La
nascita di Dante Alighieri è incerta, viene indicata tra maggio e giugno
del 1265, morì esule a Ravenna il 14-settembre-1321.
Nacque
in una famiglia fiorentina degli Alighieri legata ai guelfi, che si
opponevano ai ghibellini.
Il
padre di Dante, Alighiero di Bellincione, esercitava l’attività di
cambiavalute senza aspirazioni politiche pur essendo un guelfo.
Quando
i ghibellini vinsero la battaglia di Montaperti non lo esiliarono perché
lo giudicarono non pericoloso.
Il
poeta sposò a 20 anni Gemma figlia di messer Manetto Donati, che
apparteneva ad una importante famiglia fiorentina, che più tardi si
schierò con i guelfi neri fazione avversa a quella del poeta.
Studiò
le discipline previste dalle scuole e dalle università medievali,
teologia, filosofia, fisica, astronomia, grammatica e retorica.
L’apprendimento
di Dante avvenne nello Studio Generale di S. Croce. La persona che cambiò
la vita del giovane Dante, fu Brunetto Latini, il quale riconobbe in lui
il genio e gli donò la sua conoscenza. Dante lo ricorda nei famosi versi:
(Che n’la mente m’è fitta ed or m’accora,
la
cara e buona immagine paterna,
di
voi, quando nel mondo ad ora ad ora,
M’insegnavate
come l’uom s’etterna).
Don
Vincenzo Borghini afferma che i veri maestri di Dante sono stati i libri,
infatti nel quarto canto dell’Inferno elenca quasi tutti gli uomini
colti e i grandi filosofi dell’antichità, dai quali il poeta ha tratto
conoscenza e saggezza.
Possiamo
affermare con certezza che la sua cultura esoterica era completa ed ebbe
la fortuna di essere stato cooptato dai Fedeli D’Amore che lo
introdussero nell’infinito mondo dell’esoterismo.
Quasi
tutti i ricercatori hanno ritenuto la società dei Fedeli d’Amore
d’estrazione templare e di conseguenza in forte sospetto d’eresia per
la chiesa.
C’è
una forte similitudine fra il pensiero di questa scuola e la mistica
persiana Sufi, in particolare quella dei Rumi, fondata da Jalal al Din
Rumi, poeta persiano.
I
Fedeli d’Amore erano una organizzazione tradizionale iniziatica, nata
dalla realtà medioevale del tredicesimo secolo.
In
quel periodo storico il potere dell’imperatore si era affievolito in
Italia ed al suo posto nella complessa situazione politica italiana,
s’infiltrava il potere temporale della chiesa, che con il suo
dogmatismo, la tortura e i roghi dell’inquisizione, s’impadroniva del
potere.
Alcuni
accademici hanno messo in dubbio l’esistenza dei Fedeli d’Amore, ma lo
stesso Dante ne parla in Vita Nova.
Nonostante
l’indifferenza dei critici accademici d’estrazione clericale, si sono
dedicati allo studio di questa associazione personaggi come Ugo Foscolo,
Maria Filelfo, Antonio Maria Biscione e poi Giosuè Carducci, Giovanni
Pascoli, Luigi Valli, Gabriele Rossetti e René Guenon.
Questa
associazione si è avvalsa del Dolce Stil Novo, movimento poetico
italiano, che si è sviluppato verso la fine del 1200, divenendo una
ricerca raffinata che si differenzia dall’italiano volgare, portando la
tradizione verso un linguaggio ricercato ed aulico.
La
poetica stilnovista acquista un carattere intellettuale e si avvale di
metafore e simbolismi dal doppio significato.
I
Fedeli d’amore come traguardo sociale si proponevano di riportare la
Chiesa all’insegnamento del Cristo ed il clero ad una morale e
spiritualità che ormai giudicavano decaduta ed infangata.
Contribuirono
ad occultare nel linguaggio del Dolce Stil Novo un messaggio esoterico,
Jacopo da Lentini, Pier della Vigna, Guido Guininzelli, Guido Cavalcanti,
Cino da Pistoia, Cecco d’Ascoli e Dante.
René
Guenon è stato un convinto assertore della radice templare dei Fedeli
d’Amore, ricorda che si freggiavono dei stessi colori e del titolo di
Kadosch, (Santo), che veniva conferito agli alti gradi dell’istituzione.
Inoltre
fa notare che dietro le apparenti diversità dottrinali emerge una unità
essenziale che si sostanzia nel pensiero metafisico, il quale non è
pagano, ne cristiano, ne è una esclusiva di nessuna altra tradizione, é
universale, infatti é contenuto anche nei Veda indiani.
Definire
il pensiero di Dante eretico, come fece la Chiesa, è pura ottusità, egli
era in possesso di quella sapienza esoterica che valica il tempo e lo
spazio, è eterna.
I
Fedeli d’Amore erano esposti all’intransigenza della Chiesa
dell’epoca, da qui la necessità di celare il loro pensiero con un
linguaggio criptato, che era stato scelto con quello degli innamorati,
perché ritenuto idoneo ad esprimere il loro pensiero.
Questo
linguaggio trovò i suoi natali in Provenza, creato da Roman de la Rose
per proteggere gli Albigesi dalle persecuzioni di Innocenzo terzo.
A
Firenze dette impulso a questo linguaggio criptato Guido Guininzelli, che
apportò delle modifiche perché ormai alcune parole come fiore e rosa
erano state comprese dall’inquisizione e le modificò con nomi di donna
come Beatrice, che inoltre dovevano trovare riscontro nella realtà della
vita sociale dell’epoca.
Beatrice
significava la sapienza iniziatica, donna per definire gli iniziati,
piangere significava simulare fedeltà alla Chiesa cattolica, pietra o
pietra nera per definire la chiesa corrotta, saluto per definire l’atto
dell’iniziazione, sono solo alcuni nomi di un lessico molto vasto.
Il
Cavalcanti si distinse in questa società iniziatica, fu colui che iniziò
Dante e scrisse poesie e sonetti di alto contenuto esoterico.
Sembra
che questa scuola iniziatica avesse sette gradi come le arti liberali.
Dante scrisse sonetti e canzoni di grande valore iniziatico per i Fedeli
d’Amore, il suo migliore talento lo espresse in Vita Nova, dove
descrisse la sua seconda nascita, quella iniziatica.
Il
poeta a causa del suo carattere ribelle ebbe delle incomprensioni con i
capi di questa organizzazione e fu abbandonato, noi diremo assonnato. Per
farsi riaccettare scrisse la canzone “Donne che avete intelletto
d’Amore”, che entusiasmò per il suo alto valore esoterico, fu
risvegliato e posto fra gli alti gradi dell’istituzione.
In
seno alla società emersero due tendenze di pensiero, la prima quella
conservatrice del Cavalcanti, che riteneva la Sapienza iniziatica di
natura razionale. La seconda quella che faceva capo a Dante, la quale
faceva scaturire la Sapienza dal connubio delle potenzialità umane, la
ragione, la spiritualità e l’intuizione superiore.
Col
prevalere della teoria del poeta, il Cavalcanti si ritirò ed avvenne una
scissione che portò l’istituzione vicina alla chiusura.
Dante
cercò di dare nuovo impulso alla società, ma nonostante i suoi sforzi ed
anche a causa delle aumentate pressioni della chiesa i Fedeli d’Amore
cessarono di operare ed il poeta la definì “La morte di Beatrice”.
Dante
per lenire il suo dolore si dedicò al sociale, s’iscrisse nella società
degli speziali ed entrò in politica.
In
seguito Dante fece altri tentativi di ridare vita alla società dei Fedeli
d’Amore ma sembra con poco risultato.
La
delusione fece nascere nell’animo del poeta la necessità di lavorare
esotericamente in solitudine. Concepì l’idea ed iniziò la sua più
grande opera, il suo capolavoro, “La Divina Commedia”.
L’esistenza
di Dante è stata legata e fortemente condizionata dagli avvenimenti
politici di Firenze. Nel 1250 un governo di borghesi ed artigiani mise
fine all’autorità della nobiltà fiorentina.
Il
conflitto fra guelfi fedeli al papa e ghibellini fedeli all’imperatore
divenne una guerra fra borghesi e nobili.
Nel
1252 a Firenze vennero coniati i primi fiorini d’oro, che divennero i
dollari dell’Europa commerciale dell’epoca.
Dante
fu nel consiglio del popolo dal 1295 al 1296, fece parte del Concilio dei
cento e fu inviato come ambasciatore a S. Giminiano.
Nel
1266 la città fu ripresa dai guelfi ed i ghibellini furono esiliati.
Il
partito dei guelfi in seguito si divise in due fazioni, bianchi e neri.
Dante,
quando la lotta fra le fazioni opposte si fece più aspra, si schierò con
i bianchi che cercavano di difendere la città dall’egemonia della
chiesa e da papa Bonifacio ottavo.
Nel
1300 fu Priore dal 15 giugno al 15 agosto, osteggiò sempre la politica
della Chiesa e in particolare fu acerrimo nemico di Bonifacio VIII.
Dante
si trovò a Roma in qualità d’ambasciatore, fu trattenuto con
l’inganno dal papa mentre Firenze fu messa a ferro e fuoco il
9-novembre-1301 da Carlo di Valois.
Il
27-gennaio e il 10-marzo 1302 fu condannato due volte in contumacia al
rogo ed alla confisca delle sue case.
Il
poeta fu costretto all’esilio e si rifugiò in diverse corti della
Romagna come gli Ordelaffi signori di Forlì.
Il
poeta in qualità di capitano dell’esercito degli esuli, insieme a
Scarpetta Ordelaffi, tentarono di riprendere Firenze ma persero nella
battaglia di Castel Pulciano.
Dante
fu un personaggio scomodo per il suo pensiero politico e filosofico,
l’appartenenza del poeta alla società segreta dei Fedeli d’amore,
ormai è stata accettata quasi da tutti.
Dante
fu ritenuto dalla Chiesa un eretico perché rifiutava di riconoscere le
delibere del Concilio di Vienna del 1311, con le quali Clemente quinto
aveva formalizzato l’abolizione dell’Ordine del Tempio.
Il
poeta con la teoria dei due soli, papato ed impero, entrambi necessari per
l’umanità ed autonomi l’uno dall’altro, contrastava la bolla di
Bonifacio settimo che pretendeva di sottoporre qualsiasi autorità terrena
alla preminenza della Chiesa.
Tentarono
d’implicarlo in un processo per magia nera, che indagava sul tentato
assassinio di papa Giovanni ventiduesimo.
Dante
terminò le sue peregrinazioni a Ravenna dove trovò asilo presso Guido
Novello da Polenta, signore della città. Rimase sempre in contatto con la
città di Verona dove si recò per illustrare la sua ultima opera scritta
in latino “Quaestio de aqua et terra”. Andò
a Venezia in qualità d’ ambasciatore e nel viaggio di ritorno passando
per le paludose valli di Comacchio contrasse la malaria e morì a Ravenna
il 14 settembre 1321.
Pochi
anni dopo la morte del poeta il cardinale Beltrando del Poggeto, nipote di
papa Giovanni ventiduesimo, in una pubblica cerimonia fece bruciare il
libro di Dante “De Monarchia”ed era sua intenzione fare disseppellire
la salma del poeta per farla bruciare insieme al libro.
Questa
barbara dissacrazione fu evitata per l’intervento del signore di Ravenna
Ostasio da Polenta, successore di Guido Novello, così Dante si salvò dal
rogo sia in vita, sia dopo la morte, cosa che non avvenne per Cecco
d’Ascoli e tanti altri martiri vittime dell’integralismo della Chiesa.
I
funerali furono solenni, ufficiati nella chiesa di S. Francesco a Ravenna
e nello stesso convento furono composte le sue spoglie.
La
sua salma fu spostata più volte per evitare che venisse trafugata dai
guelfi neri, ora riposa nel tempietto settecentesco vicino al convento.
Dante
condivise il pensiero dei filosofi dell’antichità, di non divulgare
l’insegnamento esoterico a tutti, nel senso che certi concetti altamente
spirituali non possono essere dati in pasto a chi non può comprenderli.
Già
Omero diceva: (Il maestro non deve buttare le proprie parole). Esse devono
cadere solo dentro le orecchie di persone capaci d’assumersi le proprie
responsabilità, che il Vero comporta.
Platone
nella settima lettera dice: (Ogni uomo serio deve con grande cura evitare
di dare mai in pasto le cose serie, scrivendo su di esse, all’invidia ed
all’incapacità di capire degli uomini….…ma non penso che il mettere
mano, come si dice a questi argomenti sia un bene per gli uomini, se non
per un numero limitato di persone capaci d’arrivare da se stesse
attraverso una minima indicazione).
Aristotele
ha chiarito che la filosofia antica non mira ad una saggezza rivolta alle
cose di questo mondo che sono mutevoli, ma ad una suprema saggezza, la
Sofia, contemplazione delle cose eterne e invita chi la cerca a tendere
verso l’acquisizione di una saggezza quasi divina.
Da
questo concetto nasce la considerazione che questo insegnamento non è per
tutti, perché in definitiva pochi sono interessati a questo sublime
traguardo, non facile da realizzare, che richiede tutta la propria
intelligenza, il proprio coraggio ed il risveglio dell’intuizione
superiore.
Si
narra che un seguace della scuola pitagorica Ippaso fu condannato a morte
da Pitagora per aver
divulgato la scoperta dei numeri irrazionali; che secondo il maestro
minacciavano l’armonia della matematica e non ne accettò mai
l’esistenza.
Questa
estrema riservatezza nel medioevo cambia di poco, era consentito scrivere
di queste cose ma solo tramite un codice che funzioni da filtro per i
lettori.
Questo
metodo fu applicato anche per la magia, l’alchimia e l’astrologia.
Dante
nella tredicesima lettera indirizzata a Cangrande della Scala afferma, che
nella Divina Commedia non vi è un solo senso per interpretarla.
Essa
può dirsi polisema: (1)
(O
voi che avete gl’intelletti sani,
Mirate
la dottrina che s’asconde
Sotto
il velame delli versi strani!)
Dante
in modo esplicito ci dice che sotto il velo si nasconde, per chi è capace
di svelarlo, un senso nascosto propriamente dottrinale:
(aguzza
qui, lettor, ben li occhi al vero,
che
‘l velo è ora ben tanto sottile,
certo
che ‘l trapassar dentro è leggero).
Nella
seconda strofa il poeta ci spiega, che procedendo sulla via
dell’iniziazione cadono gli ostacoli ed il candidato acquisisce
gradualmente la capacità di vedere la Verità.
Molti
commentatori delle opere del poeta hanno espresse le loro convinzioni, ma
Dante chiarisce nel Convivio, che le scritture sacre possono essere
comprese ed interpretate con quattro sensi di lettura che
non si contrastano, ma devono completarsi ed armonizzarsi fra loro.
Sarà
il caso d’ascoltarlo perché sicuramente è il più qualificato a farci
comprendere il suo pensiero.
Dante
parlando a Cangrande dice: (Abbiamo un primo senso letterale, che funziona
da velo e narra il viaggio immaginario del poeta attraverso l’Inferno,
il Purgatorio, ed il Paradiso, non va oltre le parole fittizie come fanno
i poeti nelle favole).
Un
secondo allegorico che svela il senso che si nasconde sotto il manto di
queste favole. Dante dice: (E’ una verità nascosta sotto una bella
menzogna). Il poeta porta l’esempio di Ovidio che illustra l’opera
d’Orfeo, che ammansiva le fiere con la cetra. Questa favola allude alla
capacità e saggezza D’Orfeo di convertire l’animo di coloro che si
possono redimere.
Un
terzo morale che riguarda il significato etico, studiando le sacre
scritture l’umanità può pervenire alla felicità.
In
questo terzo senso, Dante ricorda anche la necessità della riservatezza,
e porta l’esempio di Cristo che quando salì sul monte della
trasfigurazione lo fece con tre apostoli e non con dodici, perché le cose
segrete vanno fatte con poca compagnia.
Un
quarto senso analogico, scaturisce quando si cerca nelle scritture il
livello spirituale usando il metodo “metafisico ed iniziatico”, che
porta alla comprensione delle supreme cose. Il poeta porta l’esempio del
Profeta che narra l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto:
(All’uscita
d’Isdrael dall’Egitto,
della
casa di Giacobbe
di
fra un popolo barbaro,
la
Giudea diventa un santuario,
Isdraele
e il suo dominio).
Se
questi versi vengono letti in modo letterale, ci viene comunicato
l’uscita dei figli d’Israele dall’Egitto al tempo di Mose.
Se
vengono letti in modo analogico s’intende l’uscita dell’anima, la
sua conversione dalla corruzione e dal peccato, il ritorno dell’anima
alla gloria, alla purificazione, alla libertà e all’eternità. Questo
quarto senso è il più difficile a comprendesi perché è riservato a chi
è stato iniziato, esso coordina ed unifica gli altri sensi e porta alla
comprensione più alta dell’Opera divina.
Guenon
fa una digressione storica che riguarda i viaggi extraterreni nelle
differenti tradizioni.
In
quella musulmana si evidenzia l’identità del viaggio dantesco con
quello descritto da Mohyiddin Ibn Arabi che è il più grande dei maestri
spirituali dell’Islam e che a suo avviso sembra abbia ispirato Dante.
Il
sommo poeta è stato influenzato anche dalla tradizione “Una”che iniziò
in occidente con Ermete Trismegisto “E siccome tutte le cose sono e
provengono dall’Uno, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica
per adattamento” poi questa tradizione raggiunse il suo massimo
splendore con la filosofia metafisica di Platone.
La
descrizione della struttura del cosmo che si articola in tre mondi è
conforme con la tradizione, il sovramondo, il mondo terreno ed il mondo
infero.
Questi
mondi appartengono alla stessa struttura cosmica, che sembra fondare
l’universo intero sulla legge dell’equilibrio ternario.
Compare
subito con forza la narrazione della struttura cosmica, il tempo e lo
spazio, il mondo minerale, vegetale ed animale.
Nella
Commedia compaiono prepotentemente i numeri che emergono in chiave
simbolica, carichi di un messaggio iniziatico, il poeta è stato un
profondo conoscitore del simbolismo numerico.
Dante
espone dei paralleli con tradizioni come il pitagorismo, che fondò la sua
sapienza sulla proporzione dei numeri, che considerava il fondamento di
tutto.
Vi
sono stati degli studi che hanno evidenziato che Dante nella Divina
Commedia non usa mai meno di 115 e non più di 160 versi per ogni canto.
L’altra
curiosità è che Dante pur scrivendo in terzine non impiega mai un numero
divisibile per tre, il numero finale di ogni canto è pari ad un multiplo
di 3 più 1.
Nella
cultura egiziana 111 rappresenta il divino, se a 111 togliamo un uno resta
11 il male.
Nei
canti dell’inferno compaiono tre numeri 1-4-7, il numero 1 indica Dio
creatore; il numero 4 simboleggia i quattro elementi terra, acqua, aria,
fuoco, dove l’adepto viene iniziato; il numero 7 l’unione dell’uomo
con Dio, dopo la purificazione dei peccati.
Il
poeta conduce i lettori in quell’universo spirituale dove prende vita e
si dipana l’opera dantesca,
nelle
opere minori di Dante si ravvisa lo stesso contenuto analogico come in
“Vita nova” dove emergono visioni, presagi, sogni e rivelazioni.
Compare
subito Beatrice figura luminosa, che poi riappare nella Divina Commedia
trionfalmente nei canti finali del purgatorio e del paradiso, dove Dante
la descrive come donna angelica, si evidenzia in modo chiaro che non si
riferisce a una donna reale, ma come simbolo di sapienza paragonabile a
quella di Salomone. Il Dolce Stil Nuovo usato dai Fedeli d’amore va
interpretato in chiave analogica.
Il
messaggio criptato nelle opere di Dante era reso necessario oltre alle
considerazioni già esposte di non dare l’insegnamento a chi non è in
grado di capirlo, anche considerando con quale durezza la Chiesa
condannava le teorie che giudicava eretiche.
I
Fedeli d’Amore fingevano di sospirare per le loro donne, rese angeliche
come Beatrice di Dante, Laura di Petrarca e Fiammetta di Boccaccio, che
segretamente simboleggiavano i loro ideali politico-religiosi indirizzati
ad un progetto di rinnovamento della Chiesa.
Dante
sostiene che il 1300 si colloca a metà di un ciclo completo, che gli
antichi consideravano come equidistante fra i due rinnovamenti del mondo.
Continua
dicendo che situarsi al centro di un ciclo significa situarsi in un luogo
divino, i mussulmani dicono:
(La
dove si conciliano i contrasti e le antinomie).
Il
centro secondo la tradizione indù, è simboleggiato dal centro della
ruota dove il movimento della maia s’arresta e si può percepire
l’armonia delle sfere.
Il
viaggio di Dante si compie secondo l’asse spirituale del mondo, soltanto
di la si possono vedere tutte le cose che non cambiano, perché anche noi
una volta pervenuti colà, siamo non più soggetti al cambiamento ed si
ottiene una visione sintetica e totale.
I
commentatori del poeta parlano del museo di Vienna, dove vengono
conservate due medaglie, una con l’effige di Dante, l’altra con
l’immagine del pittore Pietro da Pisa, sul rovescio delle medaglie sono
incise le lettere “F.S.K.I.P.F.T.” Fidei, Sanctae, Kadosch, Imperialis,
Principatus, Frater, Templarius.
Da
questa testimonianza nasce la convinzione che Dante era uno dei vertici
della società segreta della Fede Santa equivalente ai Fedeli d’Amore,
infatti Dante nella parte finale del paradiso prende come guida S.
Bernardo di Chiaravalle, colui che ispirò la regola dei templari.
La
Divina Commedia è un testo iniziatico con il quale Dante codificò le sue
conoscenze.
Il
poeta descrive un percorso iniziatico dove l’uomo s’avventura alla
ricerca delle sue origini, è un ritorno al punto dove partono tutte le
cose, descritto con un linguaggio pregno di simboli ed allegorie che
velano i segreti iniziatici.
Virgilio
guida l’adepto su quella strada in salita che lo conduce alla
trasmutazione della propria coscienza.
Dante
compie il viaggio durante l’equinozio di primavera, quando gli adepti
delle società degli antichi Misteri praticavano il rito della morte e
della rinascita, decantando la parte pesante della materia e conducendo
l’adepto verso la ripresa di coscienza della sua componente divina.
Chi
intraprende questo percorso si trova gravato dalla materia e dalle
passioni, il poeta rappresenta questa condizione con tre bestie che
sbarrano la strada, e simboleggiano la natura pesante dell’uomo che deve
compiere una trasmutazione totale, che si realizza subendo il rito della
morte iniziatica.
Enea
nel sesto canto dell’Eneide scende agli inferi e Maometto, solo ottanta
anni prima del poeta, percorre il viaggio all’inferno prima di salire
verso le sfere celesti.
Ricordiamoci
che anche Cristo dopo la morte scende all’inferno per poi salire alla
destra del Padre, così Dante secondo la tradizione, deve scendere verso
il basso, all’ inferno ed affrontare le energie negative che si
oppongono alla risalita.
Chi
è sulla via dell’iniziazione si deve rende consapevole della sua parte
oscura, deve compiere l’opera di decantazione, di purificazione della
propria anima che prelude all’avverto della Luce iniziatica che
dissolverà le tenebre nella propria coscienza.
Introduzione
= Inf.1 c. 9 v.61-63 / Purg. C 8 v.19-21.
L’inferno
Dante
all’età di trentacinque anni prende coscienza dei suoi peccati commessi
sia nella vita civile, sia in quella militare e decide di mettere ordine
nella sua coscienza rettificandola percorrendo la via iniziatica.
Il
Poeta inizia la narrazione della Divina Commedia dicendo: (1)
(Nel
mezzo del cammin di nostra vita.
Mi
ritrovai per una selva oscura,
Che
la diretta via era smarrita).
Il
poeta cerca di risolvere la selva oscura delle sue passioni da solo, ma il
suo tentativo di salire sull’erto colle fallisce, perché fu cacciato
indietro da una lontra, un leone e da una lupa.
E’
chiara l’allusione che il mondo iniziatico è regolato da precise norme.
La prima prescrive la necessità di avere una guida che ha già percorso
la strada.
Virgilio
si propone d’accompagnarlo nel difficile percorso che gli farà
ritrovare la giusta via e per incoraggiarlo gli dice che lo ha inviato
Beatrice.
Da
qui inizia il viaggio iniziatico di Dante che arriva alla porta
dell’Inferno e su di essa legge queste parole spaventose: (2)
(Per
me si va nella città dolente,
Per
me si va nell’eterno dolore,
Per
me si va tra la perduta gente.
Giustizia
mosse il mio alto fattore;
fecemi
la divina podestate,
la
somma sapienza e l’primo amore.
Dinanzi
a me non fuor cose create
Se
non etterne, e io etterno duro.
Lasciate
ogne speranza, voi ch’intrate).
La
fervida immaginazione di Dante ci presenta l’Inferno come un cono
composto da una serie di cerchi che degradano sempre più stretti verso il
basso, con la punta verso il centro della terra.
Il
Poeta narra, che quando Lucifero si ribellò a Dio, precipitò sulla terra
creando una enorme cavità a forma d’imbuto che formò L’Inferno.
La
terra che si ritrasse, emerse nell’emisfero australe e formò la
montagna del purgatorio in mezzo alle acque di questo emisfero.
Secondo
il sistema tolemaico l’altro emisfero era ritenuto completamente coperto
dalle acque, perciò Dante afferma che il Purgatorio è una montagna in
mezzo al mare australe.
I
due poeti entrano nell’anticamera dell’Inferno
dove trovano gli “ignavi”qui vi sono le anime tristi di coloro che
vissero senza infamia e senza lode e non sono sottoposti ne a pene ne a
premi.
Virgilio
dice a Dante: (3)
(non
ragioniam di loro, ma guarda e passa).
Il
poeta non se lo fa dire due volte, perché aveva una pessima opinione per
le persone che non hanno il coraggio di schierarsi mai, la coerenza con le
sue idee lo portarono a morire esule per non tradire le sue idee
politiche.
Dante
e Virgilio seguitano il cammino e arrivano sull’Acheronte, dove il
nocchiero Caronte traghetta le anime verso l’Inferno.
Si
scatena un terremoto, si vede una luce accecante ed il poeta cade
tramortito, poi rinviene al colpo di un tuono.
Entra
nel primo cerchio il Limbo, dove risiedono gli eroi e gli uomini virtuosi
dell’antichità che hanno fatto grandi cose per l’umanità, ma non
sono stati battezzati.
Finalmente
i due poeti entrano nell’inferno dove incontrano il gigante Minosse, il
giudice che assegna ad ogni anima la sua pena che dovrà scontare per
l’eternità.
Se
il poema si legge in modo analogico, sotto il velo appaiono le passioni più
pesanti della natura umana, esse sono le tendenze più oscure dell’anima
che ne impediscono la salita verso l’Empireo e trattengono
l’essere nel mondo duale.
Questa
condizione non consente di percepire l’armonia che scaturisce dalla
visione della vetta, della conoscenza metafisica “l’Uno”, di
conseguenza dovranno rimanere in eterno nel dolore e nelle tenebre.
Dante
nel poema propone l’osservazione delle passioni su personaggi storici,
dimostrando di conoscere la regola iniziatica che prescrive d’effettuare
l’osservazione e la rettifica della propria coscienza, con distacco,
come un freddo osservatore, senza giudicare.
Così
nell’inferno dantesco sfilano tutte le potenzialità negative che
gravano come zavorra, come un pesante fardello l’anima umana.
Virgilio
è la guida che accompagnò negli antichi misteri, Enea agli inferi ed al
termine del viaggio gli fu donato il ramo d’oro d’Eleusi, simbolo
dell’avvenuta purificazione e della riconquistata immortalità, ottenuta
con il rito della morte e resurrezione iniziatica.
Nel
secondo cerchio Dante trova i lussuriosi, che sono puniti con un vento
violentissimo che li travolge.
Nel
terzo cerchio vi sono i golosi che sono immersi nel fango puzzolente e
flagellati da una pioggia senza termine, inoltre c’è Cerbero, il terzo
guardiano dell’inferno che li azzanna.
Nel
quarto cerchio Dante trova gli avari ed i prodighi divisi in due gruppi
condannati a scontrarsi in eterno ed a rinfacciarsi gli errori, condannati
anche a far rotolare grossi massi di roccia.
Nel
quinto cerchio incontrano il fiume Stige dove sono puniti gli iracondi e
gli accidiosi, i primi sono immersi nella palude dello Stige, i secondi
sono costretti a rimanere sommersi senza potersi rialzare.
Virgilio
e Dante sono traghettati dal quarto guardiano che si chiama Flegias.
Passati
sull’altra sponda dello Stige, nel sesto cerchio incontrano la città di
Dite, dove vi sono le anime consapevoli dei loro peccati.
I
due poeti vogliono entrare nella città ma sono fermati dai demoni, dopo
diversi tentativi riescono ad entrare grazie all’aiuto dell’Arcangelo
Michele.
In
questa città vi sono gli epicurei e gli eretici che giacciono in tombe
infuocate e che Dante apostrofa “coloro che l’anima col corpo morta
fanno” qui vi sono molti personaggi famosi.
Virgilio
e Dante scendono nel settimo cerchio dove trovano il fiume Flegetonte nel
quale scorre sangue bollente.
Il
settimo cerchio è composto da tre gironi dove sono puniti i violenti.
Nel
primo girone sono puniti i violenti contro il prossimo, immersi nel fiume
di sangue bollente.
I
tiranni sono immersi fino agli occhi, gli omicidi fino al collo, i predoni
fino al petto.
Il
secondo girone è posto oltre il fiume, che i due poeti attraversano con
l’aiuto del centauro Nesso e quì trovano i violenti contro se stessi, i
suicidi, che sono trasformati in piante secche e tormentati dalle arpie.
In
questo secondo girone vi sono anche gli scialacquatori, morsi in eterno da
cagne.
Nel
terzo girone in una pianura resa infuocata da una pioggia di faville di
fuoco, sono puniti i violenti contro Dio e la natura, sdraiati i
bestemmiatori, seduti gli usurai, in continua corsa i sodomiti.
I
due poeti scendono in un baratro portati dal mostro Gerione che ha la
testa umana ed il corpo formato da parti di diversi animali.
Nell’ottavo
cerchio scontano la loro pena i fraudolenti.
L’ottavo
cerchio è formato da dieci bolge a forma circolare e concentriche.
Nella
prima bolgia vi sono i ruffiani ed i seduttori che corrono in cerchio
sferzati dai demoni.
Nella
seconda bolgia gli adulatori ed i lusingatori immersi nello sterco.
Nella
terza bolgia i simoniaci collocati in fosse a testa in giù con i piedi in
fiamme e poi schiacciati nel terreno quando arrivano nuovi peccatori.
Nella
quarta bolgia i maghi e gli indovini che devono camminare con la testa
storta all’indietro perché nella vita hanno preteso di vedere il
futuro.
Nella
quinta bolgia i barattieri sommersi nella pece bollente ed uncinati dai
diavoli.
Nella
sesta gli ipocriti coperti di cappe di piombo dorate all’esterno.
Nella
settima bolgia vi sono i ladri con le mani legate da serpenti che si
trasformano gradatamente in rettili.
Nell’ottava
bolgia i consiglieri fraudolenti tormentati da fiamme a forma di lingue.
Dante
più scende nell’Inferno e più si rende consapevole della difficoltà
del viaggio iniziatico che sta compiendo.
Fa
sue le parole d’Ulisse, che per convincere i compagni a compiere
l’impresa di superare lo stretto di Gibilterra pronunciò “l’orazion
piccola”: (4)
(O
frati, dissi che per cento milia
Perigli
siete qui giunti a l’occidente,
a
questa tanto piccola vigilia.
D’i
nostri sensi ch’è del rimanente
Non
vogliate negar l’esperienza,
di
retro al sol, del mondo senza gente.
Considerate
la vostra semenza:
Fatti
non foste a viver come bruti,
Ma
per seguir virtute e conoscenza).
Dante
uomo del medioevo che considerava la terra al centro dell’universo con
tutti i pianeti che gli giravano intorno, non vide l’impresa
d’Ulisse come un tentativo di scoprire l’ignoto, ma condannò
l’impresa, come una violazione delle leggi divine e collocò Ulisse
all’inferno.
Nella
nona bolgia vi sono gli scismatici ed i seminatori di discordia che
vengono colpiti a colpi di spada con ferite che si rimarginano e poi
vengono nuovamente straziati.
Nella
decima bolgia sono puniti i falsari che hanno falsificato cose, persone,
denaro o parole.
I
falsari di cose puniti dalla lebbra, quelli di persone dalla rabbia,
quelli di monete dall’idropisia, quelli di parole dalla febbre.
Sono
malattie che cambiano, deturpano, falsificano l’immagine dei peccatori,
come loro durante la loro vita vollero contraffare la verità.
Dante
riserva il nono ed ultimo cerchio o pozzo dei giganti ai traditori e
Virgilio gli dice: (5)
(Ecco
il loco ove convien che di fortezza t’armi).
Come
non paragonare queste parole con il simbolo d’Ercole dei tempi massonici
quando l’apprendista deve affrontare le proprie passioni, il superamento
delle prove ed ha necessità della forza o della volontà simboleggiata
dal semidio.
Quest’ultimo
cerchio è diviso in quattro settori dove regna il ghiaccio, nel punto più
stretto risiede Lucifero, che con il suo enorme corpo muovendo le grandi
ali tutto gela.
Il
primo settore prende il nome di Cocito, vi sono i giganti che hanno
sfidato le divinità superiori e sono condannati all’immobilità nel
pozzo, vi sono anche i traditori dei loro parenti, immersi nel ghiaccio
con la faccia rivolta in giù.
Il
secondo settore si chiama Antenora, vi sono i traditori della patria,
immersi nel ghiaccio con il viso rivolto in su.
Il
terzo settore si chiama Tolomea, vi risiedono chi ha tradito gli ospiti,
sono immersi sotto il ghiaccio con il viso verso l’alto e gli occhi
congelati.
Il
quarto settore prende il nome di Giudecca, vi sono chi ha tradito i
benefattori, sono interamente immersi nel ghiaccio.
In
questo ultimo settore vi sono anche quelli che Dante considera i massimi
traditori, Cassio, Bruto e Giuda, sono maciullati in eterno dalle tre
bocche di Lucifero.
Il
poeta nella parte più profonda dell’inferno o della sua coscienza trova
Lucifero, che con le sue ali
tutto ghiaccia, la cristallizzazione, sono le forze negative luciferine,
che rendono incapaci d’usare la mente, l’intuizione ed il proprio
arbitrio. Lucifero é il simbolo dell’io egoico, gravato dalle passioni
più pervicaci, che va affrontato, rettificato altrimenti si è sempre in
catene, si è sempre schiavi delle nostre passioni, che vanno superate con
maturità per poter vedere nuovi lidi, è la “Nigredo alchemica”.
Gli
elementi alchemici, per la comprensione, Dante li offre tutti, l’inferno
che rappresenta il crogiolo alchemico che con il suo calore cuoce gli
elementi, la nostalgia di una perduta condizione divina, che stimola
l’adepto a recuperarla percorrendo la via iniziatica e praticando una
serie di rettifiche dalle quali ne scaturisce la ripresa di coscienza
della sua natura divina.
Dante
descrive Lucifero con tre facce, una nera, una bianca ed una rossa, sono i
colori dell’alchimia, che ha il potere di tramutare anche le energie
infernali.
Il
piombo che diviene argento ed infine “Oro”, simbolo della
riconquistata immortalità, che si può riacquistare solo tramite una vera
iniziazione tradizionale.
Il
poeta descrive la sua morte iniziatica dicendo: (6)
(Com’io
divenni allor gelato e fioco,
Non
dimandar lettor, ch’io non lo scrivo.
Però
ch’ogni parlar sarebbe poco.
Io
non morii e non rimasi vivo).
Chi
ha subito l’iniziazione e l’ha compresa ed assimilata, credo che può
considerare questi versi, una magistrale pennellata che ferma nella mente
un momento magico, comunicabile solo fra iniziati.
Dante
in questo poema tratta il tema della luce come emanazione divina, di
conseguenza l’inferno viene trattato come un luogo dove manca la luce.
Le
tenebre che pervadono la cavità infernale vengono descritte dal poeta con
questi versi: (7)
(Oscura
e profonda era nebulosa,
tanto
che per ficcar lo viso a fondo,
io
non vi discernea alcuna cosa).
Virgilio
conferma dicendo: (8)
(Or
discendiam qua giù nel cieco mondo).
L’Inferno
è invaso da un buio quasi totale, che si può definire con il termine
crepuscolo, Dante dice: (9)
(Qui
era men che notte e men che giorno).
Una
volta domato Lucifero, Virgilio e Dante s’aggrappano al suo folto pelo e
passano il centro della terra.
Finalmente
sono giunti all’uscita del budello infernale ed arrivano nel Purgatorio
dove s’espande una luce naturale e Dante può dire: (10)
(Lo
Duca ed io per quel cammino ascoso
Entrammo
a riveder lo chiaro mondo,
……………
(11)
(E quindi uscimmo a riveder le stelle).
Cosa
vuol dire s’aggrappano a Lucifero, è l’opera di trasmutazione della
materia, il piombo che diviene Argento, esso non viene scartato ma
trasmutato, questa è la regola iniziatica in possesso di tutte le vere
scuole iniziatiche, le energie vengono convertite da negative in positive.
E’
la stessa natura luciferina che vinta dalle forze divine, dalla luce,
diviene strumento di redenzione per l’uomo.
Una
volta uscito dall’inferno Dante si volta e vede Lucifero capovolto,
quest’immagine simboleggia l’avvenuta purificazione alchemica delle
energie.
Inferno
= (1) c.1 v.1-3 / (2) c.3 v.1-9 / (3) c.3 v.51 / (4) c.26 v.85-142 / (5)
c.34 v. 20-21 / (6) c.34 v.22-25 / (7) c.4 v.10-12 / (8) c.4 v.13 / (9)
c.31 v.10 / (10) c.34 v.133-134 / (11) c.34 v.139.
_______
Il
Purgatorio
Dante
inizia la narrazione del Purgatorio con questi versi: (1)
(Per
correr migliori acque alza le vele
Ormai
la navicella del mio ingegno,
che
lascia dietro a se mar si crudele;
e
canterò di quel secondo regno
dove
l’umano spirito si purga
e
di salire al cielo diventa degno).
Questi
versi alludono alla fase alchemica dell’Albedo che sta per iniziare, la
decantazione, la purificazione dell’anima, il piombo che si trasforma in
argento.
L’adepto
finalmente può fare una scelta, se continuare a vivere sul braccio
orizzontale della croce seguitando a dedicarsi alle conquiste di questa
terra o intraprendere la difficile via verticale, la scalata della
montagna, che lo può portare verso la liberazione, verso il risveglio
della componente sacra ed immortale del suo essere.
I
due poeti usciti dall’Inferno si trovano nell’emisfero australe agli
antipodi di Gerusalemme; nel periodo storico di Dante questo emisfero
s’immaginava interamente ricoperto d’acqua, perciò Dante afferma che
il Purgatorio è una montagna circondata dal mare contornata da una
spiaggia dove arrivano le anime che devono salire il monte per espiare i
loro peccati.
Il
Purgatorio se visto in chiave religiosa ha la funzione di riflessione,
pentimento ed espiazione, se osservato
da un punto di vista iniziatico è il luogo dove si compie il lavoro
d’introspezione e di rettifica, è il V.I.T.R.I.O.L. che la massoneria
sembra avere ereditato dai Rosacroce.
Virgilio
e Dante arrivati nell’arenile, incontrano Catone Uticense guardiano del
Purgatorio.
Questa
montagna ha la forma di un cono molto ripido, composto da dieci ripiani
circolari.
I
primi tre ripiani costituiscono l’antipurgatorio dove le anime sono
trattenute fino a quando non è stata decisa la loro pena.
Nel
primo ripiano, devono sostare le anime che sono state scomunicate e qui
rimangono per un periodo trenta volte superiore a quello della scomunica.
Nel
secondo ripiano vengono trattenute le anime che si sono pentite prima di
morire e devono attendere per un periodo eguale a quello della loro vita.
Nel
terzo ripiano o valletta dei principi, sostano per un periodo pari alla
loro vita le anime troppo prese dalla gloria del mondo e che si pentirono
prima di morire.
I
due poeti chiedono ad un anima penitente quale è la via più agevole per
entrare nel Purgatorio e si propone per guidarli Sordello concittadino di
Virgilio.
Il
Purgatorio è composto da sette cornici che rappresentano i sette peccati
capitali ed al termine finalmente le anime possono avere accesso al
Paradiso terrestre.
All’ingresso
del Purgatorio c’è un angelo posto su tre gradini, con i tre colori
alchemici, il nero, il bianco ed il rosso, come Lucifero all’inferno.
L’angelico guardiano, con la spada incide sulla fronte di Dante sette
“P” che rappresentano i sette peccati capitali, Superbia, Invidia,
Ira, Accidia, Avarizia, Gola, Lussuria ed il poeta dice: (2)
(Sette
P ne la fronte mi descrisse
Col
punton de la spada, e ”Fa che lavi,
quando
se dentro, queste piaghe”disse.
Cenere,
o terra che secca si cavi,
d’un
color fara col suo vestimento;
e
di sotto da quel trasse due chiavi.
L’una
era d’oro e l’altra era d’argento;
pria
con la bianca e poscia con la gialla
fece
e la porta si, ch’i fu contento
“Quantunque
l’una d’este chiavi falla,
che
non si volga dritta per la toppa”
diss’elli
a noi, “non s’apre questa calla”.
Più
cara è l’una; ma l’altra vuol troppa
d’arte
e d’ingegno; avanti che disersi.
Perch’ella
è quella che l’nodo disgroppa).
L’angelo
spiega a Dante che per aprire la porta del Purgatorio, occorrono due
chiavi, una d’oro e l’altra d’argento, la prima è la più preziosa,
ma proprio quella d’argento che rappresenta “l’Albedo” determina
l’apertura della porta perché vuole troppo d’acume e d’ingegno.
Ogni
cornice è custodita da un angelo che rappresenta la qualità opposta al
peccato, sono gli angeli dell’Umiltà, della Misericordia, della
Mansuetudine, della Sollecitudine, della Giustizia, della Astinenza, della
Castità.
A
Dante al termine di ogni ripiano gli viene cancellata una P, dall’ala
dell’angelo che è a guardia di quella cornice, segno che quella
particolare espiazione o rettifica è stata compiuta.
Deve
avvenire quella trasmutazione interiore totale che gli farà convertire il
piombo in argento e poi in oro nell’interno del suo atanor o della sua
coscienza.
L’adepto
che procede in questo percorso, gradualmente alleggerisce il proprio
fardello e si prepara a ricevere la luce spirituale che risveglierà in
lui quella Natura divina che aveva dimenticato e che deve tornare a
governare il suo essere.
Alla
base del Purgatorio vi sono la anime che hanno commesso le colpe più
gravi e man mano che si sale vi sono le colpe più lievi.
Questa
è una precisa indicazione di tutte le vie iniziatiche, sulla via le
difficoltà, gli ostacoli, gradualmente vanno diminuendo, con il procede
del processo di purificazione della propria anima.
Le
sette cornici equivalgono ai sette gradi di molte società iniziatiche,
come i misteri di Mitra e Dante dovrà compiere l’opera di decantazione
della sua anima se vorrà proseguire il cammino verso il Paradiso.
Egli
è sempre guidato da Virgilio come deve essere qualsiasi adepto che riceve
l’iniziazione.
Virgilio
è l’Illuminato che conosce la via, la guida non può avere una cultura
libresca, ma deve avere già percorso realmente la strada.
Nella
prima cornice vi sono i superbi che espiano camminando e portando pesi
molto pesanti.
Nella
seconda gli invidiosi che indossano un cilicio e hanno le palpebre degli
occhi cucite con fil di ferro.
Nella
terza trova gli iracondi che sono puniti camminando nel fumo.
Nella
quarta vi sono gli accidiosi che devono correre gridando esempi di
sollecitudine e di accidia che viene punita.
Nella
quinta vi sono gli avari ed i prodighi, che per espiazione sono legati e
piangono bocconi.
In
questa ultima cornice si scatena un terremoto e si unisce ai poeti
l’anima di Stazio che dopo cinquecento anni di espiazione ora può
raggiungere il Paradiso.
Nella
sesta cornice vi sono i golosi, che Dante descrive come magrissimi che
devono soffrire fame e sete.
Nella
settima espiano i lussuriosi ed i sodomiti sono puniti camminando nelle
fiamme.
Dante
scioglie i legami che lo tengono ancorato al mondo, con dolcezza senza
reprimere quelle energie che lo appesantiscono.
Nel
Purgatorio il poeta osserva le passioni, le pene di altri esseri umani, è
un modo criptato per far comprendere a chi può capire, che questa è una
delle componenti iniziatiche fondamentali, che prescrive di osservare nel
profondo del nostro essere con distacco, come un freddo osservatore senza
giudicare e sciogliere i legami che lo tengono ancorato al mondo, con
dolcezza senza reprimere quelle energie che vanno tramutate. Come molto
tempo prima aveva insegnato Ermete Trismegisto nella sua Tavola di
Smeraldo:(Separerai la terra dal fuoco, il sottile dallo spesso,
lentamente con grande cura).
Dante
usa questi personaggi per indicare la rettifica interiore che sta
compiendo su se stesso, con Manfredi verifica gli effetti devastanti dei
rancori, delle inimicizie, con Jacopo del Cassero scopre come i ricordi
pietrificano la coscienza nel passato, con Bordello come la polemica
politica può incatenare, con Casella come può legare la stessa bellezza
del mondo, che la metafisica definisce illusoria e temporanea.
Gradualmente
il poeta si distacca dalle passioni, dai legami di sangue, dai pregiudizi,
dal sentimentalismo oscurante, che cristallizza la mente ed il cuore nei
meandri della vita passionale e materiale.
Un
altro ostacolo da superare sono le chiacchiere della personalità
dialettica che occupa in continuazione lo spazio della mente con pensieri
rivolti a cercare consenso all’esterno o di sopraffare le idee altrui. A
volte siamo invasi da pensieri pericolosi e subdoli come quelli
involontari, che senza chiedere il permesso invadono la nostra mente
all’improvviso come degli ospiti indesiderati, che interrompono
l’attenzione dai pensieri
volontari sui quali eravamo concentrati.
La
tecnica del silenzio interiore insegnata fin dall’antichità, è il solo
modo per riportare la serenità nella nostra mente e nella nostra
coscienza, ora l’ospite di riguardo, che con passi sempre più sicuri
sta compiendo il suo ritorno a casa troverà l’accoglienza che merita.
Attenzione,
nel lungo e difficile percorso iniziatico, la purificazione deve avvenire
realmente, altrimenti andiamo incontro al pericolo della contro
iniziazione, diveniamo maghi di Lucifero.
Gli
alchimisti per verificare se era avvenuta la realizzazione dell’albedo,
per controllare se il piombo si era trasformato in argento, ponevano
l’adepto di fronte alla prova del drago.
La
prima fase alchemica è la separazione, l’anima liberata dal corpo
(sale) deve affrontare una energia tremenda che cerca d’ imprigionare
l’anima.
Sono
gli antichi legami, è l’io egoico sempre in agguato, l’adepto non si
deve distrarre, altrimenti rischia di perdersi nel mondo dell’occulto
tenebroso.
Con
la prova del drago possiamo verificare se si è determinata la totale
purificazione della coscienza, se siamo al servizio del Sacro, o se siamo
ancora ghermiti dagli artigli di Lucifero.
La
liberazione è vicina, la Gnosi si va gradatamente realizzando perché non
trova più ostacoli, la parte migliore della mente e del cuore sono
pronti, ora si deve compiere l’iniziazione del Fuoco spirituale che
Dante compie al termine della settima cornice attraversando un cerchio di
fuoco, ma indugia, ha paura, e Virgilio lo incoraggia dicendo: (3)
(Credi
per certo che, se dentro l’alvo
Di
questa fiamma stessi ben mill’ anni,
Non
ti potrebbe far d’un capel calvo.
E,
se tu credi forse ch’io t’inganni,
Fatti
ver lei, e fatti far credenza.
Con
le tue mani al lembo de’ tuoi panni.
Pon
giù omai, pon giù ogni temenza.
Volgiti
in qua, e vieni oltre sicuro;
Ed
io pur fermo, e contra coscienza.
Quando
mi vide star pur fermo e duro,
Turbato
un poco, disse: Or vedi, figlio
Fra
Beatrice e te è questo muro.
…………..
(4)
Non
aspettar mio dir più, ne mio cenno.
Libero,
diritto e sano è il tuo arbitrio,
E
fallo fora non fare a suo senno;
Perch’io
te sopra te corono e mitrio).
Dante
finalmente trova il coraggio d’affrontare la prova del fuoco, ormai la
Luce divina ha iniziato ad illuminare il suo essere,
l’iniziando è divenuto cavaliere Kadosch, che riunisce corona e
mitria, potere temporale e spirituale, realizzando completamente
l’Albedo, l’anima è candida pronta per il matrimonio alchemico,
quando la Luce divina irradierà l’intero essere trasformandolo nel
colore dell’Oro.
Nel
Paradiso si perviene in una realtà dove la luce s’espande ed illumina
il cosmo, divenendo sempre più intensa e soprannaturale, Dante man mano
che sale da cielo a cielo arriverà all’Empireo, sede eterna di Dio,
dove nasce un fiume di Luce divina che poi s’irradia per tutto
l’universo.
Uscito
dal Purgatorio Dante arriva sulla riva di un fiumicello che gli sbarra la
strada. Sull’altra riva compare una donna bellissima che illustra al
poeta il luogo dove si trovano e gli toglie diversi dubbi.
Matelda
cammina su una sponda e Dante sull’altra nella stessa direzione.
All’improvviso compare una processione di beati con candide vesti ed al
termine un carro trionfale tirato da un grifone. Si sente un tuono ed il
carro e la processione s’arrestano.
Mentre
gli angeli e i beati acclamano, scende dal cielo Beatrice e si siede sul
carro, in quel momento Virgilio scompare.
Beatrice
rivolge a Dante aspri rimproveri per i suoi trascorsi, e mentre Dante
piange, Beatrice gli spiega dettagliatamente le sue colpe.
Matelda
lo purifica con le acque del Letè e lo presenta a Beatrice pregandola di
mostrarsi svelata.
Dante
cade in ammirazione di Beatrice e s’addormenta, al suo risveglio la vede
attorniata da sette donne.
Beatrice
annunzia a Dante che presto verrà colui che libererà la chiesa e
l’Italia dai malvagi, poi lo fa bagnare nelle acque dell’Eunoè che lo
ricreano, finalmente è pronto per salire verso le stelle.
Ora
Dante entra in comunione spirituale con Beatrice e descrivendola dice:
(…..Il
santo rivo ch’esce da fonte onde ognin Ver deriva).
Il
poeta è arrivato al Paradiso terrestre ed è pronto per innalzarsi con
Beatrice verso le stelle, trascende i limiti della condizione umana e
s’innalza in una sfera di fuoco.
Purgatorio
= (1) c.1 v.1-6 / (2) c.9 v.112-126 / (3) c.27 v.25-36 / (4) c.27
v.139-142.
________
Il
Paradiso
La
lettura in chiave esoterica del Paradiso è quella che richiede una
maggiore preparazione per i contenuti esoterici, alchemici e la
spiritualità che sono velati da allegorie.
Dante
nel Paradiso spiega la realizzazione della Rubedo, che rappresenta il
matrimonio alchemico del mercurio con lo zolfo, ossia dell’anima
purificata con lo spirito.
Questo
matrimonio è possibile perché nel Purgatorio è avvenuta l’Albedo, il
piombo è diventato argento, l’anima si è separata dal corpo, nel senso
che non è più schiava delle passioni.
Dante
dopo aver rivolto una preghiera ad Apollo, il Dio sole, deve iniziare il
percorso finale verso l’Empireo.
Quest’ultimo
viaggio inizia con una caratteristica basata principalmente sulla capacità
di saper vedere la luce come emanazione di Dio e dice: (1)
(Nel
ciel che più de la sua luce prende
Fu’io,
e vidi cose che ridere
Ne
sa ne può chi di la su discende);
Il
primo animale citato è l’aquila, che come è noto riesce a fissare il
sole, Beatrice supera anche l’aquila nel fissare la luce dell’astro,
anche Dante tenta di guardare il sole, ma deve
desistere perché i suoi occhi non resistono, allora fissa il suo
sguardo negli occhi di Beatrice che imperturbabile resta ferma a fissare
quella Luce divina.
Per
Dante la possibilità di vedere la gloria di Dio dipende da Beatrice, la
donna, che come dice: (2)
(Ma
ella, che vedea l’mio desire,
incominciò,
ridendo tanto lieta,
che
Dio parea nel suo volto gioire;)
Il
poeta parla delle belle immagini fatte dagli artisti o dalla natura, che
sono niente in confronto al piacere divino che gli procurò Beatrice
quando gli rivolse il suo viso ridente.
E
conclude dicendo: (3)
(Quella
che imparadisa la mia mente)
Negli
occhi di Beatrice Dante vede la Luce divina, scorge Dio che gli appare
come un punto luminoso in mezzo a nove cerchi che sono corrispondenti ai
nove cieli, ma superiori per il grado di virtù che li sostanzia.
Mentre
contemplano lo splendore dei cerchi, Beatrice illustra a Dante le
gerarchie celesti secondo le spiegazioni che Dio concesse a Dionigi
Areopagita.
Prima
categoria: (Serafini, Cherubini, Troni), seconda categoria: (Dominazioni,
Virtù, Potestà), terza categoria: (Principati, Arcangeli, Angeli),
inoltre gli spiega perché la Luce aumenta man mano che si avvicina al
centro dove risiede Dio.
Si
stabilisce un triangolo, la luce del sole, gli occhi di Beatrice e quelli
di Dante. Questa luce riflessa da Beatrice, da l’inizio all’ascesa del
poeta verso il cielo, egli inizia a varcare le possibilità umane.
Ora
accompagnato da Beatrice, colei che da beatitudine, s’innalza attraverso
una sfera di fuoco, verso i nove cieli vincendo la forza di gravità.
La
sua guida rappresenta la Verità, l’Illuminazione prodotta
dall’Intuizione superiore che si realizza con la conoscenza iniziatica.
Il
poeta quando s’accorge che sta volando, chiede spiegazione alla sua
guida e lei gli risponde: (4)
(Maraviglia
sarebbe in te, se privo
d’impedimento,
giù ti fossi assiso,
com’a
terra quiete in foco vivo).
Non
c’è pertanto da meravigliarsi se rimossi gli ostacoli che prima
l’impedivano, Dante ora non possa volare.
Infatti
sarebbe un miracolo, se puro come è diventato da ogni scoria di peccato,
fosse rimasto ancorato alla terra.
I
primi sette cieli prendono il nome dai pianeti del sistema solare, Luna,
Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno.
Gli
ultimi due sono formati dalla sfera delle stelle fisse e dal Primo mobile.
Questi nove cieli sono contenuti nell’Empireo dove le anime del Paradiso
risiedono nella candida Rosa e hanno la possibilità di contemplare Dio.
Dante
definisce l’Empireo, la sede di Dio, essa è immobile, perfetta ed
eterna, dalla quale partono i movimenti che si comunicano ai nove cieli.
I
pianeti assumono una caratteristica astrologica che li caratterizza, per
esempio nel cielo di Venere ci sono gli spiriti che hanno saputo amare.
Questo
percorso non è solo un viaggio attraverso i pianeti, ma anche attraverso
le dimensioni.
Ora
nel Paradiso i pianeti rappresentano la purificazione che si è
determinata, la Rubedo che si va gradualmente concretizzando.
In
questa fase Dante è sotto l’effetto del Fuoco divino e nel suo
transitare da pianeta a pianeta, da cielo a cielo, cerca di comunicare le
mutazioni che stanno avvenendo nella sua coscienza, è un momento
traumatico, di rottura di un livello per passare in un stato di coscienza
superiore.
E’
un momento di coinvolgimento e di trasfigurazione totale del suo essere ed
il poeta passa dal sonno, all’estasi ed alla temporanea cecità.
Prima
d’iniziare il viaggio dei cieli, Dante conoscendo bene i pericoli e le
difficoltà di questo percorso, lancia un avvertimento a chi si accinge a
seguirlo sulla via dell’iniziazione: (5)
(O
voi che siete in piccoletta barca,
Desiderosi
d’ascoltar, seguiti
Dietro
al mio legno che cantando varca,
Tornate
a riveder li vostri liti,
Non
vi mettete in pelago; che forse ,
Perdendo
me, rimarreste smarriti).
Il
primo cielo è quello della Luna, dove Dante nel suo poema pone le anime
che non hanno adempiuto completamente ai loro voti, non per scelta ma
perché costretti.
Dante
ci comunica che il cielo della luna, con la sua luce bianca simboleggia la
fase alchemica dell’albedo pienamente realizzata.
Le
intelligenze angeliche che presiedono questo cielo sono gli Angeli di
terza categoria.
Nel
secondo cielo di Mercurio Dante pone le anime che sulla terra si sono
impegnate per l’amore e la gloria, come l’imperatore Giustiniano che
riordinò le leggi nel grande Corpus Iuris.
Il
poeta li descrive come spiriti che risplendono, cantando e danzando. Il
poeta dal rinnovato Mercurio acquisisce la conoscenza che farà scaturire
la saggezza.
Gli
Arcangeli di terza categoria presiedono questo cielo.
Nel
terzo cielo di Venere impera l’amore e vi appartengono coloro che
seppero amare e si muovono armoniosamente in senso circolare.
Venere
dona al poeta la capacità di riflettere all’esterno l’amore che ha
conquistato in se stesso.
I
Beati di terza categoria guidano questo cielo.
Nel
quarto cielo del Sole impera la sapienza. Qui risiedono i Dotti della
chiesa che espandono splendore mentre cantano e danzano in circolo. Il
sole dona al poeta la sapienza, la conoscenza delle cose divine.
Presiedono
questo cielo i Potestà di seconda categoria.
Nel
quinto cielo di Marte vi sono le anime di quelli che morirono combattendo
per la fede.
Marte
gli elargisce la volontà, senza la quale un iniziato non può sperare di
conquistare traguardi così elevati. Esse formano una croce greca ed al
suo centro c’è Cristo, che per primo morì per dare fede all’umanità.
Le
Virtù che presiedono questo cielo, sono angeli di seconda categoria.
Nel
sesto cielo di Giove impera la giustizia, è abitato dalle anime dei re,
principi e sapienti che hanno guidato con saggezza ed equità gli uomini.
Essi volano e formano delle lettere luminose che compongono la frase: (Diligite
iustitiam qui indicatis terram) Amate la giustizia voi che giudicate il
mondo, frase ispirata dal primo libro della sapienza “Sophia Salomonos”
nato sotto il patronato del saggio
re d’Israele Salomone, come i libri Qoelet e il Cantico dei cantici.
Questi
libri esprimono un elogio alla sapienza biblica con lo scopo di difendere
la cultura e la fede ebraica dalle tentazioni della cultura pagana
ellenistica.
Dante
da Giove acquisisce la capacità di riflettere la luce della Giustizia
divina ed infatti da questo pianeta rivolge l’accusa al papa Bonifacio
ottavo, di indegnità morale.
Il
poeta sottolinea l’antitesi fra il giudizio umano, fondato
sull’apparenza e quello divino, che ricerca la sostanza delle cose
reali.
Dante
condanna aspramente Bonifacio ottavo che secondo il suo giudizio ha
ottenuto il pontificato con l’inganno ed afferma:(esercita il suo
ministero in modo di suscitare l’allegrezza di Satana).
Le
Guide che amministrano questo cielo sono quelle di seconda categoria delle
dominazioni.
Nel
mondo di Saturno il poeta entra in una nuova dimensione, dove le energie
negative cristallizzate del vecchio Saturno non riescono ad entrare.
Il
settimo cielo di Saturno è dedicato alla meditazione, qui vi sono le
anime che si sono dedicate alla contemplazione del divino.
Dante
le pone su una scala celeste del colore dell’oro, impegnate a salire e a
scendere, la scala è talmente alta che non si vede dove termina.
Le
intelligenze dei Troni guidano questo cielo e sono i Beati di prima
categoria.
Finalmente
sta per nascere l’Uomo divino che salendo una scala d’oro perviene
alla Rubedo, alla conclusione dell’Opera alchemica.
Dante
percorsa la scala arriva all’ottavo cielo, quello simboleggiato dalle
stelle fisse ed ha delle visioni, la Luce del Cristo, il sorriso di
Beatrice, la Luce della Gnosi.
Il
cielo delle stelle fisse è il luogo dove vi sono le anime trionfanti,
sono come delle lucerne dalle quali s’espande la luce di Cristo. Qui
risplende anche Maria con vicino l’Arcangelo Gabriele che gli volteggia
intorno cantando.
In
questo cielo Dante viene esaminato sulle tre virtù teologali.
San.
Pietro lo esamina sulla fede, San. Giacomo Maggiore sulla speranza, San.
Giovanni sulla carità.
Questo
cielo è presieduto dai Cherubini di prima categoria.
Il
nono cielo è detto cristallino, o Primo mobile perché mosso direttamente
da “Dio”
e
trasmette il movimento ai cieli sottostanti.
Qui
risiedono la gerarchie angeliche che appaiono distribuite in nove cerchi
di fuoco che girano intorno ad un punto piccolissimo ma luminosissimo.
Sopra
al Primo mobile c’è l’Empireo, che è immobile perché perfetto ed
eterno. Questo centro dell’universo fa ruotare i cieli sottostanti con
movimento rotatorio che partendo dal Primo mobile con una rotazione molto
veloce gradualmente rallenta fino ad arrivare alla terra.
Questa
è la sede di Dio, degli angeli e della Rosa, dei Beati dell’antico e
nuovo testamento.
Questo
cielo è amministrato dalla gerarchia del Serafini di prima categoria.
Dante
vede Beatrice “bella com’egli non l’aveva mai vista”, arrivati
nella sede di Dio il poeta sente aumentare le proprie facoltà.
Vede
un fiume di luce tra due rive piene di fiori e faville di luce. La visione
cambia, il fiume diviene una scalinata circolare. I fiori si trasformano
in Beati ed occupano mille gradini, le faville si trasformano in angeli
volanti.
Mentre
Dante contempla la rosa mistica, in un lampo vede i tesori di Dio; quando
il poeta si volta per porgere una domanda a Beatrice non la vede più e
trova al suo posto S. Bernardo, colui che ha emanato la regola dei
templari.
Il
Santo spiega al poeta la distribuzione dei Beati nella rosa mistica, che
da Maria scendono formando una divisione tra i Beati del vecchio e del
nuovo Testamento.
L’Arcangelo
Gabriele vola vicino a Maria e S. Bernardo indica a Dante le più eccelse
anime della rosa.
Il
Santo chiede alla Vergine Maria di purificare Dante da ogni residuo
d’impedimento terreno e di concedergli la contemplazione della visione
di “Dio”.
Maria
fissando lo sguardo su S. Bernardo gli fa comprendere che ha accolta la
supplica.
Il
Santo invita Dante a guardare verso l’alto e poi scompare perché ormai
il poeta non necessita più di una guida, il suo animo è pronto alla
contemplazione divina.
Fissa
lo sguardo verso la Luce, ma non riesce a penetrarne l’essenza, allora
invoca l’aiuto di Dio.
Dopo
aver affermato che non ricorda quasi niente della visione ricevuta, dice
d’aver visto L’Essenza divina come una luce intensissima.
Nel
profondo di quella luce tutto ciò che è diviso e separato per
l’universo, appare congiunto nell’Unità di Dio, legato da un vincolo
d’amore e dice: (6)
(Nel
profondo vidi che s’interna,
legato
con amore in un volume,
Ciò
che per l’universo si squaterna);
Dante
afferma che è insufficiente il suo parlare, con le parole, non può
descrivere quello che ha visto in un attimo, tuttavia prosegue la
narrazione affermando che in quella luce ha visto tre cerchi, di tre
colori diversi, tre corone luminose che simboleggiano la Gloria di Dio,
che opera come il potere eterno che lavora per l’Armonia
dell’universo.
Il
secondo cerchio é il Figlio, che si riflette nel primo il Padre ed il
terzo é lo Spirito santo, che viene riflesso da entrambi come fuoco ed
escama: (7)
(Nella
profonda e chiara sussistenza
Dell’alto
lume parvermi tre giri
Di
tre colori e d’una contingenza;
E
l’un dall’altro, come Iri da Iri,
Parea
reflesso, e il terzo parea fuoco
Che
quinci e quindi egualmente si spiri).
Dante
fa un’altra escamazione: (8)
(
E’ tanto, che non basta a dicer poco.
O
luce eterna, che sola in te sidi,
sola
t’intendi, e da te intelletta.
Ed
intendente te ami e arridi.)
Il
Poeta ribadisce che Dio è Uno e Trino, risiede solo in se stesso e
comprende il Padre, il Figlio e lo Spirito santo che spira da entrambi, il
poeta focalizza l’attenzione sul secondo cerchio, quello del Figlio,
perché in essa vede una immagine che assume la forma umana.
E’
il mistero dell’incarnazione, che il poeta non potrebbe comprendere come
“la quadratura del cerchio” se non fosse stato illuminato dalla Grazia
divina.
Dante
spiega con una similitudine che si era impegnato come fa il geometra, che
con tutte le sue facoltà si concentra per trovare l’esatta misura del
cerchio, ma non la trova, così lui voleva trovare il mistero della
coesistenza in Cristo della natura divina e quella umana e dice: (9)
(Dentro
da se del suo colore stesso
Mi
parve pinta della nostra effige
Per
che il mio viso in lei tutto era messo.
Qual
è ‘l geometra che tutto s’affige
Per
misurar lo cerchio, e non ritrova,
Pensando,
quel principio ond’egli indige);
Il
poeta prosegue dicendo che le penne, ossia le ali della sua fantasia o
intuizione, non potevano farlo volare così in alto se la sua mente non
fosse stata colpita da una folgorazione divina, che illuminando il suo essere gli
consentì di comprendere il mistero dell’incarnazione di Dio ed esclama:
(10)
(Ma
non eran da ciò le proprie penne;
Se
non che la mia mente fu percossa
Da
un fulgore, in che sua voglia venne.
All’alata
fantasia qui manco possa);
L’aiuto
di Dio gli apre l’accesso al mistero più grande e può comprendere
pienamente, con il risveglio dell’intuizione superiore, il mistero
dell’incarnazione divina.
Il
poeta dopo aver compiuto un volo così alto gli vennero a mancare le
forze, ma ormai il suo desiderio di conoscenza e la sua volontà si
muovevano come una ruota che gira con movimento uniforme, armonizzata e
mossa dalla Volontà e dall’Amore di Dio che imprime il movimento al
sole e le altre stelle e dice: (11)
(Ma
già volgeva il mio disiro e il velle,
Si
come ruota che ingualmente è mossa,
L’amor
che muove il sole e l’altre stelle).
Alcuni
commentatori della Divina Commedia dicono che Dante nel trentatreesimo
canto del Paradiso ha fallito, perché non è riuscito a spiegare i
misteri della Trinità e dell’incarnazione divina.
Ritengo
che questi ricercatori, con il metro della sola cultura, hanno formulato
un giudizio che non rende giustizia
a Dante.
Il
Poeta in questo lungo viaggio iniziatico ci può solo parlare, con un
linguaggio allegorico, delle illuminazioni e delle visioni che ha
ricevuto.
Dio
si può rappresentare con l’immagine della luce, con quella del fuoco,
si possono usare i termini corona luminosa, focolare misterioso, ma rimane
quel Dio non manifesto, senza nome, purissimo Spirito che regna in eterno
nell’universo, non si può e non si deve andare oltre, altrimenti si
rischia di sminuire, di ridurre, di umanizzare il divino. Nel libro
dell’Esodo, Dio rispose a Mosé: “Io sono colui che sono”. Dio si è
rivelato con un verbo, che rifiuta le definizioni riduttive, la sua
Essenza non può essere usata dall’uomo per i suoi interessi.
Il
poeta comunque comunica, a chi può comprenderli, due messaggi
fondamentali per la comprensione dei misteri, che desidero ribadire, dice
che con la coscienza rinnovata ed illuminata dalla folgorazione divina,
gli è stato permesso di “ficcar lo viso per la luce eterna” ed in
quella visione ha compreso il mistero dell’Unità e Trinità di Dio
“Nel profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume ciò
che per l’universo si squaterna”.
Già
Ermete ha affermato: (……….. per la meraviglia di una cosa unica).
Molto
tempo prima del cristianesimo fin dagli albori delle civiltà, l’umanità
ha concepito il divino con il concetto dell’Unità e della Trinità di
Dio, rappresentato con le peculiari caratteristiche, significati e
diversità derivanti dalle differenze dottrinali, tipiche di ogni
religione.
Si
notano queste similitudini nelle divinità indoeuropee, nella religione
Egiziana con Osiride, Iside e Horus; nella Trimurti dell’ induismo con
Brama, Shiva e Vishnu, che spesso viene rappresentata come una divinità
con un solo corpo e tre teste, questa figura divina è riconducibile allo
stesso ed unico Dio, Brahman.
Dante
riferito al mistero dell’incarnazione afferma “Dentro da se del suo
colore stesso Mi parve pinta della nostra effige”. Il Poeta con questa
frase, ci dona con una magistrale pennellata, l’immagine che poteva
esprimere solo una mente geniale, per descrivere in modo velato il mistero
più grande, infatti nella Genesi viene detto: (Dio ha fatto l’uomo a
sua immagine e somiglianza).
Ricordiamoci
che il poeta era un uomo del medioevo, vincolato dalle regole della
segretezza, non poteva descrivere nella Divina Commedia il metodo
iniziatico detto: (il Real Segreto) che consente di riprendere coscienza e
risvegliare il Se o l’Aziz, nomi che secondo le diverse tradizioni si
riferiscono a quella componente sacra ed immortale donata da Dio agli
uomini.
Dante
ha superato i limiti umani in lui si è realizzata “l’Anima Mundi”
l’energia divina che s’irradia in tutto l’universo e che rappresenta
il fuoco segreto dell’alchimista, ora il poeta è arrivato alla fase
finale del percorso alchemico, la Rubedo.
Dante
con la guida di Virgilio, Beatrice, S. Bernardo ed il dono
dell’Illuminazione divina, ha tracciato la via, scesa agli inferi nel
profondo della coscienza, prendendo consapevolezza delle forze luciferine,
del piombo che alberga in noi, la Nigredo.
Risalita
sulla montagna del purgatorio, la purificazione, la rettifica, la
decantazione alchemica, l’Albedo, che tramuta il piombo in argento.
La
salita al Paradiso terrestre ed il volo sublime attraverso i cieli e
l’arrivo all’Empireo, sede divina, la Rubedo, ora l’argento
finalmente è divenuto Oro ed non è più suscettibile di mutazioni.
Si
deve perdere la falsa identità che abbiamo di noi stessi, non
identificarci più soltanto con l’io mortale, tornare alla
consapevolezza e se possibile al risveglio del “Se”, o della nostra
natura originaria.
Termino
questa ricerca con la convinzione che ormai, l’anima del sommo Poeta era
in completa e perfetta armonia con la volontà di Dio.
Paradiso
= (1) c.1 v.4-6 / (2) c.27 v.103-105 / (3) c.28 v.3 / (4) c.1 v.139-141 /
(5) c.2 v.1-6 / (6) c.33 v.85-87 / (7) c.33 v.115-120 / (8) c.33 v.123-126
/ (9) c.33 v.130-135 / (10) c.33 v.139-142 / (11) c.33 v.143-145.
(Autore:
Alberto
Canfarini, Roma,
02/03/12)
|