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| 1158-1183:venticinque anni di politica 'calda' (di Enrico Pantalone) ….Sono così passati venticinque anni dal fatidico novembre 1158, cioè da quando a Roncaglia, Federico I di Svevia detto il Barbarossa, aveva tenuto una Dieta che costrinse le città dell’Italia Settentrionale ad accettare imposizioni giuridiche e amministrative assai gravose ed inique. Egli allora poteva contare su d’un esercito forte, su prestigio e un alone che nei suoi primi anni di potere s’era saputo conquistare a dispetto di tutti coloro che pensavano non ci sarebbe mai riuscito in così breve tempo. Nei venticinque anni che seguirono la Dieta di Roncaglia, possiamo affermare senz’altro che s’erano create situazioni importanti per tutto lo sviluppo della nostra pianura padana, ma ancora più possiamo affermare che improvvisamente cambiò la struttura arcaica imperante fino all’avvento del Barbarossa stesso. Si cercava di costruire le basi per un altro medioevo, più instradato verso aspetti che prima si potevano solamente intravedere, ma non toccare: stiamo parlando di quello spirito etico-sociale chiamato semplicemente con il nome di Umanesimo che proprio grazie a tali avvenimenti socio-politico e militari, uscì allo scoperto per essere poi, col passare degli anni, utilizzato nella pienezza delle sue immense possibilità. Tutto ciò che è accaduto in questo periodo, fino alla Pace di Costanza del 1183, ha qualcosa di diverso, d’irrazionale se vogliamo, ma la politica trovò finalmente una sua codificazione come noi contemporanei la intendiamo: si fanno i primi atti per il bene dello stato, si creano interessi nuovi che lasciano da parte per sempre i vecchi arcaismi sepolti con i loro sistemi, sistemi che oramai nessuno si sente più d’utilizzare nel senso proprio della parola, a parte qualche feudatario nostalgico il quale credeva che il mondo dovesse rimanere sempre immobile. Lo capirono da tempo i Comuni Lombardi che lottarono per ottenere tutti i privilegi loro spettanti di diritto, lo capì la Chiesa Cattolica la quale per prima trasse giovamento e forza dagli avvenimento al fine d’aumentare il proprio prestigio, lo capì infine anche lo stesso Imperatore Federico che, pur di mantenere il potere, accettò di concedere non senza ripugnanza il giusto alla Lega Lombarda. In questo risveglio della società vennero coinvolte per la prima volta, probabilmente tutte le forze attive del tempo: i commercianti, i primi borghesi, i contadini che aspiravano a vivere più liberi all’interno delle mura, i laici e coloro che vivevano a contatto con il clero. Ciò porta a credere che tutto questo sia successo perché la struttura del tempo era in movimento, in atto d’ebollizione, stava esplodendo dopo secoli d’implosione; ogni strato sociale si sentiva, a suo modo, partecipe di questo processo innovatore e voleva, pertanto, rendere nota la propria posizione ed offrire la propria collaborazione. Non bisogna però credere, come abbiamo già avuto modo di dire che a quel tempo il potere fosse diviso democraticamente (in senso contemporaneo del termine) tra i ceti diversi che componevano il mondo medievale: a comandare, era ancora il solito gruppo di persone che sotto denominazione nuova e semplicemente più efficace, utilizzava ala meglio le risorse disponibili ed il potere stesso, vincendo le ritrosie di che doveva sopportarne il peso per non essere un potente o un ecclesiastico, insomma non far parte dell’Oligarchia dirigente. I colpi di scena erano frequento ogni giorno, nel corso di quei decenni, ed i capovolgimenti di fronte o di politica era da attendersi in qualunque momento. Basti citare, per fare un esempio lampante, la città di Alessandria che, costruita come ultimo baluardo al dilagare delle forze imperiali, finì con il passare, prima della Pace di Costanza, dalla parte opposta, capovolgendo completamente il criterio per cui era stata concepita. In sostanza, i Comuni non cercarono di distruggere il vincolo che li univa all’Impero ed erano disposti a mantenere anche quello che potremmo definire ancora feudale, proprio perché esso non aveva più la stessa forza avuta sino ad allora nell’istituzione. Chiedevano invece, in cambio, di poter sviluppare con armonia tutte quelle istanze sia giuridiche, sia politiche, sia economiche che avrebbero permesso alla collettività di crescere socialmente e di raggiungere un degno livello di vita. Le città sopportavano si la burocrazia, ma non quella imposta da una persona estranea alla loro collettività, la quale non poteva comprendere appieno le esigenze del luogo e che avrebbe pensato solamente a disporre della stessa come ad un personale dominio da sfruttare e da salassare senza pietà a loro parere. Questo contrasto d’idee non escludeva però, in nessun modo, l’unità e la continuità dell’Impero, ma anzi la completava come parte integrante e costruttiva. Il Barbarossa era stato un avversario ostinato nei suoi intenti, più di qualunque altro imperatore prima di lui, ed i suoi avversari, le città comunali del settentrione italiano, avevano dovuto lottare duramente, ma sicuramente con risultati tutt’altro che avari. Da sottolineare, comunque, l’apporto dottrinale ed intellettuale dell’intellighenzia dell’epoca, quel gruppo di dotti rappresentanti il cosiddetto valido sostegno al braccio dell’Imperatore e che a Roncaglia ebbero modo di dimostrare in maniera superlativa tutte la loro splendida capacità, costruendo una struttura giuridica veramente efficace e duratura. Trovare una weltanschauung alla politica federiciana o più in generale alla politica sveva attraverso i secoli, non è cosa difficile, visto che si traduceva efficacemente nella formula “honor imperii” (Carlo Magno) che spesso soleva ripetere lo stesso Federico. Tutta l’opera di quest’ultimo, per lo più violenta nelle sue manifestazioni, fu tesa a santificare, se così possiamo dire, la causa del programma d’unificazione dello stato in senso universale, anche se, ovviamente, come detto in maniera arbitraria ed autoritaria. Al contrario, le città lombarde, che erano state chiaramente sconfitte almeno sul piano dottrinale alla Dieta di Roncaglia, dovettero scontare pesanti ed assurdi gioghi, sborsando tributi ed ogni tipo di balzello ai vicari imperiali o ai podestà, di cui il “Liber Tristitiae sive doloria” ne fu documento probante: un elenco delle richieste e delle vessazioni umilianti a cui ci si doveva malgrado tutto sottoporre. La situazione negli anni successivi tra guerra, distruzione di Milano, sconfitta imperiale a Legnano andò sicuramente peggiorando e s’arrivò così al fatidico anno 1183 con una situazione che mutuata dagli scacchi si poteva definire si assoluto stallo. Entrambe le parti non erano in condizione di dettare piena legge e politica, peraltro, dovendo guardarsi anche le spalle dagli stessi alleati, pronti a modificare gli intenti e quindi infidi allo stesso modo, se non di più, degli avversari. Così a Costanza, i due contendenti, e ci piace sottolinearlo, diedero impulso a tutto ciò che le due mentalità, i due modelli organizzativi, i due propositi di vita avevano prodotto fino ad allora e li codificarono sotto forma di clausole inserite nel documento finale, capolavoro di diplomazia e disciplina giuridica, ma assolutamente privo di sostanza politica. Si chiudeva così un’epoca nell’Italia settentrionale, nei decenni seguenti i Comuni vissero una grande era di sviluppo economico e sociale mentre l’Imperatore, libero da contestazioni sulla sua autorità, prese a dedicarsi con più profitto alla sua attività di politica estera: una nuova strada era stata aperta senza vincitori né vinti. (Enrico Pantalone)
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