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La reliquia del Santo Chiodo di Milano è accennata per la prima volta durante un’orazione funebre pronunziata
il 25 febbraio 395 da Sant’Ambrogio, allora vescovo di Milano.
Il santo vescovo esplicita come grazie a Sant’Elena -madre dell’Imperatore Costantino- furono rinvenuti i Sacri Chiodi della Crocifissione di Cristo –unitamente alla Croce[1]-.
Sant’Ambrogio spiega inoltre come due di essi furono modellati in freno –fu forgiato un morso di cavallo- e in corona, per devozione e per supplicare l’aiuto divino oltre che come sacro contrassegno degli imperatori cristiani.
Sant’Ambrogio nella cattedrale milanese fa accenno per la prima volta della Reliquia del Santo Chiodo della Croce di Cristo e ne fa memoria all’imperatore Teodosio. Entrambi i Santi Chiodi vennero mandati a Costantino che li trasmise ai successori, fino ai tempi di Ambrogio.
Diversi storici dell’epoca attestano le reliquie della Santa Croce[2] e ne riferiscono -più o meno- con quasi le stesse parole impiegate da Ambrogio.
Il Vescovo milanese narra dei “Santi Chiodi”, le differenze lessicali più considerevoli riguardano: il plurale impiegato per il sostantivo “freno” da Ambrogio, Ruffino e Niceforo; i verbi “ad miscere”, ‘‘intermiscere”, “permiscere” -impiegati da altri storici- che possono far ritenere con un solo Santo Chiodo non un solo freno fu fatto, ma più d’uno, tutti ugualmente valorizzati col frazionare in ciascuno una parte del prezioso ferro.
Prassi dell’epoca era la consuetudine di “moltiplicare” le reliquie con l’unione di una bassa parte autentica, forgiare un manufatto pressoché simile –a mo’ di facsimile- la vera reliquia. In taluni c oppure anche semplicemente con il contatto, è assai antica nella Chiesa.
Secondo San Gregorio di Tours i Santi Chiodi furono in origine quattro, dei quali uno fu fissato al diadema imperiale, due vennero annessi al freno di Costantino, l’altro immerso nel mare per calmare una tempesta.
Delle vicende del Santo Chiodo dopo Sant’Ambrogio non ci è dato seguire, per la totale assenza di documenti. Il Morigia
raccoglie la tradizione al riguardo -su documenti e relazioni andati completamente purtroppo perdute- ed afferma che uno dei santi Chiodi è a Milano dai tempi di Ambrogio, il quale lo ebbe in dono da Teodosio e lo collocò nella cattedrale di Santa Tecla (dedicata in origine al Santissimo Salvatore). Certamente i primi elementi della tradizione -riportata dallo storico- non sarebbero supportati da documenti, la presenza “ab antiquo” del Santo Chiodo nella Basilica di Santa Tecla è invece massicciamente comprovata.
La più antica testimonianza del Santo Chiodo è risalente all’anno 1389, ed è contenuta nel Registro di previsione che raccoglie gli atti degli anni che vanno dall’anno 1389 al 1397.
In tale registro si annota di una richiesta fatta dal vicario episcopale Paolo degli Azzoni e dai XII di previsione a Giangaleazzo Visconti perchè provveda a dichiarare le festività della Madonna della Neve -festa che si celebra il 5 agosto e doverosa in quanto era dedicato un altare in Santa Tecla- e San Gallo, titolare di un altare in Santa Maria Maggiore di cui si rende onore il 16 ottobre. Inoltre si stabilisce che in tali feste le oblazioni fossero distinte da parte del comune –e destinate soprattutto in Santa Tecla, meritevole di uno speciale al riguardo in quanto cattedrale metropolitana- e perchè vi è riposto “ab antiquo” uno dei chiodi con cui fu crocifisso il Salvatore.
La presenza della preziosa reliquia è uno dei titoli che conferivano la dignità basilicale alla cattedrale di Milano, custode della Reliquia della Croce di Cristo.
Giangaleazzo Visconti con un decreto –nell’anno 1392- ci informa che una nutrita folla di fedeli si recavano sovente nella Cattedrale per venerare il Santo Chiodo. A tale riguardo –per ragioni di ordine pubblico- il duca impose il restauro della vetusta basilica. Dallo stesso documento si evince che il reliquiario in cui era custodito il Santo Chiodo aveva forma di Croce. Sopra l’altare maggiore era collocata la preziosa reliquia su una tribuna di fronte alla quale per devozione si accendevano abbondanti lumi.
Nell’anno 1444 il cardinale Enrico Scotto aveva concesso particolare indulgenza a chi contribuiva all’illuminazione della reliquia del Santo Chiodo.
Taluni storici sostengono che ai tempi di Ambrogio il Santo Chiodo non si trovasse a Milano, in virtù delle molteplici prove –autorevoli- che attestano come esistenti a Costantinopoli, nel sec. VI, alcuni Santi Chiodi.
La tradizione “milanese” possiamo dire non esser compromessa in quanto -come già detto- vi potevano essere dei facsimili di Santi Chiodi.
Per non contraddire i documenti taluni storici hanno ipotizzato che il Santo Chiodo di Milano sia arrivato solo dopo il sec. VI, prospettando più di una possibilità.
Il Sassi considera tre ipotesi: il Santo Chiodo sarebbe stato rinvenuto e messo in salvo dalla furia inconoclasta di Leone Isaurico (sec. VIII), oppure sarebbe arrivato a Milano col prezioso “bottino” sacro di cui facevano parte anche i corpi dei Magi, deposti poi nella basilica di Sant’Eustorgio, o sarebbe stato portato nella città di Milano dal vescovo Arnolfo II legato dell’imperatore Ottone III recatosi a Costantinopoli dal quale avrebbe ricevuto in dono una parte della croce di Cristo.
Da sottolineare che per lo storico A. Fumagalli invece predilige l’ipotesi che lega l’arrivo del Santo Chiodo non sarebbe riferibile ad Ambrogio –ed alla sua nota inclinazione a raccogliere Sacre Reliquie-, bensì ai tempi delle Crociate.
Tutte queste tesi enunciate restano solamente ipotesi e non possono assolutamente sminuire quanto -in merito al Santo Chiodo- viene invece affermato dalla tradizione “milanese”.
Sino all’edificazione del Duomo la reliquia del Santo Chiodo restò nella basilica di Santa Tecla, quando si rese necessaria la demolizione della vecchia basilica e il trasferimento in Duomo delle suppellettili, delle reliquie e di tutto quello che vi si trovava. Il trasferimento non fu indolore e diede avvio ad una lunga contesa tra il Capitolo dei Canonici di Santa Tecla e la Fabbrica del Duomo. Il 20 marzo 1461 avvenne per mano del vescovo Carlo da Forlì il solenne spostamento del Santo Chiodo dalla vecchia alla nuova Cattedrale per mezzo di una processione sontuosa che vide largo concorso di clero e di popolo.
La nuova collocazione –dove ancor oggi la reliquia è collocata- del Santo Chiodo fu collocato sulla sommità della volta absidale del Duomo per sottrarlo, secondo alcuni, alla cupidigia, diffusa nel Medioevo tra i cristiani, di possedere reliquie insigni nei propri santuari.
Questa “sete medievale di reliquie” si riteneva che il culto alla reliquia potesse assicurata l’incolumità e la prosperità non solo spirituale. Questa pratica –tipica della religiosità e della devozione popolare- è più probabile che si sia voluto dare un posto importante alla reliquia, conformemente alla tradizione ambrosiana di collocare il Crocifisso sul fastigio dell’arco trionfale della chiesa, similmente al culto orientale (ortodosso) della “iconostasi”[3].
La troppo elevata collocazione favorì l’affievolirsi della devozione verso il Santo Chiodo. Nei secoli parve quasi spegnersi la devozione verso la Sacra Reliquia finché San Carlo Borromeo -durante la peste del 1576- fece ripristinare sull’esempio di altri santi vescovi, in particolare in segno di ossequio verso il Santo patrono, iniziatore della Liturgia Ambrosiana.
L’arcivescovo Borromeo istituì pubbliche processioni con le reliquie ed altre pubbliche preghiere. Sabato 6 ottobre 1576, nella terza delle processioni da lui personalmente celebrate, portò appunto il Santo Chiodo, recandolo a San Celso e da qui ritornando in Duomo, ove espose sull’altare la preziosa reliquia, ordinando una “stazione” di quaranta ore, con predica ad ogni ora sui misteri della passione, e disponendo dei turni di adorazione con avvicendamento di fedeli in modo che la preghiera fosse ininterrotta.
San Carlo aveva fatto appositamente costruire una croce di legno per portare il Santo Chiodo in processione, che oggi si trova nella chiesa parrocchiale di Trezzo d’Adda.
San Carlo attribuì l’attenuazione dell’epidemia alla processione del Santo Chiodo -che si ebbe in seguito-. Il vescovo milanese condannò il suo popolo che malauguratamente sino ad allora -come attesta il Giussano- il Santo Chiodo aveva perduto la necessaria venerazione. Al riguardo San Carlo fissò che il 3 maggio di ciascun anno fosse festeggiato la festa dell’Invenzione (ossia il ritrovamento) della Croce e che il Santo Chiodo fosse solennemente trasportato in processione dal Duomo alla Chiesa del Santo Sepolcro di Milano.
Il vescovo presiedette la prima processione del 3 maggio del 1577 ed al termine della quale predicò al popolo iniziando l’orazione delle quaranta ore. San Carlo prescrisse inoltre che in quell’occasione che i fedeli avrebbero potuto ritrarre Santo Chiodo fosse liberamente in modo che tutti quelli che lo desideravano ne potessero tenere presso di sé l’immagine.
Inoltre l’arcivescovo fece eseguire un’accurata riproduzione della reliquia che venne –dallo stesso- messa a contatto con l’originale. Il facsimile venne donato al re Filippo II di Spagna.
Gregorio X il 18 aprile 1579 accordò l’indulgenza plenaria ai partecipanti alla processione e a tutti coloro che nei giorni successivi all’esposizione -ed entro il 3 maggio- avessero devotamente visitato il Duomo. La solennità fu sempre annualmente celebrata con il medesimo rituale per oltre due secoli.
La prassi prevedeva che alcuni giorni prima del 3 maggio di ogni anno la Cancelleria della Curia Arcivescovile diramasse a tutti i membri del clero regolare e secolare l’avviso. In questo precetto della Curia Arcivescovile veniva perciò fissato il turno che ciascun presbitero doveva assolutamente osservare per l’orazione delle Quaranta Ore, dal Borromeo sottolineata come metodologia fattiva di pratica cristiana.
Oltre alle comunicazioni curiali erano emanate annualmente dalle autorità civili dei decreti per consentire l’ordine pubblico, anche queste hanno sempre partecipato al corteo ed alla processione. L’amore dei milanesi verso l’annuale corteo obbligò –da un lato- le autorità milanesi di sentirsi in dovere a partecipare alla processione, in realtà non solo per obbligo, ma -dall’altro- il fattore di amicizia del potere civile verso il culto del Santo Chiodo quale protettore della cittadinanza.
Il rito aveva inizio nella Cattedrale metropolitana con la consegna a tre canonici maggiori[4] delle tre chiavi della nicchia ove si teneva il Santo Chiodo -il cui custode era l’arcivescovo milanese-, della quale consegna si rogava l’atto notarile. I tre canonici -col sacrista meridionale- e un ostiario prendevano posto sulla “nivola” e discendevano con questa fino alla nicchia, dalla quale tiravano fuori il Santo Chiodo. La reliquia era montata su una croce di legno dorato opera di F. Mangone su disegno del Cerano[5] -serviva per l’ostensione durante la processione-. I cerimonieri addetti alla processione, in mezzo a torcieri accesi, la mostravano subito ai fedeli.
La nivola calava al piano del presbiterio ove, durante il canto di Terza e Sesta, il Santo Chiodo era subito incensato dall’arcivescovo[6]; si iniziava successivamente la messa pontificale.
Nel frattempo si mettevano in colonna i partecipanti alla processione che si dirigeva al Santo Sepolcro di Gerusalemme in Milano. Facenti parte del corteo erano le confraternite presenti in Milano, il clero regolare, il clero secolare, i canonici, la Scuola di Sant’Ambrogio, il collegio elvetico, i mazzeconici, il capitolo maggiore del Duomo.
L’arcivescovo seguiva la solenne processione baldacchino con il Santo Chiodo, seguitato dai canonici lettori, dalle cariche di rilievo civili della città -spesso si alternavano con i nobili e i membri delle confraternite- che spesso reggevano lo stesso baldacchino.
Il Santo Chiodo al termine della processione restava in mostra per l’adorazione delle Quaranta Ore. I padri cappuccini al mattino del 5 maggio riportavano la Sacra Reliquia –mediante un’ultima processione- all’interno del Duomo il Santo Chiodo. Quest’ultimo veniva riposto sulla nivola nella sua nicchia. A questo punto le chiavi erano nuovamente date in custodia all’arcivescovo e nel contempo si provvedeva ad un atto notarile della riconsegna[7].
L’annuale processione fu ripetuta -con grande seguito- sino al 1797[8] e fu mantenuta in deroga alle restrizioni delle manifestazioni religiose pubbliche stabilite da Giuseppe II nel 1786; nei primi anni della Cisalpina intervennero le autorità repubblicane.
Il rito si iniziò a ridurre allorquando dal secondo messidoro del V anno repubblicano fu celebrato all’interno del Duomo e si riprese in forma tradizionale dopo l’incoronazione di Napoleone.
Con una disposizione delle autorità civili -a partire dal 1876- venne richiesto che all’interno della cattedrale fosse celebrato mantenendo il suo carattere “cittadino”, con l’intervento cioè del clero di tutta la città. Solo nel 1969 venne sospeso il rito del Santo Chiodo in seguito al manifestarsi dell’instabilità della situazione statica dei piloni del tiburio e ai conseguenti interventi di restauro.
Dopo aver provveduto al recupero del Santo Chiodo nel 1982 con mezzi di fortuna, se ne ricominciò l’ostensione in Duomo durante la Settimana Santa. Inoltre il culto della Santa Reliquia si scelse di venerarlo anche nella festività dell’Esaltazione della Croce.
In Duomo non si era mai spezzata la consuetudine del corteo della Santa Croce[9], la processione si svolgeva il 14 settembre -essendo nel frattempo era stata abolita la festa del 3 maggio- e senza l’intervento del clero e delle autorità di Milano.
Nel 1983-84 -anno giubilare della Redenzione[10] indetto nel da Giovanni Paolo II- il cardinale Carlo Maria Martini chiese che fossero di nuovo riuniti il Santo Chiodo[11] e la croce a suo tempo fatta costruire da San Carlo.
È così che nuovamente –croce e chiodo- furono portati nel corso di quell’anno in tutte le zone dell’arcidiocesi per portare a tutti i fedeli ambrosiani il messaggio della Passione redentrice del Signore nostro Gesù Cristo[12].
Il Cardinal Martini volle ripristinare l’esemplare devozione del Santo Chiodo imitando il gesto del suo predecessore San Carlo che portò l’alimento per il suo prolifico ed infaticabile apostolato.
Durante il Venerdì Santo del 1984 il cardinal Martini guidò la solenne processione dalla chiesa di San Carlino [13]che portò personalmente la Croce col Santo Chiodo per le vie di Milano.
La ricollocazione della Sacra Reliquia avviene in occasione del VI centenario della Fondazione della Basilica Cattedrale allorquando -terminati i lavori di restauro statico- fu ristabilita in Duomo la solenne processione del Santo Chiodo con il suggestivo rito della nivola.
Orbene il termine “nivola” -mutuato dal dialetto milanese- indica il particolare ascensore che serve per raggiungere il tabernacolo del Santo Chiodo, dalla forma caratteristica di nuvola. Interamente foderata di tela decorata da dipinti dipinta nel 1612 dal Landriani rappresentanti angeli e più volte restaurata. Il primo “modello” di nivola risale quasi certamente all’epoca di San Carlo, a quest’epoca si deve l’invenzione di una speciale carrucola in grado di trasportare, mediante funi azionate da argani posti in una cella al di sopra della volta dell’abside, la Reliquia nella posizione prescelta, in posizione elevata.
Il Santo Chiodo custodito in Duomo ha fatto parlare molto per la strana forma: nella parte sovrastante è modellato a mo’ di cerchio.
L’inusuale forma ha indotto gli storici a considerare la sua funzione, seppure conservi perfettamente la forma di chiodo, difatti non ci si spiega il perché della forma arrotolata della parte soprastante. Sembra che il Santo Chiodo termini con un anello che lo sostiene.
“Crederei pertanto —scrive il Sassi— che il Santo Chiodo altro non fosse fuorché un ornamento che pendesse dal capo dei destrieri del l’imperatore, e circondato poi fosse di quei vani legami che voi vedete [quel grosso filo di ferro che lo avviluppa tuttora] acciò venisse con maggior riverenza per gli accampamenti portato”.
Gli episodi della storia della Croce e del Santo Chiodo erano un tempo esposti nella cattedrale in occasione della solennità del 3 maggio. In Duomo esistevano ben 22 grandi tele[14] fatte realizzare nel sec. XVIII. Una parte della quadreria sono ora custodite nella Sacrestia delle Sante Messe –e perciò ancora visibili presso la Cattedrale-, altre son state trasportate nella chiesa del Camposanto ed alcune in ambienti della Veneranda Fabbrica del Duomo.
Per ulteriori approfondimenti:
A. TAMBORINI, Un’insigne reliquia della Passione nel Duomo di Milano. Milano, Ordine Equestre del Santo Sepolcro, 1933.
Rappresentazioni popolari d’immagini venerate nelle chiese della Lombardia conservate nella raccolta
delle stampe di Milano. Catalogo descrittivo, a cura di P. Arrigoni e A. Bertarelli, Milano, 1936, pp. 1-4.
F. RUGGERI, Il Santo Chiodo venerato nel Duomo di Milano. Milano, NED, 1986.
NOTE:
[1] Per approfondire lo studio dell’excursus del culto e l’origine del culto lombardo alla Croce di Cristo si rinvia alla leggenda della Vera Croce in A. Varisco, La leggenda della Vera Croce di Cristo. 2002, Monza, Técne Art Studio.
[2] Ruffino, Teodoreto, Paolino di Aquileia, Niceforo Callisto, Socrate, Sozomeno.
[3] Si noti che il culto ambrosiano, particolare rispetto quello romano, è “ponte” tra la cristianità romana e la Sacra Liturgia orientale.
[4] Dignità, diacono e suddiacono.
[5] La Croce fu fatta eseguire per ordine del cardinal Federico Borromeo nell’anno 1624.
[6] La solenne celebrazione, in assenza dell’arcivescovo, era presieduta dal vicario generale o dal digniore dei canonici.
[7] Ciò ha consentito a no di poter verificare le modalità della devozione popolare verso il Santo Chiodo.
[8] Come noto VI anno repubblicano.
[9] In mancanza del Santo Chiodo si portava una reliquia del sacro legno conservata nella sacrestia.
[10] In parte veniva a coincidere col IV centenario della morte di San Carlo.
[11] Ricordo “tangibile” della passione di Cristo.
[12] Il duplice
[13] L’antica cappella del lazzaretto, sino al Duomo.
[14] Le ventidue opere illustravano il ciclo della Vera Storia della Croce.
Autore: Prof. ALESSIO VARISCO
Storico dell’arte
Direttore Antropologia Arte Sacra
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