, sogni e rivelazioni.

Compare subito Beatrice figura luminosa, che poi riappare nella Divina Commedia trionfalmente nei canti finali del purgatorio e del paradiso, dove Dante la descrive come donna angelica, si evidenzia in modo chiaro che non si riferisce a una donna reale, ma come simbolo di sapienza paragonabile a quella di Salomone. Il Dolce Stil Nuovo usato dai Fedeli d’amore va interpretato in chiave analogica.

Il messaggio criptato nelle opere di Dante era reso necessario oltre alle considerazioni già esposte di non dare l’insegnamento a chi non è in grado di capirlo, anche considerando con quale durezza la Chiesa condannava le teorie che giudicava eretiche.

I Fedeli d’Amore fingevano di sospirare per le loro donne, rese angeliche come Beatrice di Dante, Laura di Petrarca e Fiammetta di Boccaccio, che segretamente simboleggiavano i loro ideali politico-religiosi indirizzati ad un progetto di rinnovamento della Chiesa.

Dante sostiene che il 1300 si colloca a metà di un ciclo completo, che gli antichi consideravano come equidistante fra i due rinnovamenti del mondo.

Continua dicendo che situarsi al centro di un ciclo significa situarsi in un luogo divino, i mussulmani dicono:

(La dove si conciliano i contrasti e le antinomie).

 

Il centro secondo la tradizione indù, è simboleggiato dal centro della ruota dove il movimento della maia s’arresta e si può percepire l’armonia delle sfere.

Il viaggio di Dante si compie secondo l’asse spirituale del mondo, soltanto di la si possono vedere tutte le cose che non cambiano, perché anche noi una volta pervenuti colà, siamo non più soggetti al cambiamento ed si ottiene una visione sintetica e totale.

I commentatori del poeta parlano del museo di Vienna, dove vengono conservate due medaglie, una con l’effige di Dante, l’altra con l’immagine del pittore Pietro da Pisa, sul rovescio delle medaglie sono incise le lettere “F.S.K.I.P.F.T.” Fidei, Sanctae, Kadosch, Imperialis, Principatus, Frater, Templarius.

Da questa testimonianza nasce la convinzione che Dante era uno dei vertici della società segreta della Fede Santa equivalente ai Fedeli d’Amore, infatti Dante nella parte finale del paradiso prende come guida S. Bernardo di Chiaravalle, colui che ispirò la regola dei templari.

La Divina Commedia è un testo iniziatico con il quale Dante codificò le sue conoscenze.

Il poeta descrive un percorso iniziatico dove l’uomo s’avventura alla ricerca delle sue origini, è un ritorno al punto dove partono tutte le cose, descritto con un linguaggio pregno di simboli ed allegorie che velano i segreti iniziatici.

Virgilio guida l’adepto su quella strada in salita che lo conduce alla trasmutazione della propria coscienza.

Dante compie il viaggio durante l’equinozio di primavera, quando gli adepti delle società degli antichi Misteri praticavano il rito della morte e della rinascita, decantando la parte pesante della materia e conducendo l’adepto verso la ripresa di coscienza della sua componente divina.

Chi intraprende questo percorso si trova gravato dalla materia e dalle passioni, il poeta rappresenta questa condizione con tre bestie che sbarrano la strada, e simboleggiano la natura pesante dell’uomo che deve compiere una trasmutazione totale, che si realizza subendo il rito della morte iniziatica.

Enea nel sesto canto dell’Eneide scende agli inferi e Maometto, solo ottanta anni prima del poeta, percorre il viaggio all’inferno prima di salire verso le sfere celesti.

Ricordiamoci che anche Cristo dopo la morte scende all’inferno per poi salire alla destra del Padre, così Dante secondo la tradizione, deve scendere verso il basso, all’ inferno ed affrontare le energie negative che si oppongono alla risalita.

Chi è sulla via dell’iniziazione si deve rende consapevole della sua parte oscura, deve compiere l’opera di decantazione, di purificazione della propria anima che prelude all’avverto della Luce iniziatica che dissolverà le tenebre nella propria coscienza.

 

Introduzione = Inf.1 c. 9 v.61-63 / Purg. C 8 v.19-21.

L’inferno

Dante all’età di trentacinque anni prende coscienza dei suoi peccati commessi sia nella vita civile, sia in quella militare e decide di mettere ordine nella sua coscienza rettificandola percorrendo la via iniziatica.

Il Poeta inizia la narrazione della Divina Commedia dicendo: (1)

 

(Nel mezzo del cammin di nostra vita.

Mi ritrovai per una selva oscura,

Che la diretta via era smarrita).

 

Il poeta cerca di risolvere la selva oscura delle sue passioni da solo, ma il suo tentativo di salire sull’erto colle fallisce, perché fu cacciato indietro da una lontra, un leone e da una lupa.

E’ chiara l’allusione che il mondo iniziatico è regolato da precise norme. La prima prescrive la necessità di avere una guida che ha già percorso la strada.

Virgilio si propone d’accompagnarlo nel difficile percorso che gli farà ritrovare la giusta via e per incoraggiarlo gli dice che lo ha inviato Beatrice.

Da qui inizia il viaggio iniziatico di Dante che arriva alla porta dell’Inferno e su di essa legge queste parole spaventose: (2)

 

(Per me si va nella città dolente,

Per me si va nell’eterno dolore,

Per me si va tra la perduta gente.

 

Giustizia mosse il mio alto fattore;

fecemi la divina podestate,

la somma sapienza e l’primo amore.

 

Dinanzi a me non fuor cose create

Se non etterne, e io etterno duro.

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate). 

 

La fervida immaginazione di Dante ci presenta l’Inferno come un cono composto da una serie di cerchi che degradano sempre più stretti verso il basso, con la punta verso il centro della terra.

Il Poeta narra, che quando Lucifero si ribellò a Dio, precipitò sulla terra creando una enorme cavità a forma d’imbuto che formò L’Inferno.

La terra che si ritrasse, emerse nell’emisfero australe e formò la montagna del purgatorio in mezzo alle acque di questo emisfero.

Secondo il sistema tolemaico l’altro emisfero era ritenuto completamente coperto dalle acque, perciò Dante afferma che il Purgatorio è una montagna in mezzo al mare australe.

I due poeti entrano nell’anticamera  dell’Inferno dove trovano gli “ignavi”qui vi sono le anime tristi di coloro che vissero senza infamia e senza lode e non sono sottoposti ne a pene ne a premi.

Virgilio dice a Dante: (3)

 

(non ragioniam di loro, ma guarda e passa).

 

Il poeta non se lo fa dire due volte, perché aveva una pessima opinione per le persone che non hanno il coraggio di schierarsi mai, la coerenza con le sue idee lo portarono a morire esule per non tradire le sue idee politiche.

Dante e Virgilio seguitano il cammino e arrivano sull’Acheronte, dove il nocchiero Caronte traghetta le anime verso l’Inferno.

Si scatena un terremoto, si vede una luce accecante ed il poeta cade tramortito, poi rinviene al colpo di un tuono.

Entra nel primo cerchio il Limbo, dove risiedono gli eroi e gli uomini virtuosi dell’antichità che hanno fatto grandi cose per l’umanità, ma non sono stati battezzati.

Finalmente i due poeti entrano nell’inferno dove incontrano il gigante Minosse, il giudice che assegna ad ogni anima la sua pena che dovrà scontare per l’eternità.

 Se il poema si legge in modo analogico, sotto il velo appaiono le passioni più pesanti della natura umana, esse sono le tendenze più oscure dell’anima che ne impediscono la salita verso l’Empireo e  trattengono l’essere nel mondo duale.

Questa condizione non consente di percepire l’armonia che scaturisce dalla visione della vetta, della conoscenza metafisica “l’Uno”, di conseguenza dovranno rimanere in eterno nel dolore e nelle tenebre.

Dante nel poema propone l’osservazione delle passioni su personaggi storici, dimostrando di conoscere la regola iniziatica che prescrive d’effettuare l’osservazione e la rettifica della propria coscienza, con distacco, come un freddo osservatore, senza giudicare.

Così nell’inferno dantesco sfilano tutte le potenzialità negative che gravano come zavorra, come un pesante fardello l’anima umana.

Virgilio è la guida che accompagnò negli antichi misteri, Enea agli inferi ed al termine del viaggio gli fu donato il ramo d’oro d’Eleusi, simbolo dell’avvenuta purificazione e della riconquistata immortalità, ottenuta con il rito della morte e resurrezione iniziatica.

Nel secondo cerchio Dante trova i lussuriosi, che sono puniti con un vento violentissimo che li travolge.

Nel terzo cerchio vi sono i golosi che sono immersi nel fango puzzolente e flagellati da una pioggia senza termine, inoltre c’è Cerbero, il terzo guardiano dell’inferno che li azzanna.

Nel quarto cerchio Dante trova gli avari ed i prodighi divisi in due gruppi condannati a scontrarsi in eterno ed a rinfacciarsi gli errori, condannati anche a far rotolare grossi massi di roccia.

Nel quinto cerchio incontrano il fiume Stige dove sono puniti gli iracondi e gli accidiosi, i primi sono immersi nella palude dello Stige, i secondi sono costretti a rimanere sommersi senza potersi rialzare.

Virgilio e Dante sono traghettati dal quarto guardiano che si chiama Flegias.

Passati sull’altra sponda dello Stige, nel sesto cerchio incontrano la città di Dite, dove vi sono le anime consapevoli dei loro peccati.

I due poeti vogliono entrare nella città ma sono fermati dai demoni, dopo diversi tentativi riescono ad entrare grazie all’aiuto dell’Arcangelo Michele.

In questa città vi sono gli epicurei e gli eretici che giacciono in tombe infuocate e che Dante apostrofa “coloro che l’anima col corpo morta fanno” qui vi sono molti personaggi famosi.

Virgilio e Dante scendono nel settimo cerchio dove trovano il fiume Flegetonte nel quale scorre sangue bollente.

Il settimo cerchio è composto da tre gironi dove sono puniti i violenti.

 

Nel primo girone sono puniti i violenti contro il prossimo, immersi nel fiume di sangue bollente.

I tiranni sono immersi fino agli occhi, gli omicidi fino al collo, i predoni fino al petto.

Il secondo girone è posto oltre il fiume, che i due poeti attraversano con l’aiuto del centauro Nesso e quì trovano i violenti contro se stessi, i suicidi, che sono trasformati in piante secche e tormentati dalle arpie.

In questo secondo girone vi sono anche gli scialacquatori, morsi in eterno da cagne.

Nel terzo girone in una pianura resa infuocata da una pioggia di faville di fuoco, sono puniti i violenti contro Dio e la natura, sdraiati i bestemmiatori, seduti gli usurai, in continua corsa i sodomiti.

I due poeti scendono in un baratro portati dal mostro Gerione che ha la testa umana ed il corpo formato da parti di diversi animali.

Nell’ottavo cerchio scontano la loro pena i fraudolenti.

L’ottavo cerchio è formato da dieci bolge a forma circolare e concentriche.

Nella prima bolgia vi sono i ruffiani ed i seduttori che corrono in cerchio sferzati dai demoni.

Nella seconda bolgia gli adulatori ed i lusingatori immersi nello sterco.

Nella terza bolgia i simoniaci collocati in fosse a testa in giù con i piedi in fiamme e poi schiacciati nel terreno quando arrivano nuovi peccatori.

Nella quarta bolgia i maghi e gli indovini che devono camminare con la testa storta all’indietro perché nella vita hanno preteso di vedere il futuro.

Nella quinta bolgia i barattieri sommersi nella pece bollente ed uncinati dai diavoli.

Nella sesta gli ipocriti coperti di cappe di piombo dorate all’esterno.

Nella settima bolgia vi sono i ladri con le mani legate da serpenti che si trasformano gradatamente in rettili.

Nell’ottava bolgia i consiglieri fraudolenti tormentati da fiamme a forma di lingue.

Dante più scende nell’Inferno e più si rende consapevole della difficoltà del viaggio iniziatico che sta compiendo.

Fa sue le parole d’Ulisse, che per convincere i compagni a compiere l’impresa di superare lo stretto di Gibilterra pronunciò “l’orazion piccola”: (4)

 

(O frati, dissi che per cento milia

Perigli siete qui giunti a l’occidente,

a questa tanto piccola vigilia.

 

D’i nostri sensi ch’è del rimanente

Non vogliate negar l’esperienza,

di retro al sol, del mondo senza gente.

 

Considerate la vostra semenza:

Fatti non foste a viver come bruti,

Ma per seguir virtute e conoscenza).

 

Dante uomo del medioevo che considerava la terra al centro dell’universo con tutti i pianeti che gli giravano intorno, non vide l’impresa  d’Ulisse come un tentativo di scoprire l’ignoto, ma condannò l’impresa, come una violazione delle leggi divine e collocò Ulisse all’inferno. 

Nella nona bolgia vi sono gli scismatici ed i seminatori di discordia che vengono colpiti a colpi di spada con ferite che si rimarginano e poi vengono nuovamente straziati.

Nella decima bolgia sono puniti i falsari che hanno falsificato cose, persone, denaro o parole.

I falsari di cose puniti dalla lebbra, quelli di persone dalla rabbia, quelli di monete dall’idropisia, quelli di parole dalla febbre.

Sono malattie che cambiano, deturpano, falsificano l’immagine dei peccatori, come loro durante la loro vita vollero contraffare la verità.  

Dante riserva il nono ed ultimo cerchio o pozzo dei giganti ai traditori e Virgilio gli dice: (5)

 

(Ecco il loco ove convien che di fortezza t’armi).

 

Come non paragonare queste parole con il simbolo d’Ercole dei tempi massonici quando l’apprendista deve affrontare le proprie passioni, il superamento delle prove ed ha necessità della forza o della volontà simboleggiata dal semidio.

Quest’ultimo cerchio è diviso in quattro settori dove regna il ghiaccio, nel punto più stretto risiede Lucifero, che con il suo enorme corpo muovendo le grandi ali tutto gela.

Il primo settore prende il nome di Cocito, vi sono i giganti che hanno sfidato le divinità superiori e sono condannati all’immobilità nel pozzo, vi sono anche i traditori dei loro parenti, immersi nel ghiaccio con la faccia rivolta in giù.

Il secondo settore si chiama Antenora, vi sono i traditori della patria, immersi nel ghiaccio con il viso rivolto in su.

Il terzo settore si chiama Tolomea, vi risiedono chi ha tradito gli ospiti, sono immersi sotto il ghiaccio con il viso verso l’alto e gli occhi congelati.

Il quarto settore prende il nome di Giudecca, vi sono chi ha tradito i benefattori, sono interamente immersi nel ghiaccio.

In questo ultimo settore vi sono anche quelli che Dante considera i massimi traditori, Cassio, Bruto e Giuda, sono maciullati in eterno dalle tre bocche di Lucifero.

Il poeta nella parte più profonda dell’inferno o della sua coscienza trova Lucifero, che  con le sue ali tutto ghiaccia, la cristallizzazione, sono le forze negative luciferine, che rendono incapaci d’usare la mente, l’intuizione ed il proprio arbitrio. Lucifero é il simbolo dell’io egoico, gravato dalle passioni più pervicaci, che va affrontato, rettificato altrimenti si è sempre in catene, si è sempre schiavi delle nostre passioni, che vanno superate con maturità per poter vedere nuovi lidi, è la “Nigredo alchemica”.

Gli elementi alchemici, per la comprensione, Dante li offre tutti, l’inferno che rappresenta il crogiolo alchemico che con il suo calore cuoce gli elementi, la nostalgia di una perduta condizione divina, che stimola l’adepto a recuperarla percorrendo la via iniziatica e praticando una serie di rettifiche dalle quali ne scaturisce la ripresa di coscienza della sua natura divina.

Dante descrive Lucifero con tre facce, una nera, una bianca ed una rossa, sono i colori dell’alchimia, che ha il potere di tramutare anche le energie infernali.

Il piombo che diviene argento ed infine “Oro”, simbolo della riconquistata immortalità, che si può riacquistare solo tramite una vera iniziazione tradizionale.

Il poeta descrive la sua morte iniziatica dicendo: (6)

 

(Com’io divenni allor gelato e fioco,

Non dimandar lettor, ch’io non lo scrivo.

Però ch’ogni parlar sarebbe poco.

Io non morii e non rimasi vivo).

 

Chi ha subito l’iniziazione e l’ha compresa ed assimilata, credo che può considerare questi versi, una magistrale pennellata che ferma nella mente un momento magico, comunicabile solo fra iniziati. 

Dante in questo poema tratta il tema della luce come emanazione divina, di conseguenza l’inferno viene trattato come un luogo dove manca la luce.

Le tenebre che pervadono la cavità infernale vengono descritte dal poeta con questi versi: (7)

 

(Oscura e profonda era nebulosa,

 tanto che per ficcar lo viso a fondo,

io non vi discernea alcuna cosa).

 

Virgilio conferma dicendo: (8)

 

(Or discendiam qua giù nel cieco mondo).

 

L’Inferno è invaso da un buio quasi totale, che si può definire con il termine crepuscolo, Dante dice: (9)

(Qui era men che notte e men che giorno).

 

Una volta domato Lucifero, Virgilio e Dante s’aggrappano al suo folto pelo e passano il centro della terra.

Finalmente sono giunti all’uscita del budello infernale ed arrivano nel Purgatorio dove s’espande una luce naturale e Dante può dire: (10)

 

(Lo Duca ed io per quel cammino ascoso

Entrammo a riveder lo chiaro mondo,

……………

(11) (E quindi uscimmo a riveder le stelle).

Cosa vuol dire s’aggrappano a Lucifero, è l’opera di trasmutazione della materia, il piombo che diviene Argento, esso non viene scartato ma trasmutato, questa è la regola iniziatica in possesso di tutte le vere scuole iniziatiche, le energie vengono convertite da negative in positive.

E’ la stessa natura luciferina che vinta dalle forze divine, dalla luce, diviene strumento di redenzione per l’uomo.

Una volta uscito dall’inferno Dante si volta e vede Lucifero capovolto, quest’immagine simboleggia l’avvenuta purificazione alchemica delle energie.

Inferno = (1) c.1 v.1-3 / (2) c.3 v.1-9 / (3) c.3 v.51 / (4) c.26 v.85-142 / (5) c.34 v. 20-21 / (6) c.34 v.22-25 / (7) c.4 v.10-12 / (8) c.4 v.13 / (9) c.31 v.10 / (10) c.34 v.133-134 / (11) c.34 v.139.

_______

 

Il Purgatorio

Dante inizia la narrazione del Purgatorio con questi versi: (1)

 

(Per correr migliori acque alza le vele

Ormai la navicella del mio ingegno,

che lascia dietro a se mar si crudele;

e canterò di quel secondo regno

dove l’umano spirito si purga

e di salire al cielo diventa degno).

 

Questi versi alludono alla fase alchemica dell’Albedo che sta per iniziare, la decantazione, la purificazione dell’anima, il piombo che si trasforma in argento.

L’adepto finalmente può fare una scelta, se continuare a vivere sul braccio orizzontale della croce seguitando a dedicarsi alle conquiste di questa terra o intraprendere la difficile via verticale, la scalata della montagna, che lo può portare verso la liberazione, verso il risveglio della componente sacra ed immortale del suo essere.

I due poeti usciti dall’Inferno si trovano nell’emisfero australe agli antipodi di Gerusalemme; nel periodo storico di Dante questo emisfero s’immaginava interamente ricoperto d’acqua, perciò Dante afferma che il Purgatorio è una montagna circondata dal mare contornata da una spiaggia dove arrivano le anime che devono salire il monte per espiare i loro peccati.

Il Purgatorio se visto in chiave religiosa ha la funzione di riflessione, pentimento ed espiazione, se  osservato da un punto di vista iniziatico è il luogo dove si compie il lavoro d’introspezione e di rettifica, è il V.I.T.R.I.O.L. che la massoneria sembra avere ereditato dai Rosacroce.

Virgilio e Dante arrivati nell’arenile, incontrano Catone Uticense guardiano del Purgatorio.

Questa montagna ha la forma di un cono molto ripido, composto da dieci ripiani circolari.

I primi tre ripiani costituiscono l’antipurgatorio dove le anime sono trattenute fino a quando non è stata decisa la loro pena.

Nel primo ripiano, devono sostare le anime che sono state scomunicate e qui rimangono per un periodo trenta volte superiore a quello della scomunica.

Nel secondo ripiano vengono trattenute le anime che si sono pentite prima di morire e devono attendere per un periodo eguale a quello della loro vita.

Nel terzo ripiano o valletta dei principi, sostano per un periodo pari alla loro vita le anime troppo prese dalla gloria del mondo e che si pentirono prima di morire.

I due poeti chiedono ad un anima penitente quale è la via più agevole per entrare nel Purgatorio e si propone per guidarli Sordello concittadino di Virgilio.

Il Purgatorio è composto da sette cornici che rappresentano i sette peccati capitali ed al termine finalmente le anime possono avere accesso al Paradiso terrestre.

All’ingresso del Purgatorio c’è un angelo posto su tre gradini, con i tre colori alchemici, il nero, il bianco ed il rosso, come Lucifero all’inferno. L’angelico guardiano, con la spada incide sulla fronte di Dante sette “P” che rappresentano i sette peccati capitali, Superbia, Invidia, Ira, Accidia, Avarizia, Gola, Lussuria ed il poeta dice: (2)

 

(Sette P ne la fronte mi descrisse

Col punton de la spada, e ”Fa che lavi,

quando se dentro, queste piaghe”disse.

 

Cenere, o terra che secca si cavi,

d’un color fara col suo vestimento;

e di sotto da quel trasse due chiavi.

 

L’una era d’oro e l’altra era d’argento;

pria con la bianca e poscia con la gialla

fece e la porta si, ch’i fu contento

 

“Quantunque l’una d’este chiavi falla,

che non si volga dritta per la toppa”

diss’elli a noi, “non s’apre questa calla”.

Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa

d’arte e d’ingegno; avanti che disersi.

Perch’ella è quella che l’nodo disgroppa).

 

L’angelo spiega a Dante che per aprire la porta del Purgatorio, occorrono due chiavi, una d’oro e l’altra d’argento, la prima è la più preziosa, ma proprio quella d’argento che rappresenta “l’Albedo”  determina l’apertura della porta perché vuole troppo d’acume e d’ingegno.

Ogni cornice è custodita da un angelo che rappresenta la qualità opposta al peccato, sono gli angeli dell’Umiltà, della Misericordia, della Mansuetudine, della Sollecitudine, della Giustizia, della Astinenza, della Castità.

A Dante al termine di ogni ripiano gli viene cancellata una P, dall’ala dell’angelo che è a guardia di quella cornice, segno che quella particolare espiazione o rettifica è stata compiuta.  

Deve avvenire quella trasmutazione interiore totale che gli farà convertire il piombo in argento e poi in oro nell’interno del suo atanor o della sua coscienza.

L’adepto che procede in questo percorso, gradualmente alleggerisce il proprio fardello e si prepara a ricevere la luce spirituale che risveglierà in lui quella Natura divina che aveva dimenticato e che deve tornare a governare il suo essere.

Alla base del Purgatorio vi sono la anime che hanno commesso le colpe più gravi e man mano che si sale vi sono le colpe più lievi.    

Questa è una precisa indicazione di tutte le vie iniziatiche, sulla via le difficoltà, gli ostacoli, gradualmente vanno diminuendo, con il procede del processo di purificazione della propria anima.

Le sette cornici equivalgono ai sette gradi di molte società iniziatiche, come i misteri di Mitra e Dante dovrà compiere l’opera di decantazione della sua anima se vorrà proseguire il cammino verso il Paradiso.

Egli è sempre guidato da Virgilio come deve essere qualsiasi adepto che riceve l’iniziazione.

Virgilio è l’Illuminato che conosce la via, la guida non può avere una cultura libresca, ma deve avere già percorso realmente la strada.

Nella prima cornice vi sono i superbi che espiano camminando e portando pesi molto pesanti.

Nella seconda gli invidiosi che indossano un cilicio e hanno le palpebre degli occhi cucite con fil di ferro.

Nella terza trova gli iracondi che sono puniti camminando nel fumo.

Nella quarta vi sono gli accidiosi che devono correre gridando esempi di sollecitudine e di accidia che viene punita.

Nella quinta vi sono gli avari ed i prodighi, che per espiazione sono legati e piangono bocconi.

In questa ultima cornice si scatena un terremoto e si unisce ai poeti l’anima di Stazio che dopo cinquecento anni di espiazione ora può raggiungere il Paradiso.

Nella sesta cornice vi sono i golosi, che Dante descrive come magrissimi che devono soffrire fame e sete.

Nella settima espiano i lussuriosi ed i sodomiti sono puniti camminando nelle fiamme.

Dante scioglie i legami che lo tengono ancorato al mondo, con dolcezza senza reprimere quelle energie che lo appesantiscono.

Nel Purgatorio il poeta osserva le passioni, le pene di altri esseri umani, è un modo criptato per far comprendere a chi può capire, che questa è una delle componenti iniziatiche fondamentali, che prescrive di osservare nel profondo del nostro essere con distacco, come un freddo osservatore senza giudicare e sciogliere i legami che lo tengono ancorato al mondo, con dolcezza senza reprimere quelle energie che vanno tramutate. Come molto tempo prima aveva insegnato Ermete Trismegisto nella sua Tavola di Smeraldo:(Separerai la terra dal fuoco, il sottile dallo spesso, lentamente con grande cura). 

Dante usa questi personaggi per indicare la rettifica interiore che sta compiendo su se stesso, con Manfredi verifica gli effetti devastanti dei rancori, delle inimicizie, con Jacopo del Cassero scopre come i ricordi pietrificano la coscienza nel passato, con Bordello come la polemica politica può incatenare, con Casella come può legare la stessa bellezza del mondo, che la metafisica definisce illusoria e temporanea.

Gradualmente il poeta si distacca dalle passioni, dai legami di sangue, dai pregiudizi, dal sentimentalismo oscurante, che cristallizza la mente ed il cuore nei meandri della vita passionale e materiale.

Un altro ostacolo da superare sono le chiacchiere della personalità dialettica che occupa in continuazione lo spazio della mente con pensieri rivolti a cercare consenso all’esterno o di sopraffare le idee altrui. A volte siamo invasi da pensieri pericolosi e subdoli come quelli involontari, che senza chiedere il permesso invadono la nostra mente all’improvviso come degli ospiti indesiderati, che interrompono l’attenzione  dai pensieri volontari sui quali eravamo concentrati.

La tecnica del silenzio interiore insegnata fin dall’antichità, è il solo modo per riportare la serenità nella nostra mente e nella nostra coscienza, ora l’ospite di riguardo, che con passi sempre più sicuri sta compiendo il suo ritorno a casa troverà l’accoglienza che merita.

Attenzione, nel lungo e difficile percorso iniziatico, la purificazione deve avvenire realmente, altrimenti andiamo incontro al pericolo della contro iniziazione, diveniamo maghi di Lucifero.

Gli alchimisti per verificare se era avvenuta la realizzazione dell’albedo, per controllare se il piombo si era trasformato in argento, ponevano l’adepto di fronte alla prova del drago.

La prima fase alchemica è la separazione, l’anima liberata dal corpo (sale) deve affrontare una energia tremenda che cerca d’ imprigionare l’anima.

Sono gli antichi legami, è l’io egoico sempre in agguato, l’adepto non si deve distrarre, altrimenti rischia di perdersi nel mondo dell’occulto tenebroso.

Con la prova del drago possiamo verificare se si è determinata la totale purificazione della coscienza, se siamo al servizio del Sacro, o se siamo ancora ghermiti dagli artigli di Lucifero.

La liberazione è vicina, la Gnosi si va gradatamente realizzando perché non trova più ostacoli, la parte migliore della mente e del cuore sono pronti, ora si deve compiere l’iniziazione del Fuoco spirituale che Dante compie al termine della settima cornice attraversando un cerchio di fuoco, ma indugia, ha paura, e Virgilio lo incoraggia dicendo: (3)

 

(Credi per certo che, se dentro l’alvo

 Di questa fiamma stessi ben mill’ anni,

Non ti potrebbe far d’un capel calvo.

E, se tu credi forse ch’io t’inganni,

 Fatti ver lei, e fatti far credenza.

Con le tue mani al lembo de’ tuoi panni.

Pon giù omai, pon giù ogni temenza.

Volgiti in qua, e vieni oltre sicuro;

Ed io pur fermo, e contra coscienza.

Quando mi vide star pur fermo e duro,

 Turbato un poco, disse: Or vedi, figlio

Fra Beatrice e te è questo muro.

…………..

(4)

Non aspettar mio dir più, ne mio cenno.

 Libero, diritto e sano è il tuo arbitrio,

 E fallo fora non fare a suo senno;

 Perch’io te sopra te corono e mitrio).

 

Dante finalmente trova il coraggio d’affrontare la prova del fuoco, ormai la Luce divina ha iniziato ad illuminare il suo essere,  l’iniziando è divenuto cavaliere Kadosch, che riunisce corona e mitria, potere temporale e spirituale, realizzando completamente l’Albedo, l’anima è candida pronta per il matrimonio alchemico, quando la Luce divina irradierà l’intero essere trasformandolo nel colore dell’Oro.

Nel Paradiso si perviene in una realtà dove la luce s’espande ed illumina il cosmo, divenendo sempre più intensa e soprannaturale, Dante man mano che sale da cielo a cielo arriverà all’Empireo, sede eterna di Dio, dove nasce un fiume di Luce divina che poi s’irradia per tutto l’universo.

Uscito dal Purgatorio Dante arriva sulla riva di un fiumicello che gli sbarra la strada. Sull’altra riva compare una donna bellissima che illustra al poeta il luogo dove si trovano e gli toglie diversi dubbi.

Matelda cammina su una sponda e Dante sull’altra nella stessa direzione. All’improvviso compare una processione di beati con candide vesti ed al termine un carro trionfale tirato da un grifone. Si sente un tuono ed il carro e la processione s’arrestano.

Mentre gli angeli e i beati acclamano, scende dal cielo Beatrice e si siede sul carro, in quel momento Virgilio scompare.

Beatrice rivolge a Dante aspri rimproveri per i suoi trascorsi, e mentre Dante piange, Beatrice gli spiega dettagliatamente le sue colpe.

Matelda lo purifica con le acque del Letè e lo presenta a Beatrice pregandola di mostrarsi svelata.

Dante cade in ammirazione di Beatrice e s’addormenta, al suo risveglio la vede attorniata da sette donne.

Beatrice annunzia a Dante che presto verrà colui che libererà la chiesa e l’Italia dai malvagi, poi lo fa bagnare nelle acque dell’Eunoè che lo ricreano, finalmente è pronto per salire verso le stelle.

Ora Dante entra in comunione spirituale con Beatrice e descrivendola dice:

 

(…..Il santo rivo ch’esce da fonte onde ognin Ver deriva).

 

Il poeta è arrivato al Paradiso terrestre ed è pronto per innalzarsi con Beatrice verso le stelle, trascende i limiti della condizione umana e s’innalza in una sfera di fuoco.

Purgatorio = (1) c.1 v.1-6 / (2) c.9 v.112-126 / (3) c.27 v.25-36 / (4) c.27 v.139-142.

 

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Il Paradiso

La lettura in chiave esoterica del Paradiso è quella che richiede una maggiore preparazione per i contenuti esoterici, alchemici e la spiritualità che sono velati da allegorie.

 Dante nel Paradiso spiega la realizzazione della Rubedo, che rappresenta il matrimonio alchemico del mercurio con lo zolfo, ossia dell’anima purificata con lo spirito.

Questo matrimonio è possibile perché nel Purgatorio è avvenuta l’Albedo, il piombo è diventato argento, l’anima si è separata dal corpo, nel senso che non è più schiava delle passioni.

Dante dopo aver rivolto una preghiera ad Apollo, il Dio sole, deve iniziare il percorso finale verso l’Empireo.

Quest’ultimo viaggio inizia con una caratteristica basata principalmente sulla capacità di saper vedere la luce come emanazione di Dio e dice: (1)

 

(Nel ciel che più de la sua luce prende

Fu’io, e vidi cose che ridere

Ne sa ne può chi di la su discende);

 

Il primo animale citato è l’aquila, che come è noto riesce a fissare il sole, Beatrice supera anche l’aquila nel fissare la luce dell’astro, anche Dante tenta di guardare il sole, ma deve  desistere perché i suoi occhi non resistono, allora fissa il suo sguardo negli occhi di Beatrice che imperturbabile resta ferma a fissare quella Luce divina.

Per Dante la possibilità di vedere la gloria di Dio dipende da Beatrice, la donna, che come dice: (2)

 

(Ma ella, che vedea l’mio desire,

incominciò, ridendo tanto lieta,

che Dio parea nel suo volto gioire;)

 

Il poeta parla delle belle immagini fatte dagli artisti o dalla natura, che sono niente in confronto al piacere divino che gli procurò Beatrice quando gli rivolse il suo viso ridente.

E conclude dicendo: (3)

 

(Quella che imparadisa la mia mente)

Negli occhi di Beatrice Dante vede la Luce divina, scorge Dio che gli appare come un punto luminoso in mezzo a nove cerchi che sono corrispondenti ai nove cieli, ma superiori per il grado di virtù che li sostanzia.

Mentre contemplano lo splendore dei cerchi, Beatrice illustra a Dante le gerarchie celesti secondo le spiegazioni che Dio concesse a Dionigi Areopagita.

Prima categoria: (Serafini, Cherubini, Troni), seconda categoria: (Dominazioni, Virtù, Potestà), terza categoria: (Principati, Arcangeli, Angeli), inoltre gli spiega perché la Luce aumenta man mano che si avvicina al centro dove risiede Dio.   

Si stabilisce un triangolo, la luce del sole, gli occhi di Beatrice e quelli di Dante. Questa luce riflessa da Beatrice, da l’inizio all’ascesa del poeta verso il cielo, egli inizia a varcare le possibilità umane.    

Ora accompagnato da Beatrice, colei che da beatitudine, s’innalza attraverso una sfera di fuoco, verso i nove cieli vincendo la forza di gravità.

La sua guida rappresenta la Verità, l’Illuminazione prodotta dall’Intuizione superiore che si realizza con la conoscenza iniziatica.

Il poeta quando s’accorge che sta volando, chiede spiegazione alla sua guida e lei gli risponde: (4)

 

(Maraviglia sarebbe in te, se privo

d’impedimento, giù ti fossi assiso,

com’a terra quiete in foco vivo).

 

Non c’è pertanto da meravigliarsi se rimossi gli ostacoli che prima l’impedivano, Dante ora non possa volare.

Infatti sarebbe un miracolo, se puro come è diventato da ogni scoria di peccato, fosse rimasto ancorato alla terra.

I primi sette cieli prendono il nome dai pianeti del sistema solare, Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno.

Gli ultimi due sono formati dalla sfera delle stelle fisse e dal Primo mobile. Questi nove cieli sono contenuti nell’Empireo dove le anime del Paradiso risiedono nella candida Rosa e hanno la possibilità di contemplare Dio.

Dante definisce l’Empireo, la sede di Dio, essa è immobile, perfetta ed eterna, dalla quale partono i movimenti che si comunicano ai nove cieli.

I pianeti assumono una caratteristica astrologica che li caratterizza, per esempio nel cielo di Venere ci sono gli spiriti che hanno saputo amare.

Questo percorso non è solo un viaggio attraverso i pianeti, ma anche attraverso le dimensioni.

Ora nel Paradiso i pianeti rappresentano la purificazione che si è determinata, la Rubedo che si va gradualmente concretizzando.

In questa fase Dante è sotto l’effetto del Fuoco divino e nel suo transitare da pianeta a pianeta, da cielo a cielo, cerca di comunicare le mutazioni che stanno avvenendo nella sua coscienza, è un momento traumatico, di rottura di un livello per passare in un stato di coscienza superiore.

E’ un momento di coinvolgimento e di trasfigurazione totale del suo essere ed il poeta passa dal sonno, all’estasi ed alla temporanea cecità.

Prima d’iniziare il viaggio dei cieli, Dante conoscendo bene i pericoli e le difficoltà di questo percorso, lancia un avvertimento a chi si accinge a seguirlo sulla via dell’iniziazione: (5)

 

(O voi che siete in piccoletta barca,

Desiderosi d’ascoltar, seguiti

Dietro al mio legno che cantando varca,

Tornate a riveder li vostri liti,

Non vi mettete in pelago; che forse ,

Perdendo me, rimarreste smarriti).

 

Il primo cielo è quello della Luna, dove Dante nel suo poema pone le anime che non hanno adempiuto completamente ai loro voti, non per scelta ma perché costretti.

Dante ci comunica che il cielo della luna, con la sua luce bianca simboleggia la fase alchemica dell’albedo pienamente realizzata.

Le intelligenze angeliche che presiedono questo cielo sono gli Angeli di terza categoria.

Nel secondo cielo di Mercurio Dante pone le anime che sulla terra si sono impegnate per l’amore e la gloria, come l’imperatore Giustiniano che riordinò le leggi nel grande Corpus Iuris.

Il poeta li descrive come spiriti che risplendono, cantando e danzando. Il poeta dal rinnovato Mercurio acquisisce la conoscenza che farà scaturire la saggezza.

Gli Arcangeli di terza categoria presiedono questo cielo.

Nel terzo cielo di Venere impera l’amore e vi appartengono coloro che seppero amare e si muovono armoniosamente in senso circolare.

Venere dona al poeta la capacità di riflettere all’esterno l’amore che ha conquistato in se stesso.

I Beati di terza categoria guidano questo cielo.

Nel quarto cielo del Sole impera la sapienza. Qui risiedono i Dotti della chiesa che espandono splendore mentre cantano e danzano in circolo. Il sole dona al poeta la sapienza, la conoscenza delle cose divine.

Presiedono questo cielo i Potestà di seconda categoria.

Nel quinto cielo di Marte vi sono le anime di quelli che morirono combattendo per la fede.

Marte gli elargisce la volontà, senza la quale un iniziato non può sperare di conquistare traguardi così elevati. Esse formano una croce greca ed al suo centro c’è Cristo, che per primo morì per dare fede all’umanità.

Le Virtù che presiedono questo cielo, sono angeli di seconda categoria.

Nel sesto cielo di Giove impera la giustizia, è abitato dalle anime dei re, principi e sapienti che hanno guidato con saggezza ed equità gli uomini. Essi volano e formano delle lettere luminose che compongono la frase: (Diligite iustitiam qui indicatis terram) Amate la giustizia voi che giudicate il mondo, frase ispirata dal primo libro della sapienza “Sophia Salomonos” nato sotto il patronato del  saggio re d’Israele Salomone, come i libri Qoelet e il Cantico dei cantici.

Questi libri esprimono un elogio alla sapienza biblica con lo scopo di difendere la cultura e la fede ebraica dalle tentazioni della cultura pagana ellenistica.

Dante da Giove acquisisce la capacità di riflettere la luce della Giustizia divina ed infatti da questo pianeta rivolge l’accusa al papa Bonifacio ottavo, di indegnità morale.

Il poeta sottolinea l’antitesi fra il giudizio umano, fondato sull’apparenza e quello divino, che ricerca la sostanza delle cose reali.

Dante condanna aspramente Bonifacio ottavo che secondo il suo giudizio ha ottenuto il pontificato con l’inganno ed afferma:(esercita il suo ministero in modo di suscitare l’allegrezza di Satana).  

Le Guide che amministrano questo cielo sono quelle di seconda categoria delle dominazioni.

Nel mondo di Saturno il poeta entra in una nuova dimensione, dove le energie negative cristallizzate del vecchio Saturno non riescono ad entrare.

Il settimo cielo di Saturno è dedicato alla meditazione, qui vi sono le anime che si sono dedicate alla contemplazione del divino.

Dante le pone su una scala celeste del colore dell’oro, impegnate a salire e a scendere, la scala è talmente alta che non si vede dove termina.

Le intelligenze dei Troni guidano questo cielo e sono i Beati di prima categoria.

Finalmente sta per nascere l’Uomo divino che salendo una scala d’oro perviene alla Rubedo, alla conclusione dell’Opera alchemica.

Dante percorsa la scala arriva all’ottavo cielo, quello simboleggiato dalle stelle fisse ed ha delle visioni, la Luce del Cristo, il sorriso di Beatrice, la Luce della Gnosi.

Il cielo delle stelle fisse è il luogo dove vi sono le anime trionfanti, sono come delle lucerne dalle quali s’espande la luce di Cristo. Qui risplende anche Maria con vicino l’Arcangelo Gabriele che gli volteggia intorno cantando.

In questo cielo Dante viene esaminato sulle tre virtù teologali.

San. Pietro lo esamina sulla fede, San. Giacomo Maggiore sulla speranza, San. Giovanni sulla carità.

Questo cielo è presieduto dai Cherubini di prima categoria.

Il nono cielo è detto cristallino, o Primo mobile perché mosso direttamente da “Dio”

e trasmette il movimento ai cieli sottostanti.

Qui risiedono la gerarchie angeliche che appaiono distribuite in nove cerchi di fuoco che girano intorno ad un punto piccolissimo ma luminosissimo.

Sopra al Primo mobile c’è l’Empireo, che è immobile perché perfetto ed eterno. Questo centro dell’universo fa ruotare i cieli sottostanti con movimento rotatorio che partendo dal Primo mobile con una rotazione molto veloce gradualmente rallenta fino ad arrivare alla terra.

Questa è la sede di Dio, degli angeli e della Rosa, dei Beati dell’antico e nuovo testamento.

Questo cielo è amministrato dalla gerarchia del Serafini di prima categoria.

Dante vede Beatrice “bella com’egli non l’aveva mai vista”, arrivati nella sede di Dio il poeta sente aumentare le proprie facoltà.

Vede un fiume di luce tra due rive piene di fiori e faville di luce. La visione cambia, il fiume diviene una scalinata circolare. I fiori si trasformano in Beati ed occupano mille gradini, le faville si trasformano in angeli volanti.

Mentre Dante contempla la rosa mistica, in un lampo vede i tesori di Dio; quando il poeta si volta per porgere una domanda a Beatrice non la vede più e trova al suo posto S. Bernardo, colui che ha emanato la regola dei templari.

Il Santo spiega al poeta la distribuzione dei Beati nella rosa mistica, che da Maria scendono formando una divisione tra i Beati del vecchio e del nuovo Testamento.

L’Arcangelo Gabriele vola vicino a Maria e S. Bernardo indica a Dante le più eccelse anime della rosa.

Il Santo chiede alla Vergine Maria di purificare Dante da ogni residuo d’impedimento terreno e di concedergli la contemplazione della visione di “Dio”.

Maria fissando lo sguardo su S. Bernardo gli fa comprendere che ha accolta la supplica.

Il Santo invita Dante a guardare verso l’alto e poi scompare perché ormai il poeta non necessita più di una guida, il suo animo è pronto alla contemplazione divina.

Fissa lo sguardo verso la Luce, ma non riesce a penetrarne l’essenza, allora invoca l’aiuto di Dio.

Dopo aver affermato che non ricorda quasi niente della visione ricevuta, dice d’aver visto L’Essenza divina come una luce intensissima.

Nel profondo di quella luce tutto ciò che è diviso e separato per l’universo, appare congiunto nell’Unità di Dio, legato da un vincolo d’amore e dice: (6)

 

(Nel profondo vidi che s’interna,

legato con amore in un volume,

Ciò che per l’universo si squaterna);

 

Dante afferma che è insufficiente il suo parlare, con le parole, non può descrivere quello che ha visto in un attimo, tuttavia prosegue la narrazione affermando che in quella luce ha visto tre cerchi, di tre colori diversi, tre corone luminose che simboleggiano la Gloria di Dio, che opera come il potere eterno che lavora per l’Armonia dell’universo.

Il secondo cerchio é il Figlio, che si riflette nel primo il Padre ed il terzo é lo Spirito santo, che viene riflesso da entrambi come fuoco ed escama: (7)

 

(Nella profonda e chiara sussistenza

Dell’alto lume parvermi tre giri

Di tre colori e d’una contingenza;

E l’un dall’altro, come Iri da Iri,

Parea reflesso, e il terzo parea fuoco

Che quinci e quindi egualmente si spiri).

 

Dante fa un’altra escamazione: (8)

 

( E’ tanto, che non basta a dicer poco.

O luce eterna, che sola in te sidi,

sola t’intendi, e da te intelletta.

Ed intendente te ami e arridi.)

 

Il Poeta ribadisce che Dio è Uno e Trino, risiede solo in se stesso e comprende il Padre, il Figlio e lo Spirito santo che spira da entrambi, il poeta focalizza l’attenzione sul secondo cerchio, quello del Figlio, perché in essa vede una immagine che assume la forma umana.

E’ il mistero dell’incarnazione, che il poeta non potrebbe comprendere come “la quadratura del cerchio” se non fosse stato illuminato dalla Grazia divina.

Dante spiega con una similitudine che si era impegnato come fa il geometra, che con tutte le sue facoltà si concentra per trovare l’esatta misura del cerchio, ma non la trova, così lui voleva trovare il mistero della coesistenza in Cristo della natura divina e quella umana e dice: (9)

 

(Dentro da se del suo colore stesso

Mi parve pinta della nostra effige

Per che il mio viso in lei tutto era messo.

Qual è ‘l geometra che tutto s’affige

Per misurar lo cerchio, e non ritrova,

Pensando, quel principio ond’egli indige);

 

Il poeta prosegue dicendo che le penne, ossia le ali della sua fantasia o intuizione, non potevano farlo volare così in alto se la sua mente non fosse stata  colpita  da una folgorazione divina, che illuminando il suo essere gli consentì di comprendere il mistero dell’incarnazione di Dio ed esclama: (10)

(Ma non eran da ciò le proprie penne;

Se non che la mia mente fu percossa

Da un fulgore, in che sua voglia venne.

All’alata fantasia qui manco possa);

 

L’aiuto di Dio gli apre l’accesso al mistero più grande e può comprendere pienamente, con il risveglio dell’intuizione superiore, il mistero dell’incarnazione divina.

Il poeta dopo aver compiuto un volo così alto gli vennero a mancare le forze, ma ormai il suo desiderio di conoscenza e la sua volontà si muovevano come una ruota che gira con movimento uniforme, armonizzata e mossa dalla Volontà e dall’Amore di Dio che imprime il movimento al sole e le altre stelle e dice: (11)

 

(Ma già volgeva il mio disiro e il velle,

Si come ruota che ingualmente è mossa,

L’amor che muove il sole e l’altre stelle).

 

Alcuni commentatori della Divina Commedia dicono che Dante nel trentatreesimo canto del Paradiso ha fallito, perché non è riuscito a spiegare i misteri della Trinità e dell’incarnazione divina.

Ritengo che questi ricercatori, con il metro della sola cultura, hanno formulato un giudizio che non rende  giustizia a Dante.

Il Poeta in questo lungo viaggio iniziatico ci può solo parlare, con un linguaggio allegorico, delle illuminazioni e delle visioni che ha ricevuto.

Dio si può rappresentare con l’immagine della luce, con quella del fuoco, si possono usare i termini corona luminosa, focolare misterioso, ma rimane quel Dio non manifesto, senza nome, purissimo Spirito che regna in eterno nell’universo, non si può e non si deve andare oltre, altrimenti si rischia di sminuire, di ridurre, di umanizzare il divino. Nel libro dell’Esodo, Dio rispose a Mosé: “Io sono colui che sono”. Dio si è rivelato con un verbo, che rifiuta le definizioni riduttive, la sua Essenza non può essere usata dall’uomo per i suoi interessi.

Il poeta comunque comunica, a chi può comprenderli, due messaggi fondamentali per la comprensione dei misteri, che desidero ribadire, dice che con la coscienza rinnovata ed illuminata dalla folgorazione divina, gli è stato permesso di “ficcar lo viso per la luce eterna” ed in quella visione ha compreso il mistero dell’Unità e Trinità di Dio “Nel profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume ciò che per l’universo si squaterna”.

Già Ermete ha affermato: (……….. per la meraviglia di una cosa unica).

Molto tempo prima del cristianesimo fin dagli albori delle civiltà, l’umanità ha concepito il divino con il concetto dell’Unità e della Trinità di Dio, rappresentato con le peculiari caratteristiche, significati e diversità derivanti dalle differenze dottrinali, tipiche di ogni religione.

 Si notano queste similitudini nelle divinità indoeuropee, nella religione Egiziana con Osiride, Iside e Horus; nella Trimurti dell’ induismo con Brama, Shiva e Vishnu, che spesso viene rappresentata come una divinità con un solo corpo e tre teste, questa figura divina è riconducibile allo stesso ed unico Dio, Brahman.

Dante riferito al mistero dell’incarnazione afferma “Dentro da se del suo colore stesso Mi parve pinta della nostra effige”. Il Poeta con questa frase, ci dona con una magistrale pennellata, l’immagine che poteva esprimere solo una mente geniale, per descrivere in modo velato il mistero più grande, infatti nella Genesi viene detto: (Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza).

Ricordiamoci che il poeta era un uomo del medioevo, vincolato dalle regole della segretezza, non poteva descrivere nella Divina Commedia il metodo iniziatico detto: (il Real Segreto) che consente di riprendere coscienza e risvegliare il Se o l’Aziz, nomi che secondo le diverse tradizioni si riferiscono a quella componente sacra ed immortale donata da Dio agli uomini.

Dante ha superato i limiti umani in lui si è realizzata “l’Anima Mundi” l’energia divina che s’irradia in tutto l’universo e che rappresenta il fuoco segreto dell’alchimista, ora il poeta è arrivato alla fase finale del percorso alchemico, la Rubedo.   

Dante con la guida di Virgilio, Beatrice, S. Bernardo ed il dono dell’Illuminazione divina, ha tracciato la via, scesa agli inferi nel profondo della coscienza, prendendo consapevolezza delle forze luciferine, del piombo che alberga in noi, la Nigredo.

 Risalita sulla montagna del purgatorio, la purificazione, la rettifica, la decantazione alchemica, l’Albedo, che tramuta il piombo in argento.

La salita al Paradiso terrestre ed il volo sublime attraverso i cieli e l’arrivo all’Empireo, sede divina, la Rubedo, ora l’argento finalmente è divenuto Oro ed non è più suscettibile di mutazioni.

Si deve perdere la falsa identità che abbiamo di noi stessi, non identificarci più soltanto con l’io mortale, tornare alla consapevolezza e se possibile al risveglio del “Se”, o della nostra natura originaria.

Termino questa ricerca con la convinzione che ormai, l’anima del sommo Poeta era in completa e perfetta armonia con la volontà di Dio.

Paradiso = (1) c.1 v.4-6 / (2) c.27 v.103-105 / (3) c.28 v.3 / (4) c.1 v.139-141 / (5) c.2 v.1-6 / (6) c.33 v.85-87 / (7) c.33 v.115-120 / (8) c.33 v.123-126 / (9) c.33 v.130-135 / (10) c.33 v.139-142 / (11) c.33 v.143-145.

(Autore: Alberto Canfarini, Roma, 02/03/12)

 

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