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TEMATICHE: Due passi nell'Italia nascosta Simbologia e Cultura Orientale UTILITY: SERVIZI
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La cultura indiana di Leonella Cardarelli STORIA
DELL’INDIA Si
suole dividere la storia dell’India in sette periodi: 1)
dal 3000 a.C al 1.500 a.C (periodo Harappa) nella valle dell’Indo, al
confine con il Pakistan, si sviluppano le prime comunità indiane che daranno
vita alle città di Harappa e Mohenjo-Daro, centri urbani altamente organizzati
e specializzati in misurazione. La scrittura di Harappa è tuttora sconosciuta,
non si può decifrare; 2)
dal 1.500 a.C. al 500 a.C. vi è stata la presunta invasione degli ariani. E’
stato il linguista tedesco Muller a congetturare nel diciannovesimo secolo,
tramite comparazioni delle lingue indoeuropee, l’esistenza di una civiltà
denominata civiltà ariana. In seguito vedremo, però, che questa ipotesi sembra
non avere un reale fondamento.
Secondo i libri di storia che hanno dato credito alla teoria di Muller gli
ariani venivano dal nord e sarebbero stata una civiltà di pastori, che parlava
il sanscrito per gli argomenti scientifici. Gli ariani avrebbero distrutto la
cultura di Harappa dopo averne assorbito le caratteristiche e avrebbero portato
la propria cultura in India; 3)
dal 500 a.C. al 200 a.C. nacquero e
si diffusero il buddismo e il jinismo. Quest’ultima filosofia influì molto
sulla matematica infatti quando morì la matematica vedica nacque la matematica
jiina, che era al servizio della religione (gli indiani erano molto precisi sia
nei riti che nei calcoli, sia nella costruzione di templi sacri); 4)
dal 200 a.C. al 400 d.C. gli indiani ebbero i primi contatti con i persiani e il
mondo greco e subirono invasioni straniere. Fiorirono abbondantemente la cultura
e la matematica e in quest’ultima disciplina, alla fine di questo periodo, si
iniziò ad usare lo zero (la matematica indiana si contraddistingue per l’uso
dello zero); 5)
dal 400 al 1200 la civiltà indiana fiorisce nella scienza, nella filosofia,
nella medicina e nella letteratura. Nell’anno 1000 iniziano le invasioni
musulmane; 6)
dal 1200 al 1700 nascono le prime dinastie musulmane e la comunità sikh. L’invasione
musulmana durò fino al 1700 e causò la perdita definitiva di templi,
monasteri, documenti e biblioteche; 7)
nel 1700 iniziò l’altrettanto devastante dominio britannico, chiamato Raj.
Gli inglesi avevano intenzione di cristianizzare e modernizzare la civiltà
hindu, creando una stirpe di ‘angloindiani’, cioè un popolo indiano di
pelle e sangue ma inglese di mentalità. Il Raj britannico durò fino al 1947,
anno della Dichiarazione d’indipendenza dell’India e del Pakistan. In
realtà tutte queste distinzioni (ognuno poi si crea le proprie) hanno semplice
valore didattico, servono cioè a studiare ed inquadrare l’India in griglie
concettuali che appartengono più a noi occidentali che agli Indiani nello
specifico. L’India è portatrice di una conoscenza eterna definita sanathana
dharma, una conoscenza contenuta e codificata nei libri sacri indiani che
non possono essere catalogati storicamente in quanto non hanno uno svolgimento
lineare. Nei
testi sacri indiani ritroviamo i concetti e gli insegnamenti più antichi ma
ugualmente le filosofie più attuali. C’è da porre anche in evidenza che la
trasmissione del sapere in India avveniva solo per via orale e solo in tempi
storici essa è stata trasferita in supporti scritti e storicamente la civiltà
indiana è anteriore al sopracitato 3000 a.C. in quanto i siti di Harappa e
Mohenjo-daro rappresentano la fioritura finale di una civiltà molto più
antica, iniziata con la città di Mehrgarh. CONFUTAZIONE
DELLA TEORIA DI MULLER Muller
morì all’alba del ventesimo secolo dopo aver steso un’edizione critica del
Rig-Veda (uno dei principali testi sacri indiani) e aver fondato la mitologia
comparata. Egli, per elaborare la teoria di una cultura ariana
proveniente dal nord, si è basato esclusivamente su comparazioni linguistiche:
possiamo osservare, infatti, che alcune parole sono linguisticamente simili in
tutti i luoghi europei. Facciamo l’esempio di madre, esempio che ci fu
proposto nel 1786 da Sir William Jones, studioso di sanscrito: questa parola è
molto simile sia in latino (mater), sia in sanscrito (mata), in persiano (mathir),
in francese (mère), in russo (matj), in armeno (mair), in olandese e fiammingo
(moeder). Di
fronte a queste palesi somiglianze, da cui derivò la nascita della linguistica
comparata, Muller è stato portato a congetturare la remota esistenza di una
popolazione che si era diffusa in Europa. Gli studiosi ricostruirono non solo la
lingua di questo presunta civiltà ma anche la cultura. In
“Antica India la culla della civiltà” gli studiosi G. Feuerstein, S. Kak e
D. Frawley ci forniscono ben diciotto argomentazioni che confutano la teoria di
Muller. In questa sede esporrò solo le più significative: -
i discendenti degli ariani (gli attuali indù) non hanno memoria di
un’invasione ariana. A riguardo non vi è alcuna documentazione nei loro testi
sacri; -i
reperti archeologici ritrovati ad Harappa non fanno assolutamente pensare
all’invasione; -sembra
piuttosto che gli abitanti di Harappa si siano spostati a causa di cattive
condizioni climatiche; -
nessun testo sanscrito a noi pervenuto parla di un’invasione; -
i documenti, i resti e la scrittura indiana presentano una forte continuità tra
civiltà harappana e induismo post-vedico, senza interruzioni né invasioni.
Connessioni esistono addirittura con la precedente civiltà legata alla città
di Mehrgarh.
LA
SPIRITUALITA’ DELL’INDIA E I TESTI SACRI I
testi sacri indiani sono i Veda che si suddividono in quattro raccolte,
dette Samhita, di inni e preghiere: -
Rig-Veda, che contiene inni e preghiere da recitare durante riti e sacrifici; -
Sama-Veda, che contiene melodie da cantare in specifiche occasioni; -
Yajur-Veda, che contiene formule sacrificali per cerimonie; -
Atharva-Veda, che contiene formule magiche ed incantesimi. La
parola Veda deriva dalla radice sanscrita vid che significa conoscenza.
L’importanza rivestita dai Veda, che sono scritti in sanscrito, è
ufficialmente riconosciuta ma questi testi sono stati sottovalutati a lungo.
Questa svalutazione è legata anche al fatto che il contenuto dei testi stessi
è talmente profondo che per noi occidentali è difficile comprenderlo ed è
ancor più difficile tradurlo, anche la datazione rappresenta un problema
infatti essa è tuttora approssimativa e molto incerta. Possiamo dire che i Veda
sono stati svalutati dal mondo occidentale anche perché a differenza della
Bibbia non contengono molte nozioni storiche (è possibile ricostruire
un’archeologia della Bibbia ma non un’archeologia vedica) tuttavia, in
compenso, abbondano di profonde conoscenze religiose filosofiche e culturali che
non possono passare inosservate. Non solo, ad una lettura più attenta si vanno
scoprendo conoscenze scientifiche che solo oggi, alla luce delle più recenti
scoperte, ci appaiono chiaramente. Leggendo i Veda si scopre che la
manifestazione religiosa per eccellenza degli indiani era il sacrificio
religioso. Abbiamo
poi dei poemi epici quali il Mahabharata ed il Ramayana, i Purana e i Vedanga
che spiegano i Veda e che ne sono una sorta di appendice. I
Vedanga sono divisi in sei parti (a seconda dell’argomento: fonetica,
grammatica, astronomia ecc.) e sono sotto forma di sutra, cioè un modo di
scrivere breve e poetico, con nomi lunghi e quasi senza l’uso dei verbi (tipo
aforismi). Lo scopo dei sutra era di rendere il sapere più facilmente
memorizzabile. Le parti principali dei Vedanga sono i Sulbasutra e i Kulpasutra.
Mentre
i Kulpasutra riguardano la matematica vedica,i Sulbasutra, che si dividono a
loro volta in tre capitoli, sono più specifici poiché contengono le
conoscenze volte alla misurazione e alla costruzione delle figure geometriche
degli altari per sacrifici. La precisione era assolutamente importante in quanto
un’inesattezza avrebbe invalidato il rituale. Nei Sulbasutra viene enunciato
il famoso Teorema di Pitagora, che gli Indiani conoscevano dall’800 a.C. I
Sulbasutra forniscono spiegazioni per due tipi di rituale: quello familiare (che
richiedeva altari quadrati e circolari) e quello di comunità (i cui altari
erano più complessi). Troviamo anche testi sulle leggi, sulla politica e sulla
medicina, ad esempio Il codice di Manu è uno dei più importanti trattati
riguardante le leggi. Di rilevante importanza è il Vedanta, cioè la parte
finale dei Veda, e le Upanishad che sono dei testi esoterici. Il Vedanta si
enuclea nei sei sistemi filosofici indiani (dharshan), dove la
speculazione raggiunge livelli elevatissimi. INDIA,
CULLA DELLA MATEMATICA Noi
crediamo che il nostro sistema di numerazione derivi dal mondo arabo, invero
deriva dal mondo indiano, gli arabi lo hanno diffuso e portato sino a noi. Il
mondo occidentale, con il suo eurocentrismo e grecocentrismo ha fatto molta
fatica a riconoscere il valore culturale e scientifico dell’India. A
tutt’oggi c’è chi vuole ostinarsi a cercare di dimostrare che gli indiani
abbiano acquisito il loro sapere matematico dai greci (visto che sia i greci che
gli indiani conoscevano la funzione di seno e il teorema di Pitagora), tuttavia
dobbiamo ammettere che molto probabilmente è stato il contrario, vale a dire
che molte forme culturali greche sono state prese in prestito dall’India. Gli
indiani erano in grado di denominare numeri altissimi ed utilizzavano il
sistema decimale per qualsiasi cosa: per contare, per misurare le lunghezze e i
pesi. I
numeri indiani hanno conosciuto varie fasi: 1)
numeri kharosthi (utilizzati prima del 300 a.C) erano numeri da 1 a 10 ma senza
il 9; 2)
numeri brahmi (dal 300 a.C. circa al 500 d.C) era presente il 9 e c’erano
anche dei segni per le potenze di 10; 3)
numeri gwalior (dal 500 d.C. circa) sono un’evoluzione del sistema numerico
brahmi e comprendono anche il numero 0. Lo 0 veniva chiamato ‘sunya’ e
faceva pensare agli Indiani ad uno spazio celeste infinito e vuoto. La parola
sunya vuol dire vuoto ma il concetto di vuoto per gli Indiani è diverso da come
lo intendiamo noi. Per gli Indiani il vuoto è divino, è l’incontro tra cielo
e terra, tra mondo materiale e mondo spirituale. Si tratta di un sistema
decimale posizionale ed i numeri sono molto simili ai nostri. Il sistema gwalior
lo troviamo sugli scritti e sugli oggetti e venne poi preso in prestito dagli
arabi, che lo affinarono e lo portarono in Europa dove si sono successivamente
sviluppati i numeri come li conosciamo noi. Gli
indiani sono stati molto abili anche nella fabbricazione dei mattoni (ai fini
della costruzione degli altari) cotti in fornaci e costruiti con una tecnologia
molto avanzata già dall’antichissima epoca harappana. Questi mattoni avevano
un rapporto perfetto tra altezza (4), larghezza (2) e spessore (1). I nostri
mattoni hanno ereditato lo stesso rapporto. C’è da dire che nel modo in cui
gli altari venivano assemblati, gli indiani celavano conoscenze scientifiche e
spirituali. LA
SOCIETA’ INDIANA La
società indiana è conosciuta per la divisione in caste. Negli antichi
testi dei Veda (e dunque nel progetto originario della società indiana), la
divisione in caste era intesa come un mezzo che consentiva all’uomo di
esplicare al meglio le proprie qualità e tendenze. Si nasceva in una casta, poi
si veniva valutati ed inseriti in un’altra casta, rispondente al proprio
carattere. Le
cose cambiarono a causa dei sacerdoti (brahamani, cioè gli intellettuali
santi) i quali volevano preservare la purezza della loro casta, così i criteri
di passaggio da una casta all’altra divennero molto rigidi e già all’epoca
di Buddha (500 a.C.) si doveva restare nella casta in cui si era nati. C’erano
inoltre persone che non appartenevano ad alcuna casta in quanto svolgevano
dei lavori ritenuti ignobili come ad esempio i macellai, i cacciatori, i
pescatori, i boia, i becchini ecc. Essi, che per mezzo del loro mestiere
attentavano alla vita umana ed animale, venivano considerate fuori-casta e si
dividevano in paria, chandala, mleccha e asceti. I
paria erano coloro che attentavano
alla vita umana e animale; i chandala erano una sotto-categoria dei paria
ed erano precisamente i boia e i becchini; i mleccha erano gli stranieri ma se
si integravano venivano ben accettati; gli asceti erano coloro che rinunciavano
ai beni materiali e quindi per forza maggiore non appartenevano ad alcuna casta. I
chandala vivevano in villaggi a parte e dovevano andare in giro facendo
risuonare delle nacchere per avvertire del loro avvicinarsi, dovevano
stare lontano dagli altri poiché si pensava che potessero contaminare il resto
della popolazione. Addirittura gli uomini di casta non potevano neanche
guardarli per paura di essere contaminati e se per caso accadeva si facevano dei
riti purificatori: ci si voltava in fretta, si bagnavano gli occhi con
acqua profumata per difendersi dal malocchio, ci si asteneva dal cibo e dai
liquori per tutto il giorno. L’uomo di casta poteva avere persino paura di
essere sfiorato dal vento che prima sarebbe potuto passare sul corpo di un
chandala. Gandhi
(1869-1948), oltre a desiderare un’organizzazione delle caste così com’era
in origine, voleva che anche i fuori-casta occupassero un posto degno nella
società e che non fossero considerati inferiori agli altri. CONCLUSIONE Gli
indiani seguono una doppia legislazione: una interiore (regole divine, dharma)
ed una esteriore (regole date dagli uomini per gli uomini). La spiritualità non
è vista in India come una cosa a sé stante bensì è parte integrante di
ogni fattore culturale. Da
noi occidentali l’India è vista oggi come una terra povera, in realtà la
vera ricchezza di questo paese è culturale, interiore e filosofica e si
evidenzia nell’aver difeso l’antica tradizione nonostante i disagi climatici
e le invasioni, mostrandosi così come una terra forte che sa prendere il meglio
dagli altri, senza rinnegare le proprie radici.
Altre
fonti:
Sezioni correlate in questo sito:
www.duepassinelmistero.com Avvertenze/Disclaimer
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