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TEMATICHE: Due passi nell'Italia nascosta Simbologia e Cultura Orientale UTILITY: Ricerca veloce titoli per argomento SERVIZI:
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L’ARCANGELO OCCULTO CREATURA DI FIAMMA SPLENDENTE Alexandra Celia Prologo Fuoco eccelso sono le parole di Enoch, quando pronuncia il santo volere dell’Altissimo, e il suo calamo imprime arcani segni sull’avorio colore: “Poi disse l’Altissimo parlò, il Sacro e il Grande e mandò Uriel dal figlio di Lamech, e gli disse: vai da Noè e digli nel mio nome nasconditi e rivelagli che la fine si sta avvicinando, che l’intera terra sarà distrutta, e un diluvio sta per scendere su tutta la terra per distruggere tutto ciò che vi è sopra”. – Libro delle Osservazioni 10,1 ‐ Egli controllò sulle porte d’Egitto che vi fosse il sangue d’agnello, durante le piaghe, così ancora, è scritto, poiché Uriel l’arcangelo detiene, inoltre, la chiave dell’Inferno durante i tempi – oscuri – della fine. Lo stesso arcangelo che condusse Abramo verso Ovest. Narra la storia che troppo spesso uomini di valore e pensiero furono accusati ingiustamente, eclissati come esseri indesiderati, ma in egual modo accadde agli esseri di luce, che ci si dimenticasse di loro, della loro bellezza, della loro natura inafferrabile, e che tristemente fossero messi a tacere, seppelliti in un remoto angolo del cosmo dall’insindacabile verdetto di un sol giudice terreno! Se, però, la redenzione divina può toccare mortali creature, ancor di più può sfiorare le ali infinite di un essere di fiamma, Uriel l’arcangelo dimenticato nel tempo e nello spazio storico attende unicamente una sua rinnovata teofania. Clemente III, 174° pontefice della Chiesa cattolica, eletto nel 1187 lancia un sinistro decreto, in breve tutte le raffigurazioni dell’arcangelo Uriel dovranno essere definitivamente cancellate da ogni chiesa, ogni visibile rappresentazione di quest’angelo dovrà scomparire nel buio. Perché un simile tristo decreto? Tutto ebbe principio quando… La fine di un nuovo principio. Anno Domini 745, il pontefice Zaccaria indice ‐ con estrema urgenza‐ un Sinodo diocesano nell’eterna città di Roma. Il problema presenta una scottante natura d’indole morale etica, ecclesiastica, l’arcivescovo Adalberto di Magdeburgo dev’essere condannato e sospeso dal suo cristiano incarico. Il motivo che proietta la mano del vicario di Cristo a firmare il decreto di condanna è serissimo, gravissimo, voci sostengono – fondate, o no ‐ che Adalberto s’intrattenga e comanda figure angeliche per il suoi fini di pratiche magiche. E, ancora, che egli abbia formulato una preghiera che concretamente porrebbe al suo comando e servizio, proprio, l’arcangelo Uriel. Lo stesso che nel mosaico tempo guidò le azioni degli ebrei schiavi in Egitto, esprimendo loro il volere dell’Altissimo. Secondo il Sinodo si condannava quella preghiera di Adalberto che si allontanava dai canoni della Chiesa del tempo, e che nel contenuto esprimeva tangibili invocazioni a nomi di angeli sospetti, Raguel, Tubuel, Sabaoc, Siniel. Lo stesso Uriel finì tra i nomi indesiderati, nella rete di quelle entità private della loro essenza luminosa, anche se inizialmente si presentava una logica diatriba se fosse, o meno realmente un’entità negativa. Il tutto fu sbrigato con una sonora condanna promossa nei confronti dell’arcangelo fiammeggiante Uriel, il quale subì l’esclusione, cadendo definitivamente nell’oblio dell’universale oscurità. Al pari di un astro che rapidamente appare nel cielo notturno, e con ugual fulmineità scompare nel nulla più assoluto e desolante, poiché avvenne che un giorno i molti lo trovassero indesiderabile e poco amabile. Negli atti del Sinodo, contro il vescovo mago si ribadiva che nelle Sacre Scritture sono resi noti soltanto tre nomi di angeli, Michele, Gabriele, Raffaele, questa sentenza così lapidaria definiva per sempre in ambito di materia di fede e culto, quello che un eone lontanissimo era considerato uno tra i più bei angeli del Signore, come valide fonti sostengono a riprova che tra le molteplici cose esistenti alcune verità possono essere travisate negativamente e tragicamente. E’ pur vero, tuttavia, che spesso il negativo viene riabilitato sulla concezione di nuove ed inaspettate scoperte, e riflessioni che navigano tra la dimensione/linea della filosofia e della teologia, secondo una propensione analitica governata dalla sacra scrittura antica. Il libro apocrifo di Enoch XI, 9; XX,2; X 1‐2; esprime parole di venerazione per un arcangelo di nome Uriel, indicato come la luce di Dio, la fiamma di Dio. Uriel è, quindi, un arcangelo di fuoco, poiché il suo nome nell’antica lingua egizia suona come U‐Ra‐el indicante, appunto, non solo una fiamma, una luce, la Luce di Dio, ma lo stesso Sole RA. L’Antico testamento nel 1 Libro dei Re, fa riferimento a questo angelo, il re Salomone lo stimerebbe come pura presenza dell’Altissimo, di Colui che lo rappresenta sulla terra. Questa è la storiografia di un angelo che tristi motivi portarono al suo inabissarsi. Nell’antica letteratura le citazioni di Uriel non mancano, anche se per alcuni riferimenti si ricorre a testi non canonicamente riconosciuti, come il libro di Enoch, e nell’antica cultura ebraica non sono scarse le fonti di questo enigmatico Arcangelo. Ma, chi scrive, tuttavia non desidera ripercorrere i luoghi letterari antichi biblici della cultura ebraica, cristiana e non solo ‐ si potrà sviluppare questo in altra sede ‐ quanto considerare il valore arcano, misterioso, nascosto di un dipinto di un grande maestro del Rinascimento Leonardo da Vinci, e la sua opera ‘La vergine delle rocce’ un soggetto eseguito in due versioni, forse simultaneamente. L’arco storico e cronologico che assiste lo svolgersi temporale tra il 1483 e il 1486, o 1495-1508, contempla un grande genio dell’umanità impegnato nella creazione e realizzazione di due opere che sono avvolte – per un verso – nel mistero, come in un affascinante racconto che le sue radici creative estende fin nel mondo più recondito, in ombra ed occulto dell’arte teosofica. Le opere di Leonardo da Vinci sono tra quelle che maggiormente richiedono un sacro e riverente silenzio meditativo, come non pensare e riflettere sul famosissimo Cenacolo – in Santa Maria delle Grazie a Milano, una tra le più espressive opere del Maestro rinascimentale, quali i canonici del refettorio delle Grazie richiesero e pretesero dal genio dell’arte. Cenacolo, Leonardo da Vinci, 1495 -1508
Ogni capolavoro di Leonardo è come una scintilla del divino trasportata su tela, o come affresco, della sua anima, del suo spirito che di tutto faceva esperienza fino all’estremo del pensabile e dell’analizzabile. La pura visione, concreto materializzare il soggetto d’arte, non appariva come cosa sufficiente a Leonardo. A motivo di questo egli sperimentava nuove, innovative tecniche pittoriche. In quanto scienziato tendeva promuovere nuove idee che andavano a completare quelle preesistenti. La pittura di Leonardo è come un’apparizione che pur restando immobile, ha un segreto movimento sotto le sue arcane forme. Le prospettive, paesaggi in ombra esprimono il tangibile pensiero del Maestro, della sua innata sensibilità d’artista e di scienziato. Osservando i capolavori leonardeschi, sovente si ha l’impressione che i dipinti parlino un linguaggio semantico, le cui parole vanno sfumando nel silenzio più assordante. Queste sensazioni, tuttavia, sono unicamente una percezione delle nostre più recondite intuizioni, spesso scarsamente preposte, preparate ad una lettura oltre il colore, e le affascinanti linee mosse dal pennello. E’ necessario elaborare una ‘visione’ oltre la visione, superando il consueto ‘vedere’, ed ‘osservare’ l’oggetto pittorico! Si presentano vibrazioni del colore esprimente cose che si protendono oltre la forma, il soggetto, le tonalità, le prospettive definite canonicamente dalla medesima arte, come dalla critica dell’arte. Poiché ogni lavoro di Leonardo manifesta mille parole, infinite lettere di luce che vanno all’unisono verso un unico vertice. Tutte tendono a confluire nel punto di fuga, che è in vero il punto di fuoco del pensiero artistico. Riflessioni profonde commuovono, inaspettatamente, il pensiero sensibile di Leonardo dotato di un intelletto vivace, intuitivo che va traducendo nelle sue opere intercedono le forme ed i colori. Un caso plausibile è nella raffigurazione di Cristo nel Cenacolo, in cui le parole non si ascoltano realmente, si percepiscono con il nostro segreto senso, come se effettivamente fosse un ‘silenzio’ udibile con suoni ultraterreni. Sono presenti, le parole, nell’intensità cromatica dei colori, nelle sfumature che celano particolari di rilievo, tra quelle pieghe sottili del manto di Cristo si nasconde l’imperante espressione evangelica giovannea “Uno di voi mi tradirà…”.
Volto di Cristo, part.del Cenacolo E’ il dramma presente in modo cosmologico, e rappresentato nell’affresco nel gesto sicuro della mano protesa verso il centro della mensa, e dei commensali convenuti al banchetto conclusivo del suo essere ente terreno. Il pane si è fatto/trasformato, transustanziato in logos di vita eterna, nello sguardo assorto e lontano del Maestro, il figlio dell’Altissimo, in un tacere che ha l’eloquenza di mille panegirici. L’astro solare brilla sottostante i colori e gli sfumati, tra ombre e luci che Leonardo trasporta con maestria dalla tavolozza imprigionandoli, poi, con movimenti meticolosi nei segmenti che formano il suo dipinto, ma ogni tratto grida altisonanti non definite verità, emergono dal chiaro‐scuro delle linee le forme vitali nascoste. Dunque, si ascolterà un dipinto di Leonardo non con l’udito, ma con la profondità del nostro cuore, della nostra sensibilità intellettiva. La natura avvolge l’uomo, ma nasce dall’uomo stesso, è parte essenziale della vita umana, una concezione traducibile da Leonardo mediante le strutture/architettoniche del colore e delle forme geometriche applicate. Unitamente alla saggezza della prospettiva che la luce cattura imprigionandola nelle linee di fuga per rimanervi ed essere rilasciata lentamente all’occhio del visitatore incantato, rapito, ed estasiato dalle opere vinciane. Il tema uomo/natura del Quattrocento si dirama ulteriormente con Leonardo nel Cinquecento, sposando ulteriormente le sorelle scienze della pittura, quali la filosofia, la teologia, la matematica, e l’astronomia. L’enigmatica Monna Lisa rivela questo mistero dell’uomo centro della Natura rivelata, dell’inconoscibile, dell’inafferrabile universo, e della vita che oltrepassa la morte per glorificarsi nell’eterno divenire del Dio fattosi uomo. Se il pensiero artistico di Leonardo è un enigmatico mistero traducibile nell’espressione delle sue opere, un tema in particolare attrae, per meglio delineare, definire questo arcano esserci del mistero nel Mistero. Mi riferisco al periodo creativo dell’artista tra il 1483 ed il 1486, in cui Leonardo realizza – tra le molteplici attività di pittore e ricercatore – due opere singolari: “La Vergine delle rocce”. Quest’opera è complessa, non facilmente decodificabile con un moderno, ed attuale linguaggio. Tutto necessita di trasformarsi e plasmarsi al tempo biblico in cui l’azione coinvolge l’arcangelo Uriel, scelto da Leonardo come presenza celeste tra la Vergine, il Battista fanciullo ed il Cristo bambino. Si è fatto riferimento alla particolarità di un soggetto realizzato in duplice versione, con delle piccole, ma significative differenze. Un dipinto è custodito nel Museo del Louvre a Parigi, il secondo nel National Gallery di Londra.
Vergine delle Rocce, Londra, 1495-1508, Nat.Gal
Vergine delle Rocce, Louvre,1483-86 Perché Leonardo desidera sviluppare due dipinti del medesimo tema inserendo, però, in uno alcuni particolari significativi? Elementi che si presentano in uno dei due dipinti in modo sibillino, suscitando nell’osservatore quesiti spontanei e naturali. Nella versione londinese i soggetti hanno l’aureola, Uriel non indica con l’indice, non osserva colui che presumibilmente è l’osservatore. Il cuore dell’opera in questione ‐- nelle due versioni – è traducibile dalla presenza della Santa Vergine che appare assorta in una personale riflessione, qualcosa d’introspettivo e che sfugge ad una ipotetica traduzione semplicistica. I quattro soggetti in primo piano sono i conduttori tra corpo ed anima. L’unione armonica perfetta tra il bello ed il buono, nel senso della sublimazione spirituale e mistica. Uriel così inserito da Leonardo nel dipinto, quasi fosse l’angolo di un triangolo, calamita l’osservatore, poiché questo l’osserva dal dipinto stesso – nella versione presente al Louvre ‐ indicando contemporaneamente con l’indice della mano un punto estremo rispetto alla sua figura. Indica il piccolo Battista? Un elemento nascosto nella tela dal pittore? Intende rammentare con il Battista – che secondo le scritture vivrà eremita nel deserto cibandosi di locuste, e vestendo pelli fino al momento in cui rivelerà la Natura divina di Cristo enunciandolo al mondo con il battesimo nel fiume Giordano. La stessa croce che nella versione londinese Leonardo inserisce come sacro elemento al piccolo Battista, indica quel passo evangelico che enuncia: “Prendi la tua croce e rinnega te stesso” (Mt. 16,24) – che un tempo lui fu l’arcangelo del deserto per gli ebrei erranti, che portò il volere dell’Altissimo per aiutare gli schiavi d’Israele in Egitto. Uriel così disposto nel dipinto non è il punto di fuga del quadro, ma egualmente rapisce lo spettatore in un dubitativo contemplare quell’infinito segno insito nello sguardo narrante dell’arcangelo che, osservando colui che l’osserva, indica egli stesso contestualmente, in un punto di un ipotetico orizzonte immaginario. Il Battista fanciullo? Qualche cosa di ben diverso, indefinibile, inafferrabile? Sempre nella versione di Parigi l’arcangelo appare con le ali occultate dal manto, e complessivamente i cromatismi di tutto il dipinto consentono di ammirare un’eloquenza ed una maggiore intensità. Il paesaggio è forte, ruvido, quasi dantesco, primievo, un richiamo proprio al libro del Genesi? Un mistero ulteriore da svelare, comprendere, investigare? Quale codice ha volutamente inserito Leonardo nel quadro? Il segno ed il simbolo diventano essenze di comprensione per l’intelletto umano, il primo non può separarsi dal secondo al fine di estrapolare la vera natura dell’espressione artistica e pittorica. Segno e simbolo sono chiarissimi linguaggi per l’anima valutante e per il cuore umano sede dei sentimenti più nobili, sede della bellezza percepita, degli affetti più sublimi, apertura all’ascesi e mistica. Volutamente Leonardo in questo contesto pittorico enuclea – sempre in quel di Parigi - la simbologia del sacro – specifico del cristianesimo - quale le aureole e la croce del Battista, forse a ragione di una interpretazione più soggettiva in materia di fede e teologia. E’ specifico di colui che osserva di leggere intuitivamente quanto il dipinto cela e rivela, forse che colui che contempla debba eseguire un lavoro interiore d’ermeneutica e di esegesi del testo pittorico, aprendo, così, il proprio io spirituale alla fusione con il segno pittorico. Perché Leonardo inserisce proprio l’arcangelo Uriel, pensando al famoso sinodo di Roma e a Clemente III che espresse la dura volontà di vedere cancellato per sempre questo speciale angelo? Quale è in verità il messaggio che l’artista vuol esprimere scegliendo Uriel? Una possibile risposta potrebbe esserci suggerita da un grande Padre antico. Riguardo alle categorie o specie di angeli, Origene - 185/254 - ammette la differenza di una categoria dall’altra, ma, non si tratta di una differenza sostanziale e definitiva, poiché si può passare da una specie all’altra grazie all’uso del libero arbitrio e ai meriti o demeriti acquisiti. Nella medesima prospettiva Origene considera i diversi e molteplici uffici. Ogni gerarchia è ordinata a svolgere funzioni varie e gloriose. Ogni angelo ha una mansione diversa dall’altro in forza dei propri meriti, dello zelo e delle virtù manifeste prima della organizzazione del mondo. Origene afferma che “nell’ordine degli arcangeli è stato attribuito a ciascuno questo o quel genere di ufficio, altri hanno meritato di essere iscritti nell’ordine degli angeli e di agire sotto l’autorità di questo o quell’arcangelo, di questo o quel capo o principe del suo ordine”. Agli angeli è stato concesso di ordinare e governare l’universo. Lo sfondo su cui Leonardo ha inserito la scena madre ha per tema la natura nel suo aspetto più duro, la roccia viva e primordiale, che richiama al principio del mondo, della creazione, quando tutto si stava compiendo, ma nel contempo la roccia/pietra di scarto sulla quale viene edificata la nuova Chiesa. Un particolare cattura l’attenzione, ad un certo punto sulla linea dell’orizzonte Leonardo racchiude un dolmen come in un cerchio, e oltrepassando il nero megalite s’intravede la luce solare, ed un nitido cielo, e la stessa aria percepita crea la dimensionalità del dipinto stesso. Questo particolare sembra rievocare il mistero di Stonehenge, ed il culto solare del solstizio d’Estate? Sinotticamente le due versioni della medesima opera, mantengono la centralità del soggetto nella Santa Vergine, la quale appare assorta in un mistico silenzio, un ascetico pensiero travisabile nei tratti del volto delicati e giovanili, ma impenetrabili. La sua mano tesa in avanti come per afferrare, o difendere il piccolo Gesù, con un movimento più ferreo, rigido – una sottile, quasi impercettibile differenza da quello londinese – nel quadro di Parigi. Forse la Vergine esprime uno stato interiore della sua anima, travisando per Gesù un doloroso futuro di morte, quasi ch’ella lo volesse strappare al nefasto futuro destino, ma tutto deve compiersi secondo le scritture, il già non ancora è di fatto presente e reale nei sacri soggetti, e, le stesse dure rocce dello sfondo sono un rammentare il calvario, il Monte Calvo sul quale svetterà la croce di morte di Cristo. Tutta la natura così rappresentata da Leonardo ha in se stessa infinite letture, molte simbologie racchiude, e con queste gli insoluti misteri della vita e della morte. La Vergine è essa stessa espressione della vera humilis medievale, quella in cui non è se non il concetto più elevato e profondo della virtù umana, quale questo oscuro periodo interpreta ed elargisce nei suoi contesti canonici cristiani, e non solo. Quindi nella Vergine delle rocce, si può intravedere, oltre il dipinto, un aspetto misteriosofico che aleggia oltrepassando il visibile artistico. Dunque, analizzando il dipinto in questione si ha la netta sensazione di assistere a più scene simultaneamente, la cristiana, biblica, quella templare misterica, e di un’arcana letteratura che contempla l’invisibile nel visibile percepito. Questa lettura, ancora, conduce di fatto a pensare per vie artistiche come ascetiche e mistiche, quale quella di un Pseudo-Dionigi, o di un San Giovanni della Croce con la sua Notte oscura. San Giovanni della Croce si riferisce contestualmente allo Pseudo-Dionigi, in particolare a proposito del rayo de tenebla, assimilato nella ‘notte oscura’ (II,5) alla contemplazione infusa dell’anima non ancora illuminata e purificata, siamo dinanzi ad una contemplazione nebulosa, secondo l’ispirata definizione di Jean-Pierre Camus, o di caligine per ricalcare lo Pseudo- Dionigi. La ‘notte oscura’ dell’anima di San Giovanni della Croce. Una tal via mistica di ascesi verso la perfezione è una continua ricerca della sublimante realtà, è quanto Leonardo stesso rende manifesto attraverso l’espressione delle sue opere. Intuisco l’anima oscura come le tenebre della notte che avvolgono il genio Leonardo. La Vergine delle rocce, anticipa di pochi anni il lavoro del Cenacolo per il refettorio delle Grazie. Penso, osservando attentamente quest’ultima opera vinciana che alcuni particolari s’estendono dal precedente tema fin’ora considerato. Ma vedremo questo a breve. L’opera in questione si è enunciato vede la luce nel periodo tra il 1483-86, alcuni opterebbero una data tra il 1495 e 1508 per il londinese. Chi scrive è convinta che le due opere trovano la loro genesi sincronicamente, per committenti diversi, o semplicemente per il fatto che uno rispecchia la sintesi arcana dell’anima di Leonardo, proprio quello di Parigi, in cui Uriel l’arcangelo osserva ed indica un mistero, la cui natura non è stata completamente investigata, dove i colori più accesi sembrano rievocare il fuoco d’amore che sprigiona dalla natura leonardesca. Il fatto certo storiograficamente è che La Vergine delle rocce procede di poco il lavoro del Cenacolo 1495-1498. Ad una sottile analisi, e acuto osservare, sembra quasi che il volto di Gesù del Cenacolo ricalchi quello della Santa Vergine, nei tratti somatici, nei delicati lineamenti. Una comparazione che chiama in causa ulteriormente la natura e l’alone di mistero che ha avvolto tutta la vita del grande genio vinciano, anche questa tesi confermerebbe la necessità di indagare in profondità. Ma riprendiamo il soggetto primario l’arcangelo Uriel voluto dal Vinci a dispetto dei precetti dettati dalla Chiesa, e che presumibilmente dice, narra più di quanto si possa immaginare, pensare, sostenere, forse Uriel rievoca l’antica, ancestrale sapienza che affonda le sue radici nei miti orientali antichi, nelle civiltà sumerica e babilonese. La questione più eloquente dovrebbe sentenziare chi è l’arcangelo Uriel tratteggiato artisticamente da Leonardo? L’arcangelo del Libro di Enoch, della cultura antica ebraica, della Kabbalah? Difficile a priori, stabilire questi enigmatici punti, risalire alla vera intuitività artistica voluta da Leonardo. Simbolicamente la presenza di Uriel conferma e rafforza quanto detto fin ora. La simbologia dionisiaca degli angeli luminosi – fiamma, fuoco, luce, ambra – le dimore divine dell’ambito della Luce. Una lettura simbolica ed esoterica di Leonardo. Enunciavo di alcune rilevanze simboliche presenti in alcune opere di Leonardo che necessitano di una lettura sinottica. Osservando la mano del Cristo nel Cenacolo, protesa in avanti verso il centro della mensa, rievoca quella della Vergine delle rocce. La mano del Cristo è la destra, della Vergine la sinistra, entrambe aperte in atto di afferrare, prendere qualcosa, o fermare, arrestare un evento spazio/temporale, un mistero che inesorabilmente incombe e che è presagito dal cuore intellettivo sia di Cristo, che della Vergine. Vi leggerei gli elementi maschili e femminili voluti da Leonardo, inseriti secondo un iter sapienziale alchemico che segue la via destra e sinistra dei grandi esoteristi, il grande come il piccolo veicolo dei buddhisti. I processi di purificazione per gradi ascensionali in ambito spirituale, come alchemico ed esoterico. Vediamo degli elementi presenti in alcune opere del Vinci che indurrebbero ad una riflessione estesa in altre sfere del sapere e della conoscenza, che non una consueta analisi del testo pittorico ascritta alle canoniche vie dell’arte. Nel Cenacolo l’indice dell’Apostolo Tommaso è rivolto verso l’alto, indicando un punto dello spazio che non ci è dato vedere e conoscere. Solitamente l’interpretazione di questo gesto pittorico segue il processo canonico della critica dell’arte, e di quella dei testi evangelici: “Se non metto il dito nel costato di Gesù….” (Gv 20,24-29). Ma è proprio questo che Leonardo intende affermare? Se confrontiamo la Vergine delle rocce, Uriel è indicante con l’indice un punto dello spazio che si allontana dall’idea comune, ad una prima osservazione sembrerebbe indicare il piccolo Battista, ma lo sguardo enigmatico dell’angelo farebbe propendere per altra valutazione. Analizziamo altri scenari pittori di Leonardo, nel dipinto del San Giovanni Battista del 1508-13, il soggetto ha l’indice rivolto verso l’alto come quello di Tommaso del Cenacolo. Cosa vorrà indicare questo particolare elemento, unicamente il tratto biblico? Penserei a ben altro di misterioso e da decodificare. Ancora, prendiamo il Bacco un dipinto del 1510-15, il soggetto ha l’indice indicante un punto dello spazio che non rientra nell’ottica visiva dell’osservatore.
Inoltre se ammiriamo il volto di Uriel nella Vergine delle rocce, con quello del San Giovanni Battista e di Bacco, si noterà una straordinaria somiglianza, luoghi paralleli che m’inducono ad una riflessione che trascende la realtà: il soggetto è sempre Uriel l’arcangelo che emerge dal sapiente pennello di Leonardo, nonché dal suo vibrante spirito. San Giovanni Battista,Louvre, 1508-1513 Dunque, sarebbe da supporre che Leonardo e l’arcangelo Uriel hanno affinità elettiva, uno stretto rapporto trascendentale, e ricolmo d’enigmi. La vita di Leonardo, forse, ha esperimentato in questo angelo il suo spirito guida, l’essenza ispiratrice di tutto il suo genio artistico, l’essenza della gloriosa Luce divina! Se desideriamo andare oltre con l’esegesi dei dipinti in questione, l’ermeneutica di uno nei riguardi dell’altro testo, conducono a comprensioni più profonde ed elevate. Il dito di Tommaso l’incredulo, rapportato all’indice dell’angelo Uriel, del Battista, come di Bacco fanno stilare dall’animo la sensazione che Leonardo volutamente desideri unire le cose terrene con quelle celesti e divine. Esprimere il divino dell’arcangelo con il terreno e materiale di Tommaso, cioè dell’uomo in quanto creatura limitata e debole. L’indice di Uriel, però, è rivolto in senso orizzontale, mentre in Tommaso, nel Battista, in Bacco sono rivolti verso il cielo. Perché? Come tradurre le varie tipologie pittoriche? Presumibilmente, tutto questo indurrebbe ad un pensiero teologico, filosofico, ma anche esoterico e soteriologico, di fascino e mistero. Il divino disceso mediante l’angelo, si unisce al terreno Tommaso l’uomo del Cenacolo, il quale tenta la sua ascesa celeste, ma, la salita è irta di aspre rocce, come quelle presenti nella Vergine delle rocce, e nello sfondo del Cenacolo. Inoltre rivelerebbero quell’arcano per cui, l’uomo è entrato per il piano salvifico di Dio nel Misterium per eccellenza quello angelico, e delle creature di Luce che Uriel rappresenta sulla terra, evidenziato da Leonardo nello sguardo enigmatico e ultraterreno dell’arcangelo. L’uomo può ascendere al cielo per mezzo della fede e delle opere di carità si, ma anche attraverso le varie ‘porte’ della conoscenza esoterica ed alchemica che deve essere in grado di aprire e comprendere, togliendo il velo dell’incertezza, dell’ignoranza che ricopre le cose occulte, al momento non conoscibili, quasi invisibili. Secondo la mia tesi il Cenacolo dipenderebbe dal dipinto La Vergine delle rocce, per un fattore che desta perplessità, osservando il volto di Cristo con quello della Vergine si ravvisano possibili somiglianze nei lineamenti e nella modalità riflessiva con cui i due soggetti sono disposti nelle rispettive opere. Collegamenti possibili, ma sapientemente occultati si troverebbero fra queste due insigni opere che richiamano al sentimento sovraelevato dell’anima che la perfezione ricerca attraverso i percorsi della catarsi, cioè della purificazione e trasmutazione. Da vile metallo all’oro splendente, da uomo creatura caduta, ad angelo essenza di puro spirito, ente di fuoco. Da Tommaso del Cenacolo ad Uriel della Vergine delle rocce, del San Giovanni Battista, del Bacco si troverebbe una linea continua del medesimo racconto di Leonardo, tutto incentrato nella ricerca del sublime, del vero, del bello, ma di un parallelo mondo, le cui porte di accesso sono relegate all’interno delle strutture dei dipinti considerati. Tasselli che devono essere cercati, scoperti, rivelati nelle loro intime nature misteriose ed incomprensibili ai profani. Il linguaggio di Leonardo offre motivi letterari esoterici, come essoterici, di modo che le sue opere sono creazioni dalla duplice valenza, per i molti, e per i soli eletti che osservano le cose nascoste, ma rivelate ai ‘piccoli’! Le creazioni vinciane sono eterni custodi di celati enigmi, come enigmatica è la vita medesima del grande genio. Nel dipinto del Bacco, per esempio, si nota poco distante il soggetto immerso in una bucolica natura, un bel cervo disteso sull’erba dalle lunghe corna, rappresenta lo zolfo alchemico ed incarna l’anima. Il vivo ardore dell’anima – sentenziava il grande padre orientale Giovanni Cassiano nelle sue Conferenze – è paragonabile al bellissimo cervo – metafisicamente è il cervo spirituale – che pascola sulle montagne dei Profeti e degli Apostoli, saziandosi dei loro più sublimi ed arcani ammaestramenti. Il cibo sublimato è la sostanza eterea dei Salmi, e delle preghiere che immettono l’anima sull’ascendibile via della compunzione, fino alla redenzione assoluta e contemplativa della mistica Luce di Dio. E, dunque, l’anima è finalmente come trasfigurata nell’aurea smeraldo della trascendente bellezza divina salificante, pulchrum et verum, il bello ed il vero risplenderanno nel cosmo! Il soggetto – Bacco ‐- è una figura mitologica romana che trova corrispondenza nella cultura greca con il dio Dioniso. Rappresentante dell’energia naturale per effetto del calore e della umidità, cosa che consente il progresso vitale delle piante. Divinità benefica che dona agiatezza, cultura, ordine sociale. Figlio di Zeus, che nei Canti Orfici, nell’elenco dei sovrani degli dèi, Dioniso è il sesto, l’ultimo re degli dèi. Investito da Zeus, il padre lo pone sul trono regale e gli da lo scettro e lo fa re di tutti gli dèi. Sempre nei Canti Orfici, Dioniso è fatto a pezzi dai Titani e ricomposto da Apollo. Nel Bacco di Leonardo, il bastone sottile che stringe a modo di scettro è il richiamo espresso alla regalità di Dioniso, pastore e re della natura incontaminata, lo stesso che è presente nel San Giovanni Battista. La via esoterica ed ultraterrena. La via esoterica ed ultraterrena per Leonardo passa attraverso la Luce angelica, e la inarrestabile Cerca della somma verità. Uriel in quanto essere, creatura di Luce, di fuoco potrebbe essere il mediatore di questa Cerca senza fine, rivalutato, riabilitato da Leonardo come la creatura angelica che salva ed aiuta la creatura terrena e miserabile l’uomo. Miserabile, perché a motivo della caduta, del peccato deve sottostare alle leggi cosmiche, incluso il male che lo fa soccombere. Leonardo, come del resto l’umanità errante, tenta le possibili vie della redenzione, della trasmutazione, della trasmigrazione dallo stato di peccato, debolezza, materia, a quello superiore di bellezza, purezza, immortalità. Ogni pensiero ed azione soggettiva dell’uomo si trova a dover fronteggiare i molteplici quesiti del dubbio, che si contrappone alla verità. Poiché a nessuno è dato conoscere, o sapere tutto quello che è, nella sostanza, presente oltre l’orizzonte terreno, superate le linee che portano ai cieli. Forse, semplicemente Leonardo ha desiderato rivalutare un arcangelo che per gli insondabili misteri dell’esistenza umana, subì l’onta della condanna senza colpa. Un giorno, lontano nel tempo qualcuno, i molti parleranno di un Arcangelo particolare, un essere di fiamma dal nome luminoso di Uriel. Quel giorno, in quel tempo futuro, l’uomo avrà riscoperto il suono, il linguaggio angelico e la sublime presenza di tutti gli angeli guidati dallo stesso reietto arcangelo Uriel! Autrice:Alexandra Celia
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