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BAROCCO
ANDINO CONTEMPORANEO Sincretismo
nell’arte sacra della Scuola di Cuzco
Sono
strani e affascinanti, avvolti in ricchissimi abiti vaporosi, con le ali
variopinte e antiche armi da fuoco tra le mani, assumono pose da militari, ma
conquistano con gli sguardi tranquilli e le espressioni serene. Gli “Arcangeli
archibugieri”, di certo, sono tra le figure più emblematiche del “Barocco
Andino”, il movimento artistico sorto dall’incontro tra le culture
dell’Europa e dell’America. La
conquista violenta e brutale del Nuovo Mondo, cominciata nel XV secolo, ebbe
delle gravi ripercussioni su tutte le etnie locali, che ancora oggi risentono
del terribile trauma. Uno degli strumenti adottati per resistere alla cultura e
alla religione dei conquistatori fu proprio l’arte. Nel Vicereame del Perú,
l’istinto di sopravvivenza obbligò gli indios
ad accettare le imposizioni, ma con l’apprendimento delle tecniche importate,
gli artisti andini trovarono il modo di trasferire nei nuovi stili gli ideali
dell’antica cultura e i miti originali. Le
immagini cristiane furono adattate e rielaborate, come in ogni altra parte del
Mondo, ma qui l’influenza del Manierismo e del Barocco, introdotti dai primi
artisti italiani, ha segnato profondamente l’estetica e la società. Nelle
scuole d’arte fondate dai maestri europei, e specialmente in quella peruviana
di Cuzco, si sviluppò un modo di esprimersi che non ha pari, e che racchiude in
sé un profondo sincretismo culturale e religioso. Madonna
del Latte - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 30 x 39,5.
Collezione privata. Il dipinto è una libera interpretazione della Virgen
de Il terribile Illapa, il dio del tuono incaico, trovò la sua identificazione cristiana in Santiago (san Giacomo), nei panni di un guerriero spagnolo che cavalca un bianco destriero e brandisce la spada con cui vince gli infedeli. Allo stesso modo, le schiere di angeli e di santi furono “sovrapposte” a quelle degli spiriti della Natura e dei protettori della vita. San Giacomo Sterminatore di Mori - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 40,3 x 60. Collezione privata. L’opera si rifà ad un’iconografia consolidata, dove san Giacomo è rappresentato nei panni di un cavaliere intento a sterminare i mori, così come apparve in sogno al re Ramiro, assicurandogli la vittoria sugli invasori mussulmani. Nel dipinto il santo guerriero è rappresentato cavalcando un destriero bianco e nel gesto vigoroso di abbattere la spada fiammeggiante sui mori infedeli, nell’iconografia più amata dagli spagnoli, che lo hanno scelto come patrono della propria nazione. La spada fiammeggiante, allo stesso tempo, evoca il fulmine del dio Illapa, che le popolazioni andine hanno identificato con Santiago. Tutto
ciò permane ancora ai nostri giorni, e in Cuzco vari laboratori artistici
producono dipinti in questo stile, interpretando ogni volta in maniera diversa
le iconografie consolidatesi nel passato. Tra
gli eventi espositivi rilevanti, vale la pena ricordare la mostra intitolata LAS
AMÉRICAS LATINAS: Las fatigas del querer (21 maggio - 4 ottobre 2009,
“Spazio Oberdan”, Milano), curata dal critico d’arte professor Philippe
Daverio, che s'è messo in contatto con SABA ed ha chiesto in prestito nove
opere, due delle quali sono state pubblicate sul catalogo (maggio 2009, AA. VV.,
Edizioni Gabriele Mazzotta, Milano). La
prima importante esposizione sul territorio nazionale, Barocco
Andino Contemporaneo: dipinti della Scuola di Cuzco (3 - 25 luglio 2010), fu
allestita da SABA presso la sede dell’ex-Ateneo di Bergamo Alta, in
collaborazione con il Circolo Culturale “G. Greppi” e con il patrocinio
della Provincia e del Comune di Bergamo. Nella mostra furono presentate circa 80
opere pittoriche dei diversi laboratori artistici ancora attivi in Cuzco. Presso
Presso
il “Museo Popoli e Culture” di Milano, in collaborazione con il
“Pontificio Istituto Missioni Estere” (PIME) e con il patrocinio della
Regione Lombardia e di Rai Educational, SABA presenta l’esposizione Barocco
Andino Contemporaneo: iconografia sacra nei dipinti della Scuola di Cuzco (15
aprile al 17 luglio 2011). Diverse
esposizioni sono già state realizzate presso spazi espositivi pubblici e
privati in varie località d’Italia, ed altre sono programmate sul territorio
nazionale. Per
l’impegno nello studio e la diffusione del Barocco Andino contemporaneo,
Con
la “conquista” dell’America, al seguito dei missionari europei, giunsero
nel Nuovo Continente alcuni artisti, incaricati di decorare le chiese che si
stavano costruendo ovunque e produrre immagini che potessero essere d’aiuto
nel processo di evangelizzazione avviato. Presto, la grande richiesta di opere
d’arte impose la necessità di formare degli artisti locali, e così, nei
territori della colonia, nacquero scuole d’arte un po’ dovunque e, ben
presto, quella di Cuzco divenne la più importante in America. Per ovvi motivi
di distanza, lo stile europeo raggiunse il Nuovo Mondo con circa 50 anni di
ritardo e, perciò, fino alla metà del sec. XVII, il modello da seguire fu il
tardo Rinascimento, e poi giunse il Barocco, entrambi sorti in Italia e diffusi
in tutta Europa. Le prime opere importanti prodotte in territorio americano,
quindi, furono i dipinti di un manierista italiano, il fratello gesuita Bernardo
Bitti (nato a Camerino e giunto nel Vicereame del Perú nel 1575). In seguito,
un altro italiano, Matteo Perez de Alesio (nato nel Regno di Napoli, allora
possedimento spagnolo), fondò a Lima un “Centro Sperimentale” per ottenere
i pigmenti equivalenti a quelli europei e inventare opere pittoriche alternative
alle tele. Il terzo artista italiano che operò nel Vicereame fu Angelino
Medoro, nato a Roma verso il 1567 e giunto in Perú verso il 1600. Tra i suoi
allievi ci fu anche Luis de Riaño (1596-1667?), un importante esponente
dell'arte coloniale peruviana che, assieme al pittore indigeno Diego Quispe
Tito, introdusse nella pittura cuschegna il Manierismo, gettando le basi per lo
sviluppo della famosa Scuola di pittura locale. I modelli da imitare erano i quadri dei pittori spagnoli Zurbarán (1598-1664) e Murillo (1618-1682), e poi dell’olandese Rembrandt (1606-1669). Diego Quispe Tito (1611-1681), l’artista più famoso di Cuzco, s’ispirò ai maestri fiamminghi, introducendo il paesaggio nella pittura peruviana e inserendo le sue figure in vegetazioni tropicali irreali, con prospettive distorte e l’aggiunta di uccelli tropicali, tutti elementi iconografici che poi divennero caratteristici di quella Scuola. Poco alla volta, gli artisti di Cuzco si staccarono dai modelli europei e abbandonarono il mondo reale, per inoltrarsi nella fiaba. Così cominciarono a dipingere arcangeli avvolti in abiti regali e che impugnavano armi da fuoco, decorazioni preziose su tutti gli abiti, aureole e raggiere dorate, collane e gioielli sulle madonne e le sante. I missionari, intanto, si dedicarono al compito di confrontare e contrapporle le divinità locali alla Trinità, a Maria e ai santi, per trovare una reciproca identificazione, determinando il consolidarsi di una simbologia ambivalente nelle opere d’arte del mondo andino. In questo modo, allo stesso tempo, si permise il mantenimento e la trasmissione dei miti religiosi originali, determinando la creazione di una precisa iconografia locale. La civiltà indigena, attraverso le opere d’arte prodotte dalla Scuola di Cuzco, col Manierismo e col Barocco riuscì ad inserirsi nello schema occidentale, e attraverso queste espressioni formali sopravvisse nei secoli, trascinando con sé gli ideali di una cultura sommersa, che s’è mantenuta viva fino ai nostri giorni. Arcangelo
Archibugiere Asiele - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 30 x
40. Collezione privata. L’opera è un’interpretazione del dipinto intitolato
Asiel Timor Dei, realizzato nel XVII secolo dal Maestro di Calamarca
e conservato in una collezione privata di
Arcangelo
San Michele - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 30 x 40.
Collezione privata. Il dipinto riproduce san Michele, il più importante tra gli
arcangeli e capo supremo delle milizie celestiali. Egli fu, dopo la ribellione,
colui che cacciò dal Paradiso gli angeli cattivi, assieme al loro capo
Lucifero, e li sprofondò nell’Inferno. San Michele è un arcangelo
giustiziere e protettore, che tiene lontano il male, oltre ad essere il patrono
dei commercianti, dei militari, dei maestri d’arme e dei fabbricanti di
bilance, ed essere invocato per guarire dalle malattie. La posizione della
figura, con il corpo leggermente incurvato su un lato, le gambe divaricate, il
braccio destro alzato nel gesto d’impugnare la spada e le ali spalancate,
evoca lontanamente la famosa opera di Guido Reni (1575-1642), intitolata San
Michele e l’Arcangelo, che nel Settecento fu considerato emblema del
“bello ideale”. Molto d’effetto sono i colori vivaci e la luce intensa che
avvolge la figura e che si espande tra le nubi dello sfondo. I tratti dolci e
sereni dell’arcangelo, rappresentato con i capelli ondulati e biondi,
s’ispirano ai canoni di bellezza europei. La spada fiammeggiante, sollevata
nell’atto di colpire, evoca la battaglia celeste contro il demonio, mentre la
bilancia che pesa il bene e il male delle anime vuole ricordare il Giudizio
finale che, secondo
Durante
le fasi iniziali della conquista d’America, gli europei attuarono una
persecuzione sistematica nei confronti delle religioni che incontravano,
distruggendone le immagini sacre poiché considerate “rappresentazioni
demoniache”. Contestualmente, però, si assistette alla loro sostituzione con
altre immagini, di matrice cristiana, che prontamente si convertivano nelle
divinità da poco distrutte. Il tentativo di far comprendere la differenza tra
“rappresentazione del sacro” e “soggetto del culto”, ovviamente, non
ottenne risultati, così come frequentemente accadeva pure in Europa. In questo
modo, la liturgia e le immagini cristiane si sovrapposero e si mischiarono ai
precedenti riti e idoli, divenendo gli elementi ideologici su cui si sarebbero
fondati i movimenti messianici andini. Il desiderio di ribellarsi alla religione
imposta dagli spagnoli, di fatto, risvegliò e ravvivò antichi rituali che
erano stati soppressi per la persecuzione dei sacerdoti incaici e sostituiti dal
loro culto ufficiale. Per legittimare il proprio ruolo di guide dinnanzi alle
popolazioni locali, i profeti assumevano i nomi degli Incas,
invocandoli come antenati o dichiarandosi reincarnazioni degli stessi, ma non
disdegnavano di aggiungervi elementi cristiani, per avere maggiore credibilità
come predicatori della nuova fede. Il
primo tra i movimenti messianici andini, di cui si ha notizia, fu quello
chiamato Taki Onqoy, che dall’idioma
degli Incas, il quechua, si traduce
“Male del Ballo” o “Malattia del Canto”. Questo movimento sorse verso il
1560 in Huamanga (Ayacucho), e in poco tempo si propagò in Lima, Cuzco,
Chuquisaca, Non
tutti gli europei, però, avevano assunto un atteggiamento così ostile e
violento. In quei frangenti, infatti, molte personalità tra i conquistatori e
gli indios, condividevano le opinioni
espresse dal gesuita José de Acosta, secondo cui la rivelazione di Dio era
stata fatta a tutti gli uomini, identificando Viracocha (la divinità
suprema degli Incas) con il Dio
del Cristianesimo, e Inti (il Sole)
come la sua creazione. Nel 1625, proprio in contrapposizione alle indicazioni
dei Domenicani che predicavano l’abolizione dei culti antichi e la distruzione
delle effigi pagane, gli Agostiniani posero il Sole e
Nella
prima serie gli esseri celesti indossano gonnellini femminili, che combinano con
stivaletti e, a volte, corazze, elmi, spade e scudi delle legioni romane,
elementi che contrastano paradossalmente tra loro, ma convenienti a degli esseri
asessuati quali sono. Secondo Dionigi, ciascuna delle tre Gerarchie angeliche è
divisa in tre Cori: la prima comprende i Serafini (che sono i più vicini al
trono di Dio, sono spiriti abbracciati nel fuoco del Divino Amore e sono dotati
di sei ali), i Cherubini (così chiamati per la grandezza e la pienezza della
loro sapienza, hanno quattro ali) e dei Troni (che ricevono i segreti del
Signore per mezzo dei Cherubini e questi dai Serafini, in loro riposa ed è
seduto il Signore Supremo, ed hanno due ali). La seconda Gerarchia comprende i
Domini, le Virtù e le Potestà. La terza Gerarchia è formata dai Principati,
dagli Arcangeli (di cui i tre più importanti sono Michele, Gabriele e Raffaele)
e dagli Angeli, questi ultimi divisi in buoni e cattivi, detti demoni o diavoli.
L’angelo custode, protettore di ciascun mortale, fa parte di questo Coro,
l’ultimo nella scala gerarchica, ma il più vicino agli uomini. Nella seconda serie, gli arcangeli vestono secondo l’usanza militare degli spagnoli al tempo della conquista ed impugnano archibugi, lance, alabarde e bandiere. Gli arcangeli archibugieri rappresentano i falconi, che nella cultura incaica sono la personificazione dei defunti che dopo la morte assumono quelle sembianze vegliando sui propri familiari e, per questa ragione, sono considerati i protettori della casa. Le compagnie di arcangeli archibugieri, completamente sconosciuti all’iconografia europea, sono certamente le immagini più interessanti e fortunate delle serie angeliche andine. Un’audacia sorprendente e lontana dalle convenzioni del genere, fece armare gli angeli con archibugi, e allo stesso tempo li vestì con merletti, rendendoli dei connubi tra i seri soldati e le ragazze civettuole. In questo modo, gli angeli andini sono la somma del lusso aristocratico, dell’arroganza guerriera, dell’aspetto effeminato, dell’eleganza raffinata, della propaganda religiosa cristiana e delle credenze spirituali incaiche. Questa scintillante ostentazione di contrasti, proclama con nuova energia l’essenza medesima dell’angelismo, nella quale coincidono gli opposti estremi, che ignorando le differenze di sesso non hanno nulla a che vedere con la suddivisione dei ruoli tra l’uomo e la donna. Gli arcangeli musici, infine, sono rappresentati suonando gli strumenti musicali della tradizione europea o andina, e portano gli abiti romani o i vestiti dei militari spagnoli, e portano allegria nelle abitazioni che li ospitano. Arcangelo Suonatore di Arpa - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 41,3 x 60,7. Collezione privata. L’arcangelo sta suonando un’arpa dotata di cassa di risonanza, caratteristica delle zone andine, che è munita di due gambe per permettere d’appoggiarla al suolo. L’atteggiamento dell’arcangelo, che sta facendo un passo verso la sinistra dell’osservatore, suggerisce il fatto che questo strumento è normalmente utilizzato nelle strade, durante le feste popolari o le processioni sacre. Una caratteristica di questo laboratorio consiste nella realizzazione di abbondanti decorazioni dorate, con un rilievo particolarmente accentuato. È interessante notare come tutto l’insieme del dipinto contribuisce a mettere in risalto il luminoso volto dell’arcangelo arpista.
Le
serie angeliche, che a volte comprendono un’iconografia molto rara, per la
quale bisogna riferirsi alle fonti apocrife ed ai rami marginali del
Cristianesimo, come
La
figura della Madonna, tra le popolazioni andine, fu identificata con Madonna
Montagna - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 50 x 70.
Collezione privata S. M. L. L.. L’opera è una libera interpretazione della
celebre Virgen Cerro (Madonna
Montagna), realizzata nel 1520 da un autore anonimo, e conservata nel “Museo
de La
caratteristica iconografica fondamentale di tale sincretismo è la forma
triangolare data alla Madonna, che in questo modo ricorda l’aspetto di una
montagna, la rappresentazione più evidente della Madre Terra, ed è adottata
nelle numerose versioni dipinte e scolpite. Particolarmente significativa, nelle
diverse rappresentazioni della Madonna così come in quelle degli angeli e dei
santi, è la presenza di vistosi piumaggi colorati che decorano i copricapo e le
vesti dei personaggi, i quali sono un evidente richiamo all’abitudine tipica
delle popolazioni locali, che amano adornarsi con piume e penne degli uccelli
tropicali. Le diverse immagini dell’iconografia mariana, soprattutto quando è
accompagnata da Gesù Bambino, perciò, s’associano all’idea del nutrimento
e della protezione che l’uomo andino riceve dalla Madre Terra, la quale, oltre
ai suoi prodotti per alimentarsi, gli offre la propria ospitalità per
rifugiarsi.
Assieme
all’identificazione della Madonna con L’enorme
popolarità che tuttora riscuote tra la popolazione andina, è dovuta
all’identificazione tra il santo cristiano e la divinità incaica, e cominciò
nel 1536, quando le truppe dell'Inca Manco II stavano assediando la città di
Cuzco, che era sotto il dominio spagnolo. Durante il combattimento, mentre la
città era sottoposta ad una pioggia di frecce incendiarie e gli spagnoli
riuniti nel Sunturhuasi (“Casa Rotonda”, oggi Arcangelo Suonatore di Trombetta - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 50 x 70. Collezione privata. Il dipinto rappresenta l’arcangelo che sorregge due trombette, una più grande e l’altra piccola. Egli veste gli abiti degli antichi romani, cui sono aggiunti i caratteristici calzoni dei contadini andini, che contrastano con i bordi di pizzi elaborati. Un dettaglio assai interessante, già incontrato in alcuni dipinti precedenti, è il berretto sospeso in aria sopra la testa dell’arcangelo, che funge da aureola. Il ruolo riconosciuto agli arcangeli musici è quello di portare allegria nella casa che li ospita e, per questo motivo, nelle abitazioni andine trovano posto nei salotti, dove si ricevono gli amici e si svolgono le feste.
Nella
città di Cuzco, ancora oggi, alcune botteghe d’arte continuano a produrre
opere pittoriche di bella fattura, riproducendo e interpretando l’iconografia
classica del passato. I maestri che conducono i diversi laboratori, guidano
gruppi di artisti specializzati in una parte del lavoro, che alla fine porta
alla produzione di opere collettive e, per questo, raramente firmate. Così, un
incaricato prepara le tele su cui si dovrà dipinge, un altro traccia il
disegno, poi c’è chi prepara i colori del fondo, chi stende le ombreggiature,
chi dipinge gli incarnati e le ricche decorazioni dorate, e infine l’opera sarà
sottoposta al controllo finale, prima di essere considerata terminata. A
volte i laboratori sono affollati da artigiani ed artisti indaffarati, che
collaborano fino a completare l’opera. Altre volte nel piccolo laboratorio
lavora un solo artista, che dipinge le parti che gli competono, per poi
consegnare l’opera ad altre botteghe, dove poco alla volta si completa. In
questo modo, succede che le parti più caratterizzanti e difficili da eseguire,
che normalmente sono dipinte dall’artista più esperto, s’accompagnano a
tessuti, decorazioni dorate e paesaggi che variano nello stile, e che si
ritrovano sulle opere dei diversi laboratori. La conoscenza delle tecniche
pittoriche è trasmessa dal maestro agli allievi, attraverso un procedimento di
insegnamento-apprendimento graduale e costante, che generalmente dura alcuni
anni. Per questa ragione, spesso gli apprendisti fanno parte dello stesso nucleo
famigliare o, in caso contrario, vivono in ambienti annessi al medesimo
laboratorio, a stretto contatto con il maestro, un po' come nelle botteghe
medievali europee. Una volta terminato l'apprendistato, l'artista lascia il
laboratorio del maestro, per allestirne uno proprio, ed entrare in
“competizione” con gli altri. La
peculiarità di questi dipinti ad olio è che non si tratta di semplici
riproduzioni delle opere antiche, ma di variazioni sull’iconografia classica,
ogni volta interpretata in modo diverso. Questo processo è paragonabile a
quello che avviene nella realizzazione delle icone bizantine, dove solo pochi
maestri ispirati possono inventare nuove immagini, ma tutti i pittori,
inevitabilmente, pongono qualcosa di proprio, realizzando delle immagini che
facilitano l'incontro con il sacro. Tra
i pittori che praticano quest'arte meticcia, vi sono personalità che emergono
per il loro carattere forte, che “osano” aggiungere qualcosa di nuovo, e
sorprendono per la profonda consapevolezza di quello che stanno facendo. Sono
artisti senza tempo, forse, ma ben addentrati in quello spazio incontenibile che
è il Barocco Andino contemporaneo. Il
Barocco Andino, mirabile espressione dell’arte coloniale sudamericana, s’è
mantenuto vivo e vivace fino ai nostri giorni. Evolvendosi tra alti e bassi, nei
numerosi laboratori sparsi un po’ dovunque, ha trasportato i suoi ideali
culturali lungo i secoli, offrendoci un potente messaggio che nasce dal più
profondo della civiltà indigena. Tutta l’arte contemporanea latinoamericana,
infatti, e quella peruviana in particolare, ancora oggi è pervasa dalla forte
influenza che questa caratteristica forma espressiva ha avuto e continua ad
avere. Conclusioni Tutti
gli studiosi che si sono occupati di questa straordinaria produzione artistica,
hanno riconosciuto l’influenza del Manierismo italiano e del Barocco spagnolo
e fiammingo, a loro volta pervasi dalle tendenze provenienti dall’Italia. È
certamente innegabile, quindi, il “debito” artistico che l’arte meticcia
ha nei confronti di quella italiana, che ha lasciato una traccia indelebile e
ancora visibile nelle opere contemporanee. Va riconosciuto, però, che i
significati sottesi dalla caratteristica iconografia che quest’arte ha creato,
risentono anche dei contenuti predicati dagli estasiati profeti del Taki
Onqoy, il movimento religioso di resistenza sorto spontaneamente come fiera
opposizione ai tentativi di estirpare l’antica fede. Solo
negli ultimi anni del secolo scorso, di fatto, la strana iconografia delle così
dette “Serie Angeliche”, e quindi di tutta la singolare produzione pittorica
delle Scuole Andine, ha attirato l’attenzione degli studiosi e del pubblico
europeo. Una serie di studi intorno al tema, con la pubblicazione di libri e la
realizzazione di alcune esposizioni con le opere originali, dapprima in Bolivia
e Perú, e poi a Barcellona, Madrid, New York, Monaco e Parigi, poco alla volta,
hanno reso popolari questi dipinti, che oggi sono ricercati per essere il
diletto di esposizioni, musei, collezioni private e pubblicazioni. Da
qualche tempo, anche vari collezionisti e appassionati italiani mostrano un
crescente interesse nei confronti delle opere pittoriche delle Scuole Andine,
con particolare riferimento alla produzione contemporanea. Grazie alle
esposizioni organizzate da SABA in varie località italiane, s’è diffusa la
conoscenza del ruolo determinante che i maestri italiani ebbero nella formazione
del Barocco Andino, fomentando ed appoggiando, allo stesso tempo, il lavoro
artistico dei laboratori cuschegni. (Autore:
Riccardo Scotti, Studio d’Arte sul Barocco Andino (SABA) -Giugno 2011)
www.duepassinelmistero.com Avvertenze/Disclaimer Luglio-Agosto 2011 |