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                                                         Tour in Calabria

                                            alla ricerca di una terra insolita...

                                                                                         I parte

                                                                                 (di Marisa Uberti)

Attraversiamo dieci regioni prima di giungere in questa Terra dai paesaggi meravigliosi, circondata dall'acqua su tre lati (una penisola nella Penisola italiana!), dove il mare non dista mai- da qualunque località dell'interno- più di 50 chilometri. L'etimo 'Calabria' sembra che derivi da una base preromana, 'cala'=roccia. Colline, montagne verdeggianti, poche pianure aride, le Fiumare, che lasciano le loro caratteristiche tracce serpentiformi sul terreno, un mare cristallino che non ha paragoni, un patrimonio storico, archeologico e culturale millenario, che deve essere ancora adeguatamente studiato, valorizzato e conosciuto. L'isolamento in cui per secoli ha versato questa regione, da un lato l'ha salvaguardata, dall'altro l'ha resa ostile agli occhi dei turisti. Pare che venire in Calabria con l'aereo sia molto costoso, i treni ad alta velocità non esistono, le infrastrutture sono in via di modernizzazione, come se qui la 'macchina Italia' fosse marginale. Eppure non ci è mancato nulla! Esistono ancora, resistenti a tutto, gruppi etnici isolati, in Calabria: la comunità Occitana, per esempio, che ha il suo fulcro nel comune di Guardia Piemontese, i paesi grecanici, dove si parla un greco antico che incuriosisce i Greci stessi, che vengono qui per studiarlo poichè nella patria Grecia si è perso... Siamo venuti a fare i nostri consueti 'due passi nel mistero', alla scoperta di una terra per noi sconosciuta, che ci ha regalato splendide sorprese e occasioni di approfondimento culturale. Per ogni località visitata, per non stancare il lettore, abbiamo messo le notizie più interessanti o insolite e diverse fotografie. Buon viaggio!

ALTOMONTE (CS), uno dei Borghi più belli d'Italia

Un pugno di case assolate accoccolate tra il fiume e la montagna, qualche palma rigogliosa, strette strade in salita, donne sull’uscio di casa a sbucciare i cardi selvatici, scalinate suggestive e panorami indimenticabili. Questa è Altomonte, un incantevole borgo che si sviluppa su un'altura sopra il fiume Esaro, tant'è che il suo nome era anticamente (dal 1377 fino al 1345) Altoflumen (Altofiume). Ma ancor prima, troviamo il luogo citato nei documenti di epoca romana con un toponimo del tutto diverso, Balbia. Questo parrebbe di origine fenicia, derivante da Baal (='signore' e 'divinità'), ma ignoriamo le sue origini precise. Si sa che Plinio il Vecchio, nella sua opera monumentale 'Naturalis Historia', menziona Balbia come produttrice di un pregiato vino, chiamato Balbino. Sono stati trovati i resti di una villa romana del I sec.d.C., a testimoniare come i Romani conoscessero bene la zona la quale, nell'XI sec., è appellata Brahalla o Brakhalla. Secondo taluni, sarebbe una voce araba con il significato "benedizione di Dio". Appare evidente, dai continui rimandi alla divinità, che Altomonte dovesse costituire un punto geografico di particolare significato e importanza. A partire dal IX -X sec. l'abitato viene spostato più in alto per ragioni difensive e la tutela contro escursioni saracene. Cominciarono a sorgere i maggiori edifici civili e religiosi, tra cui la chiesa normanna di Santa Maria dei Franchi, consacrata nel 1052, un castello e la torre della Pallotta (nota come torre normanna). Per lo sviluppo del paese è determinante la figura di un cavaliere del re Roberto d'Angiò, il conte Filippo Sangineto(2), governatore della Provenza: egli ottenne (il 14 novembre 1342) dal papa Clemente VI -che allora risiedeva ad Avignone- il permesso di avviare i lavori di ampliamento della chiesa di S. M. dei Franchi, che mutò intitolazione, divenendo l'attuale S. Maria della Consolazione, considerata il massimo esempio di arte goticon-angioina in Calabria . La chiesa è l'edificio più importante del borgo; appartenne ai Domenicani dal 1443 e, sul finire del 1600, venne trasformata in stile barocco fino a che, nel 1951, sono iniziati i lavori di restauro che le hanno conferito l'originale aspetto gotico-angioino, che possiamo ancora oggi ammirare. Di particolare rilevanza sono il rosone in facciata, composto da 16 colonnine cilindriche con capitelli, che posano la base sull'occhio centrale decorato da archetti interni; la torre esagonale, la torre campanaria e il portale, nelle cui nicchiette laterali alloggiavano due statue, oggi esposte al Museo civico. All'interno, si resterà stupiti della maestosità e dal silenzio che emana dall'edificio. Diverse le pietre tombali presenti; in particolare nella navata, a sinistra, si nota un sarcofago lungo 2 m, il cui coperchio è impreziosito dalla scultura di un cavaliere dormiente, con ai piedi due cagnolini, con le mani giunte sul petto e nell'atto di pregare (posizione insolita), con tutto il suo abbigliamento ufficiale. Non v'è nessuna epigrafe per identificarlo e si ritiene che custodisse le spoglie di qualche altro giovane della famiglia Sangineto (forse Giovannetto, l'ultimo discendente maschio della casata, morto nel 1380 senza lasciare eredi) [1]. Un altro Sangineto, Ruggero, figlio del conte Filippo, è deposto nel prezioso sarcofago dietro l'altare, nell'abside. Nel sepolcro furono sepolti anche il conte Filippo stesso(morto nel 1349) e il nipote Filippo II o Filippello; l'opera è attribuita allo scultore Tino da Camaino (1285-1338), che operò in Toscana e dal 1323 anche alla corte angioina; tuttavia studi recenti la indicano opera di tale maestro Durazzesco. Bellissimo il coro, composto da 37 stalli lignei lavorati con immagini simboliche e talora mostruose (opera del XVII sec.). Da segnalare che nella cappella di S. Michele Arcangelo è custodita in una nicchia una reliquia appartenuta a S. Pio di Pietrelcina: si tratta di una pezzuola che il santo poneva nel palmo della mano per tamponare il sangue fuoriuscente dalle stigmate. E' un dono fatto a questa chiesa dalle figlie del dr. Pancaro, originario di Altomonte, che aveva in cura Padre Pio. E' meta di pellegrinaggio spirituale. Abbiamo parlato di Domenicani e bisogna ricordare come, presso il loro convento, fatto costruire nel 1444 da Covella Ruffo di Calabria (un'altra famiglia importante per la regione), sepolta anch'essa nella chiesa della Consolazione, venne mandato il filosofo Tommaso Campanella(1568-1639), a 'scontare' con preghiere una pena inflittagli nel primo processo che dovette subire per sospetta eresia. Ma, invece che cogliere l'occasione, il solerte studioso compose la sua prima opera letteraria, Philosophia sensibus demonstrata (1589), pubblicata poi a Napoli nel 1591, che era una sorta di replica a difesa di Telesio (che egli considerava suo modello e maestro), preso di mira in un libro scritto da un certo Jacopo Antonio Marta, napoletano. Nella piazza del Convento si trova una statua dedicata proprio al Campanella. Ma il convento altomontese ospitò anche altri personaggi illustri e fu un centro di cultura notevole, accogliendo per oltre quattro secoli gran parte dei novizi e degli studenti della regione. Completa la visita del complesso il Museo Civico, allestito nell'ex-convento domenicano, dove segnaliamo, tra i tanti, un manufatto particolare:il dipinto della Madonna delle Pere (Paolo di Ciacio di Mileto, allievo di Antonello da Messina), in cui la Vergine tiene in mano questi frutti e il Bambino, seduto sulle sue gambe -insolitamente brutto e già grandicello -legge un libro con fervida attenzione. Altri luoghi da visitare sono la Torre Normanna (Casa-torre dei Pallotta) e Lasciata la piazza, si raggiunge per via Paladino la Casa-torre dei Pallotta di origine normanna; piazza Balbia, che ospitava nel medioevo il Balium, ossia il luogo dove si tenevano le assemblee pubbliche. Qui si trova la chiesa di San Giacomo Apostolo, che prospetta sull'omonima via. L'edificio venne eretto probabilmente in epoca bizantina e si identifica con il primo nucleo abitato, di impronta araba. Il Municipio occupa l'antico convento di San Francesco da Paola, di cui resta l'imponente chiesa, mentre il palazzo Giacobini era sede dell'antico ospedale per i pellegrini. Nell'antico castello di Altomonte ha oggi sede un albergo.

                              

 

PAOLA(CS), i miracoli di san Francesco

Da dove derivi il toponimo e dove affondino le origini di Paola è un mistero. Sono state avanzate numerose ipotesi, ma niente di certo. Come Altomonte, anch'essa era rinomata per la produzione del buon vino. Situata vicino al mare, venne infeudata inizialmente dalla famiglia Ruffo, che abbiamo incontrato anche parlando di Altomonte. Quel che è sicuro è che la città ha iniziato, dal XV secolo, ad identificarsi con la figura di un frate, Francesco Martolilla (Paola,1416-Tours,1507), che diventerà un santo conosciuto a livello europeo con il nome di San Francesco da Paola. Visitare questo complesso monastico oggi è un'esperienza particolare. Il piazzale del parcheggio offre una bella vista sul mare, da un lato, mentre dall'altro ci sono il fiume, in basso e la montagna, in alto. Un obelisco bianco ci dà il benvenuto. Il pavimento antistante gli edifici del santuario è disseminato di figure geometriche che ricordano molto le nostre amate Triplici Cinte. Quella all'inizio, in special modo, presenta sia i segmenti mediani che quelli diagonali. Una colonna sormontata da una croce sembra indicare l'inizio degli edifici. Sulla destra, si staglia l'edificio bianco della Chiesa Nuova, mentre proseguendo dritti si accede alla Chiesa antica. In realtà, il complesso è molto più vasto. Il nostro sopralluogo è iniziato molto più a valle del santuario, scendendo la scalinata che porta al fiume. Qui, giacciono dei massi che la tradizione vorrebbe fermati dal Santo con un segno di croce, mentre stavano rotolando giù dalla montagna ad opera del Diavolo. Francesco li avrebbe immobilizzati con il comando: "Fermatevi per carità!". In particolare, c'è il cosiddetto 'macigno pendulo', poggiato in sconcertante precarietà, che oscilla senza cadere. Ritornando al Santuario, è consigliabile andare prima a visitare i luoghi più antichi, in parte interni e in parte esterni. Internamente non sono da perdere i seguenti che andiamo a descrivere. Attraverso il vestibolo della chiesa Antica, si scende una scala che conduce alla Grotta della Penitenza, luogo sotterraneo molto suggestivo, umido, angusto, situato quasi al livello del fiume, dove il Santo e pochi seguaci sostavano in preghiera e in ascesi. C'è una sorta di base di colonna (romana?)che forse fungeva da sedile, al centro della esigua parete di fronte all'accesso. Un elemento ricorrente nella storia del santuario è la presenza di pietre e di acqua: già abbiamo visto i massi, ma altri elementi litici sono da osservare, come quello posto all'ingresso della chiesa Antica. Collocato su una colonna, reca una didascalia che informa che si tratta di una "grossa pietra corrosa dalla secolare devozione dei fedeli, che testimonia uno dei tanti miracoli operati dal Santo. Essa infatti, resa leggera dal Santo, fu trasportata dal mare, per ordine dello stesso Francesco, da un uomo infermo che oltre a sperimentarne la leggerezza, camminando si rese conto della progressiva guarigione della sua gamba". Nei sotterranei, dove si trova la povera grotticella della Penitenza, che doveva essere fittamente buia e fredda, umida e isolata, Francesco a quanto pare aveva acquisito delle facoltà non comuni. Egli è infatti riconosciuto come fautore di molti miracoli: alleggerire le pietre, liberazioni dal demonio, perfino la resurrezione del nipote Nicola, figlio della sorella Brigida, deceduto in seguito ad una malattia, segni straordinari compiuti con il fuoco ed altri ancora che sono narrati nel ciclo pittorico del Chiostro seicentesco.

In uno spazio retrostante il santuario, esternamente, assolutamente da vedere è la cosiddetta "Zona dei Prodigi" o dei Miracoli". Vi si può accedere o prendendo a destra prima di entrare nella chiesa Antica (nel qual caso, si noti il volto scolpito sull'arco di accesso alla zona, che ricorda una divinità solare) oppure lateralmente, nei pressi della Chiesa Nuova. La prima costruzione che incontriamo è la Fornace, una sorta di tempietto circolare che il Santo utilizzò per far cuocere il materiale necessario alla costruzione della Chiesa e del Convento. Fin dalle prime biografie è attestato che il Santo taumaturgo vi entrò una volta per ripararla mentre ardeva a pieno ritmo, senza riportare alcuna scottatura. Un'altra volta nè richiamò a vita l'agnellino "Martinello", che gli operai avevano divorato, gettandone le ossa tra le fiamme. Proseguendo sulla sinistra, oltrepassati una serie di armoniosi archi gotici, si incontra il bossolo di una bomba, collocata in una nicchia della muratura (a destra), caduta nel letto del torrente Isca durante i bombardamenti del 1943 e rimasta miracolosamente inesplosa. Siamo nei pressi della Fonte che Francesco fece sgorgare dalla roccia con il suo bastone, attualmente nota come Sorgente della Cucchiarella, poichè molti si abbeverano utilizzando dei mestoli mantenuti in sede. In quest'acqua, dopo avervi gettato la lisca, il Santo fece ritornare in vita la trota "Antonella", furtivamente asportata e divorata. L'acqua della fonte mantiene sempre lo stesso livello. La storia ci fa sapere che i francesi la fecero prosciugare nel 1806 per accertare la verità dell'affermazione e constatarono che essa poco dopo era ritornata al livello ordinario. La fonte è protetta da una sorta di tempietto colonnato. Tutto intorno trasuda acqua dalle pareti. Oltrepassato uno stretto viottolo, si arriva al  "Ponte del Diavolo", costruito- stando alla leggenda- dal demonio per ordine dello stesso Santo: in compenso il diavolo chiese l'anima del primo viandante che lo avrebbe attraversato. San Francesco vi fece passare un cane; il diavolo irritato tirò un calcio al parapetto di sinistra (il buco si nota verso il centro del ponte), poggiando la mano sulla parete opposta e lasciandovi l'impronta. La Chiesa Antica conserva tracce dell'epoca in cui fu costruita. Il vestibolo merita attenzione:vi si trovano lapidi commemorative, la pietra miracolosa, una bella croce patente vermiglia affrescata e altri dipinti, l'accesso ai sotterranei, la cappella delle Reliquie, l'accesso al chiostro. L'interno della Chiesa è immerso in una oscurità meditativa e silenziosa (non si può fotografare). Il Santo morì a Tours nel1507; alcuni anni più tardi, nel 1562, il suo sepolcro venne profanato dagli Ugonotti e ciò che scampò al rogo è custodito nella Cappella del Santo, dove sono state riunite varie sue reliquie: 1) Il busto argenteo con una piccola reliquia sul petto(osso del costato del Santo); 2) Il mantello utilizzato nel prodigioso passaggio dello Stretto di Messina nell'aprile del 1464; 3) Cappuccio, calze, zoccoli, camicia, corona del rosario, dente molare, lasciato in ricordo alla sorella Brigida nell'atto di partire per la Francia, pentola usata per cuocere le fave senza fuoco; 4) Copia autentica dei Processi di beatificazione e canonizzazione, con le varie suppliche rivolte a questo scopo al Papa Leone X (3).Una lampada ad olio arde incessantemente fuori dalla Cappella per i pericoli scampati durante la II Guerra Mondiale. La chiesa Nuova è sicuramente discutibile nella sua architettura, che si stacca totalmente dal resto; tuttavia l'interno -molto variopinto- offre dei motivi di apprezzamento tutti da scoprire. Interessanti le due placche di bronzo, a livello del pavimento, che dipartono dall'altare e finiscono sulla parete controlaterale.

 

PIZZO CALABRO (VV)

Scendiamo lungo la costa tirrenica calabrese,che offre panorami e trasparenze marine uniche. Il lettore si sarà accorto come anche la storia di ogni luogo sia unica, cambi, fornisca occasione di nuove scoperte e conoscenze. Questa splendida cittadina offre più di un motivo per farsi visitare: un mare da sogno, la stupefacente chiesina rupestre di Piedigrotta, famosissima (richiama più turisti che i Bronzi di Riace),  il castello aragonese, dove trovò la morte Gioacchino Murat, nonchè un'elegante e ariosa piazza centrale, dove si possono trovare molti bar e gelaterie che confezionano artigianalmente il celebre 'tartufo', il dolce locale tipico che non si può evitare di assaggiare! L'incantevole Pizzo è situata sul mare, nel Golfo di Sant'Eufemia, dinnanzi all'isola di Stromboli. Le sue origini sono di matrice greca; sarebbe infatti stata fondata da Nepeto (gli abitanti si appellano nepetini o pizzitani). 

La chiesa di Piedigrotta è invisibile da terra, escavata com'è nella parete tufacea, sulla spiaggia; la si vede dal mare e per accedervi dalla strada è necessario scendere un buon numero di scalini. Le sue origini si fondono tra storia e leggenda, collocata attorno alla metà del XVII secolo quando un gruppo di marinai napoletani -di ritorno dal loro viaggio- stava per naufragare inesorabilmente a causa di una furiosa tempesta. Il capitano prese allora il quadro della Madonna con Bambino che teneva in cabina e disse ai suoi uomini che se si fossero salvati avrebbero eretto una cappella in onore della sacra effigie. Il miracolo non tardò; quando nave e carico si inabissarono, l'equipaggio intero si ritrovò sano e salvo a riva, proprio nei pressi di dove sarebbe sorta l'attuale chiesa (si salvò anche una campana datata 1632). Sono diverse le versioni conseguenti a questi fatti, che la tradizione orale ha fatto giungere fino ai giorni nostri. Quando ci si appresta ad entrare, lo sconcerto è alto: l'ambiente che si presenta alla vista è veramente singolare, mai visto prima. Si tratta di una chiesa ma alquanto unica nel suo genere; abbiamo visitato altre chiese-grotta, ma normalmente non sono come questa. Piedigrotta è costituita da una nave centrale, mentre tre aperture su ogni lato originano altre stanze-cappelle, articolate lungo tutta la grotta. Al centro, è situato l'altare sovrastato dal quadro prodigioso della Madonna con Bambino. Sulla volta, in un tondo, un affresco ormai sgualcito che descrive la scena del naufragio. Tantissime statue -aggiunte nel XX secolo dagli artisti locali Angelo ed Alfonso Barone- sono collocate in ogni punto della caverna e descrivono scene precise, tratte dai Vangeli o dalla vita quotidiana. Un luogo sacro ma anche profano, perchè troviamo il presidente americano J. F.Kennedy, accanto al papa Giovanni Paolo II (sculture moderne), e pure il presidente cubano Fidel Castro (aggiunto nel 1968 dal nipote dello scultore, Giorgio Barone) nella scena del Sacerdote che celebra Messa (gruppo scultoreo integro). Il perché dell’esistenza della statua di Castro, si legge nel sito ufficiale di Piedigrotta, sarà resa nota con la pubblicazione del libro “La vera storia della chiesetta di Piedigrotta tra misteri, miracoli e leggenda"). Ritroviamo il 'nostro' San Francesco da Paola, di cui abbiamo parlato prima, nell'atto di attraversare lo Stretto di Messina con il mantello, e una miriade di altri soggetti...C'è di che meravigliarsi.
Un comodo trenino ci accompagna al castello, situato a picco sul mare da un lato, circondato da un profondo fossato. Fu eretto nel 1492 da Ferdinando I d'Aragona e si presenta come un massiccio fortilizio difensivo. La sua rinomanza la si deve al fatto che ha immortalato per sempre un pezzo della storia italiana, non solo calabrese. All'alba di domenica, 8 ottobre 1815, infatti, il cognato di Napoleone Bonaparte, Gioacchino Murat, (nominato re di Napoli dall'imperatore francese), sbarcò con pochi uomini sulla marina di Pizzo, intendendo far sollevare il popolo contro i Borboni (regnava allora Ferdinando IV). Ma la sortita non ebbe l'effetto sperato e, forse per un tradimento, Murat e i suoi vennero catturati. Dopo pochi giorni di prigionia e un sommario processo svoltosi nella sala principale del castello, venne condannato a morte da una Commissione giudicante. La fucilazione avvenne in un'ala del maniero stesso, tutt'oggi visitabile, e il re venne sepolto nella chiesa di San Giorgio. Nel castello è allestito il Museo Provinciale Murattiano. Manichini rievocano i personaggi che animarono quei tristi giorni, nelle celle e nelle sale, appositamente ricostruite; toccante la lettera che Murat scrisse alla moglie e ai figli prima dell'esecuzione, avvenuta il 13 ottobre. Ma il castello nasconde altri segreti e misteri.
Il Genovesi nel suo volume "Calabria antica" dice che vi sarebbero dei sotterranei che collegano il castello di Pizzo con quelli di Vibona, Monteleone, Roccangitola. Ma di questi non esiste alcuna prova documentale o materiale, restando leggenda. Sicuramente il castello ebbe i suoi sotterranei, gallerie scavate direttamente nel tufo: uno parte di uno di essi unisce attualmente il palazzo dei marchesi Gagliardi con la Rotonda della Monacella (una fortezza sulla marina); dallo scrittore Tranquillo veniamo a sapere che nei tempi andati si poteva uscire da questo castello per una via nascosta, incavata entro l'intero scoglio per cui si giungeva al mare... Fino a qualche decennio fa  potevano arrivare direttamente le navi trattandosi di un punto di attracco profondo da quattro a cinque metri...(4)

 

TROPEA(VV)

"Il suo territorio si estende sui bordi marini del piccolo massiccio granitico del Poro che determina una notevole sporgenza del profilo costiero, fra i Golfi di Sant'Eufemia e di Gioia Tauro, e che digrada verso il mare con una quadruplice serie di terrazze. La cittadina sorge sul gradino più basso dell'altopiano e il suo abitato ospita una vasta rupe di arenarie mioceniche che strapiomba a nord, sud e ad ovest sopra un lembo sabbioso di spiaggia, a cui si sono congiunti due grossi frammenti insulari:lo scoglio di San Leonardo e la cosiddetta isola di S.Maria"(6).

Ci fa molto piacere parlare di questa località, di grande delizia, sia per chi cerca un mare trasparente sia per chi ama 'andar per cultura'. Il primo impatto ricevuto è stato dal cosiddetto 'affaccio', un punto panoramico mozzafiato dal quale si apprezza la bianca spiaggia, un mare irresistibile, e l'isola, con il santuario che tanta storia ha avuto. In realtà, l'isola è una penisoletta, saldata alla terra ferma da una lingua di terra. Assomiglia ad un fiabesco cono di crema condito con panna montata, ma è tutta roccia bianca quella che la compone, interrotta da gallerie. Attualmente sono in corso dei lavori di restauro del santuario seicentesco che vi sorge, e tutta l'area è inaccessibile. Avremmo tenuto particolarmente a visitarlo, invece, in quanto alla sua origine vi è una storia che si perde nella leggenda. Narra infatti una tradizione che ai tempi dell'iconoclastia, nell' VIII secolo d.C., dall'Oriente giunse una nave recante una statua mariana. Quando l'equipaggio riprese la via del mare, lasciò sulla spiaggia la statua, che indusse le autorità a trovarle un riparo. Si pensò ci collocarla all'interno di una grotta dello scoglio, ma il manufatto era più alto dell'ingresso, per cui si pensò di tagliarle i piedi. Non fosse mai detto! Al povero falegname si paralizzarono le braccia al primo colpo di sega; due autorità morirono. Ciò venne interpretato come un messaggio da parte della stuatua, che voleva essere rispettata. Venne quindi collocata in un tempietto sullo scoglio, che in seguito venne abbandonato quando, nel 1600, fu costruito il santuario che ancora oggi si staglia sulla sommità dell'isola. Una piccola edicola segnala tutt'ora la "pietra dei miracoli" (7). Nella sfortuna di trovarlo chiuso, abbiamo però avuto la fortuna di vedere almeno la statua mariana che normalmente è custodita nel Santuario, in quanto- fino a fine lavori- è stata collocata in una teca dietro l'altare della chiesa del Rosario, che abbiamo visitato. Non parrebbe un manufatto dell'VIII secolo, ma potrebbe aver sostituito l'antico simulacro in epoca successiva, non perdendo il suo valore simbolico. Il Bambino ha lunghi capelli neri, come la Madre. Ricca di storia, Tropea offre molti spunti di interesse culturale, basta aggirarsi tra le sue vie, anche quelle meno frequentate. Scavi eseguiti nel XX secolo, hanno evidenziato che l'originario tessuto urbano doveva essere di epoca tardo-romana o alto-medievale (le prime notizie documentate si hanno a partire dal 535 d.C., sebbene è certo che l'area fosse abitata già in epoca paleostorica). Ma la cosa più interessante è stato appurare che nel corso dei secoli, si è sempre insistito sul medesimo punto che c'era sotto, si è operato sullo stesso suolo e secondo la fitta trama stradale già esistente. In pratica, quando un vecchio edificio crollava o veniva abbattuto, ne veniva costruito un altro sopra, nello stile del momento. Diverse sono le chiese e i Palazzi signorili che si ha la possibilità di incontrare passeggiando per le vie della cittadina, che è molto vivace per il suo rinomato centro balneare, con negozi, locali e mercatini vari. Particolare è la cosiddetta 'maschera antimalocchio' nella chiave d'arco del portone di Casa Mottola Braccio (noi avevamo l'indicazione per Casa Mottola-Casaburi e non l'abbiamo trovata): 'si tratta di una maschera a doppia faccia, con ai lati svastiche, rose e doppie spirali; ha un terzo occhio al posto dell'orecchio, un secondo naso, una seconda bocca e ha una mano sulla fronte' (8). Merita una visita la Cattedrale (con il vicino Palazzo Vescovile e il Tesoro del Duomo), dove è conservata la veneratissima icona della Madonna di Romania (XIV sec.), dal volto bruno. L'edificio risale all'epoca normanna, quando Tropea passò dal rito greco a quello latino; le venne cambiato poi l'orientamento attorno al 1163. Trasformata nuovamente tra il 1400 e il 1500, perse il suo carattere originario. Le aggiunte barocche, la mano di calcina data alle pareti interne, nascosero per secoli l'articolazione primitiva, che cercò di riacquistare con i restauri del 1926-29. La fiancata sinistra presenta una doppia fila di false finestre alternativamente sovrapposte, motivo che gli studiosi individuano appartenere all'arte normanna siciliana. Superiormente, si nota un motivo di decorazione a conci di pietra chiari e scuri, tanto che l'abbiamo definita d'istinto 'scacchiera'...Vi sono anche dei triangoli composti da tessere bianche e nere. Internamente la cattedrale ha tre navate e tre absidi, ornate con arcate gotiche e monofore; i pilastri sono ottagonali, rifatti su modelli originali ritrovati; l'ambiente appare austero e intimo. L'attenzione corre all'icona di Madonna con Bambino sull'altare, protettrice della città, che viene chiamata Madonna di Romania. La gente la considera miracolosa perchè nè terremoti nè bombe hanno distrutto la cattedrale, e nemmeno la cittadina di Tropea, mentre i paesi vicini hanno avuto grandi danni. Importante è anche il grande Crocifisso Nero, scultura risalente al XV-XVI secolo, scolpita in legno scurissimo. Ma ora è tempo di andare a godersi un po' di sole e di bagnarsi in questo mare ancora incontaminato!

 

SCILLA(RC), dal mito all'elettrodotto

Scendiamo dalla piana di Gioia Tauro (ricoperta di ulivi) al litorale che profuma di bergamotto e gelsomino, in un continuo mutare di paesaggi. Approdiamo a Scilla (lo Scyllaeum degli antichi), situata all'imboccatura dello Stretto di Messina, con l'abitato digradante verso le insenature di Marina Grande e Chianalea, separate da un promontorio roccioso coronato dal castello e dal faro.  Ritorniamo per un momento sui banchi di scuola, quando -rapiti ed estatici- ascoltavamo la maestra spiegarci di due favolosi mostri, Scilla e Cariddi, che infestavano nell'antichità le acque dello Stretto, collocati rispettivamente sulla sponda calabrese e siciliana. Le navi avevano il terrore di transitare di qui: si vociferava di gorghi spaventosi, di vortici marini che innalzavano le navi e le precipitavano negli abissi. Così Virgilio, ne l'Eneide (III,420-23) affermava Il fianco destro di Scilla, il sinistro Cariddi implacabile tiene, e nel profondo baratro tre volte risucchia l’acqua, che a precipizio sprofondano, e ancora nell’aria con moto alternale scaglia, frusta le stelle con l’onda". Che fenomeni misteriosi accadevano, in questo tratto di mare? Per i Greci, i due mostri fantastici impersonavano la forza distruttrice del mare. Omero li cita nel canto XII dell’Odissea; anche gli Argonauti (alla ricerca del Vello d'Oro) affrontano il pericolo, e lo scampano, aiutati dalla madre di Achille (Teti), una nereide. La lettura in chiave ermetica di questo mito potrebbe indicare una delle prove (operazioni) filosofiche relative alla realizzazione della Grande Opera Alchemica. Ad ogni modo, pur esistendo versioni diverse, la mitologia ci presenta Scilla come una bellissima ninfa che, per gelosia della maga Circe, viene trasformata in un orribile mostro(5). "Scilla, sulla rupe posta in prossimità di Reggio Calabria, aveva dodici piedi e sei lunghi colli sormontati da altrettante teste; in ognuna delle sei bocche aveva tre file di denti e latrava come un cane. Cariddi, sulla costa siciliana, stava appostata invisibile sotto un alto albero di fico e tre volte al giorno inghiottiva le acque dello stretto, rivomitandole successivamente in mare".  Non doveva essere certo piacevole trovarsi a passare di qui! Riemergiamo dai ricordi e dal mito. Di fronte, vediamo la sponda siciliana. Ma Cariddi non c'è più e Scilla è così assolata e bella, tranquilla e ospitale, con questo mare trasparente e invitante, la spiaggia bianchissima... Attraversiamo Chianalea, assaporando i colori e gli odori, i particolari sulle abitazioni, avvistando già da lontano la mole del castello dei Ruffo di Calabria. Una barca sta effettuando la pesca del pescespada ma, quando ci viene spiegato come avviene, ci vengono i brividi. La salita al castello è ripida, ma dagli spalti si gode di panorami impagabili. La rupe su cui sorge, fu da tempi remoti ritenuta strategicamente importante per la difesa della costa reggina. Fin dall'antichità, pertanto, vi ha avuto sede una fortezza. Nel Medioevo non perse la sua vocazione difensiva e gli scavi hanno attestato la presenza di ruderi di un monastero basiliano(IX sec.), sorto a difesa delle incursioni saracene.  Appartenuto a diversi proprietari, venne acquistato nel XVI sec. dai Ruffo, di cui è ben visibile lo stemma sopra il portale d'ingresso. Ha subito terremoti e restauri plurimi; oggi appartiene allo Stato. Nella prima porzione dell'edificio, incontriamo diversi graffiti sulle pareti, tra cui anche cinque quadrati concentrici, che però si interrompono con delle insolite 'freccine', lasciando supporre che non dovevano continuare sul successivo blocco. Non è quindi assimilabile ad una TC...Altri graffiti sono impressi su altri blocchi: simboli religiosi (IHS, croci, etc.), e profani, inoltre sono presenti anche frasi intere, in italiano e in altre lingue. Il castello ospita il faro, presidiato dalla Marina Militare; così, sfatando il mito, oggi Scilla aiuta e guida i naviganti. E' ovvio pensare, però, che anticamente già vi fosse collocato un faro.

Il maniero ospita anche un piccolo museo (in realtà il Centro regionale per il recupero dei centri storici calabresi) ed è dotato di una sala-convegni, arredata con armature e suppellettili in stile medievale. Ci sono anche i sotterranei, ma interdetti al pubblico (potevamo scommetterci). Scilla ha diverse chiese; meritevole quella della SS.Immacolata, situata ai piedi del castello, di antichissima fondazione (pare esistesse già in epoca paleocristiana con il titolo Madonna di Odegitria). I padri basiliani, che abitavano nel monastero sulla rupe, la abbellirrono. Nel corso dei secoli è stata distrutta e ricostruita; nel XVII secolo viene descritta come una delle più belle della Calabria per ricchezza dei marmi e delle suppellettili, grazie al finanziamento di Giovanna Ruffo. Nel 1908 venne danneggiata con il disastroso terremoto,e ricostruita in molti anni. Oggi presenta una facciata grezza. La posizione di questa chiesa è molto importante per i scillesi: situata infatti nel punto di confluenza dei tre quartieri(San Giorgio, Chjanalea e Marina Grande), la Chiesa occupò sempre la "Mesa", cioè il punto di mezzo ma, anche, il centro.

A punta di Torre Cavallaro si trova il traliccio dell'elettrodotto, che è collegato con una sola campata di 3646 m all'altro, situato a punta del Faro, sulla costa sicula.

Proseguiamo il nostro viaggio verso il sud della Calabria, accompagnati - dall'altra parte del mare- dalla sponda siciliana, con gli abitati di Messina. Passiamo numerosi luoghi interessanti, tra cui vale la pena ricordare Pentedattilo, un borgo di origine bizantina situato ai piedi di una rupe culminante in 5 pinnacoli; per tale motivo fu chiamato pentedattilo=cinque dita, dalla radice greca. Incontriamo tratti di mare trasparente con spiagge pressochè deserte; montagne dalle forme più bizzarre, caratteristici centri abitati, con le loro risorse artistiche e culturali, che non possiamo permetterci di visitare (per mancanza di tempo).

Arriviamo a Villa San Giovanni; la località Punto Pezzo è la più prossima alla Sicilia, con soli 3,6 Km di distanza marittima da percorrere. Qui infatti partono e arrivano i traghetti delle varie compagnie di navigazione. Anche Villa, a dispetto della sua connotazione commerciale e terziaria, ha una storia antica e interessante. Elevata al rango di città nel 2005 dal presidente Ciampi, fin dall'epoca magno-greca, ha rivestito un'importanza preminente, e ciò è lampante se si pensa alla vicinanza della Sicilia, proprio di fronte. Era l'antico 'Passaggio per la Sicilia'(  Trajectum Siciliæ), dove si trovava una misteriosa colonna, nota come Colonna reggina (Columna Rhegina), della quale si è persa la reale ubicazione. La presenza della colonna costituiva un'importante stazione di sosta sulla via Popilia e dava il nome al sito vero e proprio più prossimo alla Sicilia. Un tempo, esso non era Punto Pezzo come oggi, bensì le attuali località di Santa Trada e Cannitello. La colonna reggeva una colossale statua di Poseidone, dio del mare, nei pressi del suo tempio, chiamato Poseidonio (Poseidonion). Diversi Autori antichi ne hanno lasciato testimonianza, a memoria di un passato che doveva presentarsi anche geograficamente un po' diverso da quello di oggi. Ma ora dobbiamo proseguire il nostro viaggio e la nostra prossima meta è Reggio Calabria (fine I parte).

(segue-)

Note:

1)- La sorella di Giovannetto, Margherita Sangineto, sposò Venceslao Sanseverino, da cui nacque Ruggero, che si unì in matrimonio con Cobella Ruffo di Calabria; il loro nipote, Luca Sanseverino, fu il Primo Principe di Bisignano e Signore di Altomonte.

2)-Filippo Sangineto  fu il personaggio più importante per la storia di Altomonte; viene ricordato come un amministratore saggio, diplomatico accorto, valoroso uomo d'armi, assai sensibile ai valori della cultura e dell'arte al pari del suo sovrano, fu presente nelle regioni più progredite d'Italia e di Francia.Ampliò e fortificò le mura, consolidò le torri, riedificò la
chiesa monumentale di S. Maria della Consolazione sulle vecchie strutture di S. Maria dei Franchi, la arricchì di
pregiatissime opere d'arte che in Altomonte portò da Napoli, da Roma, dalla Toscana e dalla Provenza, tra cui spiccano quelle riferite a Simone Martini e Bernardo Daddi ( http://www.agriturismolefarnie.it/pdf/storia_di_altomonte_2.pdf)

3)-Per tutte le altre informazioni si consiglia di visitare il sito ufficiale del Santuario: http://www.santuariopaola.it/

4)- http://www.pizzocalabro.it/pizzo.biz/Dati%20Patrimonio%20di%20Pizzo/Sotterranei/index%20sotterranei.htm

5)-Per la trattazione del mito vedasi http://www.tanogabo.it/scilla_cariddi.htm

6)- 'Italia da scoprire. Viaggio nei centri minori', Touring Club Italiano,1996, p.445

7)- 'Guida ai luoghi miracolosi d' Italia', U.Cordier, Ed.Piemme, 1999, p.362

8)- D. Rotundo "Atlantide in Italia", Ursini Edizioni, p.236, riporta che "[...]maschere con il terzo occhio sulla fronte vengono tuttora prodotte nella vicina Badia di Nicotera, evidentemente alludenti a 'Giove Triopas', fornito del Terzo Occhio della Conoscenza'.


Sezioni correlate in questo sito:

bulletII parte Tour in Calabria 2010
bullet Italia da conoscere(misteri italiani)

 

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                                                                       Luglio 2010