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I MISTERI SOMMERSI DEL CANALE DI SICILIA
di Ignazio Burgio |
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1957, 2010:
due occasioni in cui sono state individuate misteriose rovine sommerse sui
fondali del Canale di Sicilia, tra l'isola di Linosa ed il Golfo della
Sirte. Il pensiero istintivamente corre alle cittadine sommerse
individuate alcune decine di anni fa al largo delle coste israeliane e
risalenti al 6000 a. C. circa. Le ricerche geologiche d'altra parte
confermano che vaste aree tra la Tunisia e la Sicilia, oggi in fondo al
mare, erano allora all'asciutto e dunque potevano ospitare anche centri
abitati. Forse anche il misterioso Lago Tritonide, sede del Regno delle
Amazzoni, citato da molti autori antichi e sommerso dal mare, poteva
corrispondere ad un lago tunisino ora non più esistente.
Nell'estate
del 1957 il capitano Raimondo Bucher, esperto subacqueo effettuò
insieme al fratello alcune immersioni presso l'Isola di Linosa.
Secondo il suo resoconto all'agenzia “Italia” - riportato poi dal
“Corriere della Sera” del 1 settembre dello stesso anno – i due
sommozzatori si imbatterono in una vera e propria muraglia sommersa lunga
un centinaio di metri e costituita da massi regolarmente squadrati che
strapiombavano fino ad una profondità di 55-60 metri. “L’assoluta
assurdità di questa regolare muraglia mi ha un poco meravigliato” –
dichiarò poi Bucher – “e mi sono subito reso conto che quella formazione
che mi stava davanti, tanto regolarmente disposta, non poteva essere della
medesima natura vulcanica di cui è costituito il restante fondale del
luogo”.
L'ultimo giorno di immersione il comandante s'imbattè in qualcosa di
ancora più curioso: “Una forma grossolanamente umana mi si delineò
davanti: ad un’osservazione più attenta potei constatare che si trattava
di una specie di idolo di tipo faraonico, molto rozzamente modellato.
Tutte queste osservazioni (a parte la presenza di una grande quantità di
anfore, le quali però possono essere, e probabilmente sono, i resti di
qualche naufragio) mi hanno persuaso – ha continuato il capitano Bucher –
di trovarmi in presenza delle vestigia di una civiltà antichissima”.
Il capitano avrebbe anche scattato alcune fotografie subacquee – di cui
per il momento si è persa traccia - non solo di una ma di ben due statue.
Ciò che smorza l'istintivo atteggiamento di scetticismo adottato da
chiunque prudentemente si sforzi di mantenere i piedi per terra di fronte
a resoconti di questo genere è l'eccezionale personalità del protagonista.
Raimondo Bucher, classe 1912, ungherese ma di padre italiano, iniziò come
pilota aereonautico nell'aviazione italiana per poi cominciare ad
interessarsi poco prima della Seconda Guerra Mondiale anche di attività
subacquea. E' proprio in questo campo che fornì un gran numero di
importanti contributi come inventore di nuovi dispositivi per le
immersioni (un aliante subacqueo nel 1955, nuovi tipi di pinne nel 1957,
erogatori “ad offerta” di ossigeno nel 1958, ecc.) e di custodie a tenuta
stagna per macchine fotografiche e cinematografiche per le riprese in
immersione (Arriflex 35 mm, Rectaflex 35 mm, Rolleifex 6x6, Hasseblad 500
SW).
Nel 1952 esplorò il percorso sotterraneo del fiume Busento, nel 1956
scoprì la città sommersa di Baia nel Golfo di Napoli, mentre la scoperta e
l'esplorazione di relitti sommersi sembravano quasi ordinaria
amministrazione fino ad anni recenti: ancora nel 1995, alla rispettabile
età di 84 anni, Bucher fece riprese video del relitto della famosa nave
dei veleni, la Klearkos a 83 metri di profondità ! Non è un caso che sia
stato il primo a scendere a grande profondità in assenza di bombole e ad
inventare la disciplina sportiva delle immersioni in apnea: nel 1950 scese
a -30 metri nel Golfo di Napoli alla presenza di una commissione
ufficiale, nel 1952 a -39 metri per poi subito dopo arrivare a -44 come
risposta alle insinuazioni di irregolarità da parte di Jaques Ives
Cousteau. Un personaggio straordinario non solo nel campo dell'attività
subacquea, forse appartenente a tempi in cui tali personalità fuori dal
comune erano meno rare di quanto non lo siano oggi, e che si è spento a
Roma nel 2008.
E' veramente difficile dunque ritenere senza esitazione che Bucher e suo
fratello avessero preso un abbaglio nelle acque di Linosa, e men che meno
che si fossero inventati tutto per chissà quale scopo. In effetti i
fondali di Linosa contengono anche alcune curiose formazioni sommerse
dall'aspetto di muraglioni che da pochi metri di profondità precipitano a
picco per diverse decine di metri, anche se vengono considerate di origine
naturale. Non mancano neppure i resti di anfore greche e romane, frutto
dei frequenti naufragi in quei tempi antichi. Tuttavia al momento non
sembra vi siano tracce né di misteriose rovine, né tanto meno di statue o
idoli faraonici.
Tutta questa storia dopo gli anni cinquanta sembrava essere stata
dimenticata, ma proprio in questi ultimi tempi è tornata alla ribalta in
seguito ad un'altra curiosa notizia.
Alla fine di gennaio del 2010 le agenzie di stampa hanno infatti battuto
il seguente comunicato:
“Mezzi della Marina libica avrebbero scoperto, sui fondali al centro
del Mar Mediterraneo, cospicue tracce d´interesse archeologico, tra cui
anche i resti di diversi edifici di tipo urbano. Si tratta forse dei
reperti dell´antica capitale di Atlantide?
Nei giorni scorsi, l´agenzia ufficiale di stampa della Jamahiriya ha
pubblicato un comunicato dal quale, pur tra mille coperture, trapelava la
notizia che resti di costruzioni di importanza notevole sarebbero stati
individuati, nei mesi scorsi, a quasi 400 metri di profondità, sopra un
fondale piuttosto basso. Il ritrovamento è avvenuto in alto mare, in una
località che non viene esattamente rivelata, tra il Canale di Sicilia e le
acque del Mediterraneo orientale. Frammenti di sculture, diversi oggetti
metallici d´uso comune e la testa di Melqart (eroe semi-divino,
assimilabile all´Eracle greco, dal quale discendeva la regalità
nell´antico regno), sono stati portati a riva e sono ora allo studio
presso i competenti uffici archeologici di Stato della Jamahiriya.
La località del ritrovamento è nota ai pescatori con il nomignolo di Deir
ash Sheytan (la dimora di Satana) e anche, in lingua maltese, di Kadal
Diawul, a causa delle notevoli perdite che il bassofondo ha sempre
provocato alle reti ed ai bottini dei pescatori, poiché spesso le reti si
strappano, dopo essersi impigliate in misteriosi oggetti sommersi.
La notizia appare di primaria importanza, perché la localizzazione sembra
confermare alcuni studi su Atlantide, compiuti negli anni scorsi da un
noto studioso italiano”.
Lo studioso italiano in questione è Alberto Arecchi che localizza
il sito della leggendaria isola platonica appunto nel Canale di Sicilia,
mettendola in correlazione anche con le misteriose civiltà del
Nord-Africa.
A distanza di quasi un anno le autorità archeologiche libiche non hanno
ancora fornito ulteriori notizie in merito a questi ritrovamenti sommersi,
che per la verità sulla base di quell'unico comunicato destano non poche
perplessità. I frammenti di sculture, gli oggetti metallici di uso comune
e la testa di una statua raffigurante il dio fenicio Melqart (che in virtù
della sua precisa identificazione si intuisce debba presentarsi ancora in
stato di buona conservazione) potrebbero in realtà appartenere ad
un'antica nave punica affondata. Ma a destare molti dubbi sarebbero le
presunte rovine sommerse ritrovate ad una così grande profondità (400
metri addirittura) e ad una certa distanza dalla costa, si presume nel
Golfo della Sirte.
In
tempi molto antichi, fino al VII – VI millennio a. C. il livello del Mar
Mediterraneo era molto più basso rispetto ad oggi. Secondo le ricerche di
esperti come ad es. Tjeerd van Andel, geologo dell'Università di
Cambridge, superfici costiere oggi sommerse erano all'asciutto, molte
attuali isole erano unite le une alle altre, ed alcune addirittura non lo
erano ancora, poiché unite alla terraferma. Era questo il caso ad esempio
delle attuali isole Egadi (al largo di Trapani) fuse in una vasta
superficie asciutta del Canale di Sicilia a sua volta unita all'isola
siciliana. Dall'altro versante anche le isole maltesi erano inglobate in
un vasto promontorio unito alla parte meridionale sempre della Sicilia,
mentre le coste tunisine erano molto più vicine al litorale siciliano
incorporando anche le attuali Isole Pelagie: Pantelleria, Lampedusa, ed
ovviamente anche Linosa. Anche la parte occidentale del Golfo della Sirte
era in gran parte asciutto.
E' provato che in quei tempi remoti esisteva già la civiltà nelle regioni
mediorientali : le rovine ed i numerosi reperti ad esempio della città
anatolica di Catal-Uiuk, o di Gerico in Palestina risalenti anche all'VIII
millennio a. C. stanno lì a dimostrarlo. Ed esistevano anche centri urbani
costieri poi sommersi dall'innalzamento del mare. Al largo della città
israeliana di Haifa ad una trentina di metri di profondità sono state
infatti scoperte nel secolo scorso i resti di insediamenti grandi e
piuttosto sofisticati risalenti al VII millennio a. C. Atlit-Yam,
Neve-Yam, Megadim, ed altre ancora si dimostrano essere state cittadine
costiere i cui abitanti erano dediti alla pesca oltre che al commercio di
prodotti ittici, ed il cui livello di vita doveva essere tutt'altro che
povero: le rovine presentano infatti edifici in muratura, magazzini ancora
pieni di scorte, piazze lastricate, pozzi per l'acqua e luoghi di culto
megalitici.
In teoria dunque anche nelle aree oggi sommerse, ma a quei tempi ancora
all'asciutto, del Mediterraneo centrale ed occidentale, potevano esservi
insediamenti di ogni dimensione ed importanza, ancora ovviamente tutti da
scoprire. Ma è poco probabile che si trovino ad una profondità superiore a
90 – 100 metri, poiché come ci dicono le ricostruzioni geologiche tale è
stata la portata dell'innalzamento dei mari in tutto il mondo in seguito
allo scioglimento dei ghiacci alla fine dell'ultima era glaciale (e non è
certo una misura di poco conto). In particolare le due sponde opposte del
Canale di Sicilia – che doveva apparire più simile ad uno stretto, largo
non più di 50 – 100 chilometri – certamente presentavano una geografia
costiera ricca di golfi e approdi, favorevoli al sorgere di insediamenti
urbani dediti alla pesca ed agli scambi, sia con le altre cittadine, sia
con i gruppi di cacciatori/allevatori/coltivatori dell'entroterra. In
conseguenza dello scioglimento dei ghiacci e della mutata situazione
climatica, in quel remoto periodo anche le precipitazioni risultavano
molto più abbondanti dovunque anche negli attuali territori desertici del
Sahara. A sud di Tunisi si trovava un lago chiamato Ouargia dai
geologi, e veniva alimentato da un fiume che dagli altopiani del Tassili –
oggi assolutamente secchi e aridi – scorreva verso nord lungo un
territorio allora molto più umido e fertile. In mezzo alle attuali sabbie
ardenti dell'Algeria meridionale e del Mali settentrionale si stendevano
grandi laghi azzurri chiamati dai geologi Taouat, Taoudenni, Azouak, ecc.
Queste vaste zone umide, e le praterie che sostituivano l'attuale sabbia
arida, richiamavano una gran quantità di specie animali cacciate dai
numerosi gruppi umani presenti in tutto il Sahara, come testimoniato dai
graffiti e dalle pitture rupestri che ci hanno lasciato in molte parti del
grande deserto, come ad esempio proprio negli altopiani del Tassili.
Il fiume che nasceva da questi altopiani in pieno Sahara sfociava come si
è detto in un grande lago nell'attuale Tunisia, l'Ouargia appunto. Questo
poteva in realtà essere il misterioso Tritonide – lago o “palude” -
di cui parlano molti scrittori antichi, da Apollonio di Rodi nelle
“Argonautiche” a Scilace di Carianda, Erodoto e Diodoro Siculo.
Quest'ultimo riporta sorprendenti notizie ricavate a sua volta da un testo
perduto del II sec. a. C. di un certo Dioniso Scitobrachione di
Alessandria, il quale affermava che il lago in questione era il regno
delle Amazzoni della Libia (nel senso di Nord-Africa) molto più antiche e
ben distinte (Diodoro ci tiene a sottolinearlo) dalle più famose Amazzoni
incontrate dagli Argonati nel Ponto, l'attuale Turchia settentrionale. Il
regno nordafricano delle Amazzoni era “un paese ad Occidente agli
estremi confini della Terra, governato da donne che avevano uno stile di
vita dissimile dal nostro. Infatti era costume di queste donne coltivare
con impegno l'esercizio della guerra per conservarsi vergini. Poi passati
gli anni dedicati all'attività militare, si univano agli uomini per
procreare. Soltanto loro però governavano, comandavano ed esercitavano i
pubblici uffici. Gli uomini, come le donne sposate da noi, conducevano una
vita casalinga, eseguendo gli ordini delle loro spose e non curandosi né
dell'attività militare né del governo del regno. Non appena i bambini
nascevano le donne li consegnavano agli uomini affinchè li nutrissero con
latte ed altri cibi adatti all'infanzia. Alle bambine bruciavano le
mammelle affinchè non crescessero, convinte che fossero di impedimento nei
combattimenti. Per questo venivano chiamate “Amazzoni”, ovvero senza
mammelle. Vivevano su di un'isola la quale per il fatto di trovarsi ad
occidente era chiamata Esperia, ed era situata nella palude Tritonide,
vicino all'Oceano [il Mar Mediterraneo ?] che prende il nome dal fiume
Tritone che in esso affluisce. Si dice che questa palude fosse ai confini
dell'Etiopia [il Magreb ?] vicino ad un monte, presso l'Oceano, chiamato
dai Greci Atlante, che sorpassava in altezza tutti gli altri. L'isola
appena citata era ben grande, e piena di alberi da frutto di vario genere,
da cui la gente del paese si procurava cibo...” (Diodoro Siculo,
Biblioteca Storica, Libro III). Diodoro continua narrando di come le donne
guerriere riuscirono a sottomettere le località vicine tranne una città
sacra di nome Mene, vicina ad un grande vulcano attivo che forniva anche
Ossidiana ed altri minerali. Poi dopo avere sconfitto anche i Libi e i
nomadi dell'interno, fondarono anche una grande città di nome Cherroneso
sempre nella loro isola all'interno del Lago Tritonide. Sempre secondo lo
storico di Agira tuttavia, isola e città scomparvero successivamente
insieme a tutto il lago sommersi dalle acque del Mediterraneo allorchè il
mare irruppe nel bacino di acqua dolce in seguito ad un forte terremoto.
Proprio sul racconto dello storico siciliano, tra l'altro, si basa la
ricostruzione del prof. Alberto Arecchi.
Diodoro Siculo si rendeva perfettamente conto che una storia come
questa poteva sembrare fantasiosa già ai lettori dei suoi tempi, ma – a
parte donne guerriere e città sommerse – i più recenti studi geologici nel
Canale di Sicilia sembrano dargli ragione, come abbiamo visto. Nonostante
vi sia chi identifichi il regno delle Amazzoni con le Isole Canarie, se è
vero che il Lago Tritonide corrispondeva con l'antico lago tunisino di
Ouargia e si trovava nella parte un tempo emersa del Golfo della Sirte,
sia terremoti che innalzamento del Mediterraneo provocarono dopo il 6000
a. C. anche il suo inabissamento, lasciando in superficie solo i picchi
più alti come le attuali Isole Pelagie, ovvero Lampedusa, Linosa e
Pantelleria, quest'ultima all'epoca un vulcano attivo che forniva
anche Ossidiana lavorata ed esportata nei millenni successivi in tutto il
Mediterraneo Occidentale.
Comunque
sia, dalla parte opposta dell'attuale Tunisia, analoghe testimonianze di
arte rupestre rinvenute nelle grotte siciliane dimostrano una similare
attività di gruppi umani preistorici dell'entroterra dediti alla caccia e
alla raccolta/coltivazione di piante commestibili. Nella Grotta
dell'Uzzo nella Riserva naturale dello Zingaro (fra Palermo e Trapani)
ed in altre vicine, oltre ad interessanti graffiti sono state rinvenute
chiare prove dell'arrivo delle nuove tecniche agricole da sud, ovvero
dalla prospicente costa africana, anziché da oriente. Sulle pareti della
Grotta del Genovese nell'Isola di Levanzo (Egadi), sono state
rinvenute oltre a tre sagome umane impegnate in una danza, anche
l'immagine pittorica di un tonno, segno che la pesca veniva praticata
nella zona, anche se probabilmente non da chi frequentava abitualmente
quelle grotte. Non è escluso infatti che lungo le antiche linee costiere
della Sicilia vi fossero numerosi insediamenti, che oggi si trovano in
fondo al mare. Quest'ultimo poi finì per invadere inesorabilmente i campi
e le eventuali città spinto dallo scioglimento dei ghiacci polari, anche
se certamente non solo per questo motivo, come possono dimostrare le
rovine sommerse di un'altra città a noi molto più vicina nel tempo.
Un paio di mesi prima dell'annuncio da parte delle autorità libiche del
ritrovamento delle rovine sommerse a grandi profondità, la Soprintendenza
del Mare della Regione Siciliana all'inizio del dicembre 2009 dava notizia
della scoperta di un'antica città romana tardo-imperiale sommersa nei
bassi fondali della Cirenaica, nel Golfo di Bomba. Un gruppo di archeologi
italiani diretti da Sebastiano Tusa, mentre erano impegnati già da
qualche anno in un progetto di ricognizione archeologica lungo le coste
libiche - ArCoLibia (Archeologia Costiera della Libia) – si trovarono
improvvisamente di fronte a resti di case, strade, tombe, sommersi ad una
profondità di appena tre metri sotto la superficie marina. L'insediamento
rimase vittima di un fenomeno geologico noto come bradisimo negativo,
caratterizzato da un lento abbassamento della superficie costiera (proprio
come ad esempio nel caso di Venezia). Ma segni di impatti violenti in
alcuni muri di mattoni che risultano addirittura spostati fanno sospettare
che la città prima di essere vinta dalle maree sempre più alte, venne
devastata anche dallo tsunami che si abbattè in tutto il Mediterraneo
centrale e orientale nel 365 d. C., recando danni anche ad esempio a
diversi porti siciliani come Eraclea Minoa nei pressi dell'attuale
Sciacca. Responsabile di quella catastrofe fu probabilmente un non meglio
identificato terremoto sottomarino, ma qualche geologo avanza anche
l'ipotesi di una violenta eruzione subacquea dell'Empedocle, il grande
vulcano sommerso scoperto appena da pochi anni nelle profondità del Canale
di Sicilia.
Innalzamento dei mari, bradisismi, terremoti, tsunami, contribuirono
certamente a rendere estremamente difficile e precaria la vita di quelle
antichissime città marittime probabilmente esistenti tra il 9000 ed 6000
a. C. nelle superfici oggi sommerse tra Sicilia e Africa. Senza contare
che non passarono certamente indenni di fronte alla tremenda prova
costituita dalla “catastrofe delle catastrofi”: l'imponente e distruttivo
megatsunami scatenato in tutto il Mediterraneo Centrale e Orientale dal
crollo nel Mar Jonio del fianco est dell'Etna, proprio intorno al
6000 a. C. Le gigantesche ondate alte anche, secondo i calcoli dei
ricercatori, più di 40 metri, si abbatterono anche lungo le coste africane
del Golfo della Sirte e di riflesso – secondo quanto stabilito dalle
simulazioni al computer – rimbalzarono verso le restanti coste siciliane e
tunisine del Canale di Sicilia. Non è troppo fantasioso immaginare che
quelle ipotetiche città subissero gravissimi lutti e danni soprattutto
alla loro attività economica e commerciale, cadendo in rovina anche prima
che l'inesorabile innalzamento del mare li ricoprisse.
In conclusione, c'è più di un motivo dunque per ritenere che il Capitano
Bucher più di cinquant'anni fa abbia realmente scoperto una di queste
antichissime città sommerse nei fondali di Linosa. E che analogamente
anche i sommozzatori libici nel gennaio del 2010 ne abbiano localizzato
un'altra nel Golfo della Sirte. Molto probabilmente tuttavia, non saranno
le uniche presenti in fondo al Canale di Sicilia.
Bibliografia:
|
Vestigia d'una antica civiltà scoperte nel mare di Linosa, in:
www.nuovaricerca.org/linosa.htm |
|
Ian
Wilson, I pilastri di Atlantide, Fabbri Editore (da p. 97 a
p. 104 viene descritto l'ambiente geografico e climatico del Nord-Africa
e del Canale di Sicilia come dovevano apparire subito dopo la fine
dell'ultima era glaciale. Nel Cap.XIV, da p. 219 si discute del problema
del Lago Tritonide in Tunisia) |
|
Luigi
Bernabò Brea, La Sicilia prima dei Greci, Il Saggiatore |
|
Francesca M. Pergolizzi, Eliana Marino, ITINERARIO DELLA SICILIA
ANTICA, La Preistoria e la Protostoria, in:
www.culturasicilia.it
|
|
Alberto
Arecchi, Atlantide, Liutprand editore |
|
Libia –
scoperta una città sommersa di epoca romana, in:
www.archeoblog.net
|
|
Aldo
Piombino
Il Canale di Sicilia e i suoi tanti vulcani
Nota. Le immagini fra il testo provengono dall'Enciclopedia in rete
Wikipedia. |
(Autore: Ignazio Burgio; l'articolo è presente in originale sul suo sito
www.cataniacultura.com )
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Sezioni correlate in questo
sito:
www.duepassinelmistero.com
Avvertenze/Disclaimer
Gennaio 2011
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