Alessandro
Verri, fratello minore del più celebre Pietro, milanese, fu
colui che riscoprì, in un periodo certamente buio per la storia e
l’archeologia come l’illuminismo, la classicità di Roma antica
attraverso lunghi studi e periodiche visite ai luoghi che lui stesso si
perorava di esplorare insieme a pochi e tenaci cultori della scienza del
ritrovamento e di cui riportava e catalogava accuratamente ogni minimo
soggetto venuto alla luce.
Egli, fine
letterato, riuscì a compiere un’impresa che poteva apparire al tempo
proibitiva, unire e riscoprire tutto ciò che l’ideale dell’antica
Roma aveva rappresentato per la storia e la cultura dell’umanità,
ideale lungamente contrastato da chi probabilmente non aveva il benché
minimo concetto di ricerca nella testa: riuscì attraverso i suoi scritti
e le sue opere a concretizzare letteratura, storia, sociologia ed
archeologia in un solo unico viatico per comprendere appieno il passato
trascendendo indubbiamente dalla componente mitica ed assolutistica tipica
di coloro che scrivevano in quei tempi.
La
sua disamina appare decisamente di grande portata storica pur muovendosi
nel discorso legato alla narrazione ed al gusto della scoperta
archeologica (o presunta tale).
Egli si spostava di continuo tra le due città,
facendo la spola, da un lato per scrivere (Milano) e dall’altro per
ricercare (Roma).
Egli, giornalista e storiografo, redasse la sua
opera più importante “Le notti romane” con un
disincanto incredibile, pur traendo spunto dalla presunta scoperta sulla Via
Appia delle tombe appartenute alla famiglia degli Scipioni nel
1780 (anche se già parzialmente rinvenuta un secolo e mezzo prima).
Egli,
esplorando personalmente per ben due volte questi reperti archeologici e
scendendo di molto in terreni senz’altro difficoltosi e senza
particolari precauzioni, s’ispira contemplando e descrivendo le figure
degli antichi sottoforma di ombre e ne sussegue in pratica una storia che
parte dalla Roma repubblicana e passa per quella imperiale con un chiara
descrizione di personaggi che fanno da filo conduttore al saggio
narrativo.
Nella
seconda parte del saggio egli riporta tutto ciò che aveva contemplato
durante i giorni delle discese nel sottosuolo: valorizzazioni delle
antichità classiche, dimensione dinamica della percezione storica ed
archeologica, ma soprattutto la voglia di salvaguardare tutto ciò che
riguardava la grandiosità di una civiltà che contrastava con la
superficialità degli scienziati del tempo che al massimo consideravano
Roma ed i ritrovamenti come sopramobili per abbellire la casa (così
s’esprimevano uomini passati alla storia come innovatori !!!!).
Verri,
a differenza d’altri illuministi del tempo, fa nei confronti della
romanità una scelta del tutto intellettuale e la sua adesione al
classicismo latino è totale nel momento in cui viene a conoscenza diretta
del mondo che inizialmente tollerava a fatica.
Egli apprende poco a poco la cultura del passato
che comprende si una critica, anche logica, alla struttura della società,
ma sicuramente anche un’analisi profonda e soprattutto ben documentata
dalle sue personali ricerche.
Egli
pubblica le sue riflessioni in diversi periodi: Ragionamento di
Cicerone sul Pontificato Romano nel 1790, Al sepolcro degli
Scipioni nel 1792, Sulle ruine della magnificenza antica
nel 1804, con un unico fine, mettere in evidenza la seconda Roma
rispetto alla prima più antica: in pratica egli utilizza Cicerone
come aiuto per dimostrare la crescita della società in epoca imperiale
rispetto a quella tardo antica.
Cicerone diventa per lui il Virgilio di Dante,
lo guida in una sorta di colloquio continuo e alle volte sferzante,
attraverso un mondo pieno di personaggi che hanno fatto la storia di Roma:
Caio Gracco rivede Licinia che si lascia andare verso di lui inclinando la
rosea guancia….
Egli, scrivendo
al fratello Pietro parlando di antichità dissotterrata, non solo parlando
di Roma, ma anche d’Omero e dell’Iliade, di Saffo e
di Mitilene, perfino di Socrate o dell’Arcade, non
ebbe certamente il tempo per poter soffermarsi attivamente nelle ricerche
in ogni luogo in cui sarebbe voluto andare, ma certamente gli intendimenti
lasciano trapelare l’amore per la ricerca viva e palpitante e non
salottiera tipica degli anni in cui viveva.
Non a caso egli
esplose questa sua fervente attività storico-archeologica nella città di
Roma, la meno illuminista di tutte le città italiane,a stretto contatto
con gli ambienti eruditi cittadini che, pur tra mille difficoltà,
cercavano di mantenere il livello degli scavi in maniera, se non ottimale,
almeno decente.
Egli nel suo
Saggio sulla Storia d’Italia scrive un in maniera chiara
il suo ideale relativamente alla ricerca:
“…….non
mi sono proposto di rendere il mio lettore un profondo erudito, ma un uomo
colto.Come chi deve
fare un lungo viaggio con un compagno, cui voglia mostrare le vedute, le
campagne, i villaggi laterali al cammino, indica, dà notizie, dimostra in
breve ciò ch’è degno d’attenzione, e prosegue la sua strada senza
fermarsi su due piedi ad ogni momento ed opprimere il suo compagno lettore
con lunghe disquisizioni e con minute osservazioni su tutti gli aspetti, e
le vedute ed i rottami e le capanne coll’immancabile successo di render
lunga e faticosa la via, ed annoiato, non istruito il socio”.
Probabilmente
Verri utilizzò per primo il sistema d’immedesimazione che ispirò ai
nostri giorni giornalisti/storici come Montanelli: è indubbio che il suo
pensiero ebbe notevoli influssi anche sulla riscoperta dalla storia
romana.
Alessandro
Verri non ebbe titoli né particolari onori, ed è proprio questo il
valore della sua ricerca,che appare oggi come uno scrigno degno d’essere
studiato e portato ad esempio nell’analisi storica e nella ricerca per
comprendere le antiche civiltà anche attraverso l’uso mediato del testo
letterario.Sicuramente egli fu molto più importante di alcuni suoi
osannati coetanei d’oltralpe ed ottenne risultati sicuramente maggiori
ed ancor oggi validissimi.
(Enrico Pantalone) |